Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 31/7/2012, 31 luglio 2012
UN BLACK-OUT FERMA L’INDIA IN 360 MILIONI SENZA LUCE - È
stato come se il Brasile, l’Argentina e qualche altro Stato dell’America Latina d’improvviso si fossero spenti. Come se l’80% degli europei restasse senza elettricità. È realmente accaduto a circa 360 milioni d’indiani, dalle due e 30 del mattino fino a mezzogiorno di ieri. Niente treni, metropolitana (c’è solo a Delhi), luce nelle case, energia nelle fabbriche. Stato d’emergenza negli ospedali e negli aeroporti.
La stagione dei monsoni è la più calda. Quando i monsoni sono scarsi come quest’anno, all’afa opprimente si aggiunge la mancanza di acqua. Le sempre più assetate campagne del Punjab, il cuore agricolo indiano, stavano facendo funzionare le pompe da settimane, senza sosta. Nelle metropoli l’aria condizionata è una specie di status symbol della classe media: la si tiene sempre accesa al massimo. I tecnici dicono che la causa principale del black-out è l’acquisizione di energia di diversi Stati, avvenuta contemporaneamente e superiore alla quota fissata.
E così sono rimasti senza luce la città di Delhi che ha uno status autonomo, l’Haryana, il Punjab, l’Himachal Pradesh, Jammu e Kashmir, Rajasthan e gran parte dell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso. Insieme fanno il 37% dei consumi elettrici indiani. Secondo la Cii, la Confindustria indiana, l’interruzione costerà più di 100 milioni di dollari solo alle imprese. È una piccola parte dei costi dei black-out indiani: ogni anno vanificano l’1,2% della crescita.
L’irrigazione del Punjab, i condizionatori della nuova India e la coincidenza di troppi Stati assetati sono una parte delle cause di questa interruzione; e le interruzioni sono tutt’altro che rare. Per trovarne una più grave di quella accaduta ieri bisogna andare al 2001. Ma ogni anno, estate e inverno, parti del Paese restano senza energia.
Il settore della generazione elettrica è il più regolato del Paese: nella costruzione di dighe e centrali il "License Raj", l’impero della burocrazia, ha completamente ignorato le grandi riforme di questo ventennio. I privati non esistono e la presenza di imprese straniere è scarsa e boicottata dai poteri locali. Manmohan Singh, primo ministro e padre delle riforme indiane, ha la necessità di trovare 400 miliardi da investire in cinque anni. L’obiettivo parziale è produrre 76mila megawatt entro il 2017. Ma è dal 1951, una specie di tradizione, che il Paese non riesce a raggiungere nessuna delle pianificazioni annuali o quinquennali di produzione energetica, necessarie per soddisfare la domanda crescente della gente e della crescita industriale.
Le riforme indiane, non solo quelle che riguardano la produzione di energia, sono più ferme che mai: sono la causa della diminuzione della crescita. Il mese scorso Manmohan Singh aveva assunto anche il dicastero delle Finanze, promettendo di dare un nuovo impulso alle riforme di "seconda generazione". Ma giusto qualche giorno fa ha dovuto rinviare a dopo l’estate i progetti di ristrutturazione dei sussidi al carburante e la riforma della distribuzione commerciale, un business da 450 miliardi di dollari.