Mattia Feltri, la Stampa 31/7/2012, 31 luglio 2012
ANCHE IL DIAVOLO PAGANINI TRA I LIBRI DEL CARDINALE
«Lui è papà», dice ironica e affettuosa la direttrice, Iolanda Olivieri. Il busto in bronzo del cardinale Girolamo Casanate - nato a Napoli nel 1620 e morto ottant’anni dopo a Roma - sovrintende la stanza nella quale si squaderna il primo godimento: una collezione settecentesca in ottocentosettantacinque pezzi di calchi in cera e zolfo; un catalogo di gemme d’epoca romana, repubblicana e imperiale, ed erano ciondoli, anelli, cammei; agata e corniola. Il problema è che la questione sfugge subito di mano. Si saltabecca. Il martirio di
, secentesco olio su tela di Mathaeus Stomer (il profano lo scambia per un Caravaggio), non sovrintende: sovrasta; Vittorio Sgarbi in pieno orgasmo estetico si sbilanciò in una valutazione che qui temono generosa, e non rivelano neanche sotto tortura.
Si sa come sono queste biblioteche storiche, oltre ai libri - e sono quattrocentomila, un numero che non vuol dire niente, ma se li mettete in fila fanno all’incirca quindici chilometri - c’è da pescare a piene mani nel genio del mondo. Tutto cominciò con i venticinquemila volumi di papà, del cardinale Casanate, che in morte lì lasciò ai padri Domenicani di Santa Maria sopra Minerva (pieno centro di Roma, a due passi dal Pantheon e da Montecitorio) perché istituissero un luogo di studio aperto al pubblico, e in cui la pena per il furto di un solo tomo fosse la scomunica. Il cardinale era partito per la precisione dal numero 1.639, i libri ereditati dal padre Mattia, per arrivare a quella considerevole cifra che, anche per il pregio dei titoli e delle edizioni, incantava i visitatori d’Europa. C’era (e c’è) materiale di tutto lo scibile umano, com’era apprezzato dai dotti del tempo barocco. La biblioteca Casanatense, per volere testamentario del cardinale, si dotò di un collegio di teologi per la difesa della Santa Chiesa. Cioè implacabili censori. Se non fu una fortuna per i coevi, lo è per noi oggi, perché qui arrivò ed è custodita ogni riga scritta dai sapienti allora e nei due secoli precedenti, tranne quelle così eretiche da essere cancellate a inchiostro. Pure qualche paginetta scandalosa venne strappata e buttata via. Qui si prende in mano ogni libro scritto da Galileo Galilei o da Giordano Bruno, ognuno in vertiginosi esemplari antichi e introvabili, alcuni persino in prima edizione. E si contano gli asterischi tracciati sulla seconda di copertina dai teologi, da uno a tre, per grado crescente di pericolosità.
«Sono una donna pratica, la cultura sono soldi. Senza soldi la cultura muore», spiega la direttrice. Un’idea così ovvia che è del tutto fuori moda. Insomma, il cardinale oltre al busto in bronzo ha anche una statua in marmo bianco di Carrara nel Salone monumentale, il nucleo originario della biblioteca, sessanta metri per dodici di legni intarsiati e volumi, con due globi settecenteschi, uno raffigura la volta celeste, l’altro la terra con imprevedibili approssimazioni: la California è un’isola, l’Australia ha confini incompleti. In questo salone, se capita, si girano fiction televisive, l’ultima fu L’ombra del Diavolo , tanto per restare in tema. E si allestì pure un banchetto per i magnati finanziatori della biblioteca di Washington. C’era il proprietario dello stadio di Dallas che dove posava piede zampillava petrolio. Si cercano sponsorizzazioni per aggiustare l’impianto d’allarme o risistemare questo scaffale o quello. Del resto non si tratta soltanto di crisi economica. È che di queste cose non importa niente a nessuno. La Casanatense possiede gli archivi di Giovanni Sgambati e Ottorino Respighi, e tutti gli spartiti autografi di Niccolò Paganini. Alcuni nemmeno mai eseguiti: li avessero in America ci avrebbero già fatto edizioni di lusso della New York Philharmonic.
L’Italia è così, ha troppo e non sa quello che ha. Per fare un solo esempio, quando si trattò di sondare il terreno sotto Castel Sant’Angelo nella previsione di un sottopasso per il Giubileo, la trivella si imbattè in qualcosa. Oh, Giambattista Piranesi lo sapeva già. Bastava venire alla Casanatense e sfogliare la raccolta completa delle sue incisioni e acqueforti. Piranesi non fece soltanto riproduzioni di monumenti (e qui vi mostrano una vista aerea del Colosseo magnifica e inconcepibile, poiché non esisteva nemmeno la mongolfiera), ma studiò Roma pietra su pietra. Nessuno prese in considerazione l’ipotesi.
Eppure non ci si immagini un posto frequentato da quattro vegliardi col monocolo. La direttrice ha aperto ai ragazzi delle superiori e dell’università che ogni giorno vengono a studiare in quindici o venti. «Li ho intervistati, dicono che qui non devono resistere alla tentazione del telefonino e di Facebook», dice Iolanda Olivieri. Si abbia pazienza: sono vietate pizze e aranciate. Non per barboso sussiego verso la cultura, ma perché non è infrequente che girino pezzi da perderci la testa. Oggi hanno tirato fuori un manoscritto del De Bello Gallico di Cesare degli Anni Settanta del Quattrocento, illustrato con inchiostri pregiati e dorature. «Il Rinascimento nasce anche qui», dicono mostrando i bassorilievi classici restituiti sulla pagina in due dimensioni, lumeggiatura aurea su blu lapislazzulo. Tecnicismi, certo. Sono cose da vedere, non da raccontare. Ma, per intenderci, arriva sul tavolo un’edizione del 1478 della Comedia di Dante Aldighieri, come molti lo chiamavano. Le illustrazioni sono opere d’arte. Non è un manoscritto, è una delle prime stampe italiane. Il carattere è Times New Roman (come dicono i nostri computer), già sei secoli fa come oggi: un carattere recuperato intorno all’anno Mille dall’epoca romana. Questo libro, destinato a una biblioteca privata, ora non ha prezzo e costava allora quanto costa oggi una Mercedes di stazza. Tuffarci gli occhi, invece, non costa niente e vale parecchio.