Gustavo Piga, ItaliaOggi 31/7/2012, 31 luglio 2012
PER USCIRE DALLA CRISI CI VORREBBE UN ROOSEVELT EUROPEO
Nel suo discorso inaugurale il 4 marzo del 1933 (notissimo per la frase «l’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa»), il Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt (FDR) si espresse così al riguardo dei banchieri di Wall Street: «i mediatori di denaro sono fuggiti dai loro alti seggi nel tempio della nostra civilizzazione. Adesso possiamo ripristinare le antiche verità nel tempio. La misura di tale ripristino è nel quanto applichiamo valori più nobili del mero profitto».
Era solo l’inizio di una lunga battaglia, che percorse il New Deal di quegli anni, tra Presidente e sistema bancario. Lo dimentichiamo a volte, ma il New Deal fu anche una battaglia ridistributiva tra sistema finanziario ed altri interessi, compreso quello manifatturiero e sindacale, che spesso ottennero la protezione del Presidente, specie (ma non solo) grazie alle sue politiche fiscali espansive ed al suo programma di lavori pubblici ed a favore dell’occupazione.
Così se a Obama molti devoti democratici (compreso il premio Nobel Krugman) rinfacciano di non avere spinto abbastanza sull’acceleratore promesso della spesa pubblica di appalti e oggi si ritrova con una economia che non tira a sufficienza per garantire il risultato elettorale, è perché molti di quei fondi sono stati destinati a salvare il settore bancario, come dimostrò il forte scontro dentro l’amministrazione tra Christina Romer e Larry Summers da un lato e Timothy Geithner e Peter Orszag dall’altro (splendida e elegante l’intervista a Christina Romer).
Raquel Fernández è una valente economista che da tempo cerca di capire il ruolo che giocano, nel capire le politiche fiscali adottate, la diversità delle lobby e il diverso livello di coesione all’interno di una unione fiscale.
La sono andata a rileggere masticando (blog di ieri) dentro di me le parole di Draghi sul fatto che l’Europa è più coesa degli Stati Uniti. Ovviamente non lo è, l’Europa è fatta di tante economie certamente coese al loro interno, che esigono però di ricevere somme per i loro interessi nazionali all’interno dell’erogazione di fondi europei, compresi quelle per uscir fuori dalla loro recessione.
Ci sono dunque, in Europa, come attori principali: i singoli paesi, con le loro esigenze nazionali di fronteggiare «la loro» crisi e il sistema bancario con la sua esigenza di ottenere risorse pubbliche.
L’intuizione dei lavori scientifici della Fernández è che al crescere delle lobby, la redistribuzione specifica a particolari interessi (per esempio le banche) sottrae risorse alle classi o ai paesi meno abbienti (e meno organizzati) a meno che questi non trovino forte rappresentanza (come avvenne con FDR). Mano a mano che crescono tuttavia in numero i singoli gruppi e loro specifiche esigenze diventa alla fine impossibile il realizzarsi di coalizioni per ottenere redistribuzione a proprio favore.
La mia impressione è che, in assenza di un «FDR europeo» che rappresenti le classi meno abbienti, la crescita del contagio «sociale europeo» dalle piazze stia aumentando la forza contrattuale ed elettorale delle classi e dei paesi meno abbienti e ciò rende più difficile ridistribuire risorse pubbliche a favore delle banche come venne fatto rapidamente all’epoca della Grecia.
Il risultato finale? Come usare i soldi dei contribuenti in Europa? Per le banche o per il settore reale?
Il rischio di questa crescente contrapposizione di lobby è: o il caos più totale e l’inazione, o la creazione di nuove alleanze che contendano i fondi alle banche al tavolo europeo.
Mentre la Spagna è divisa al suo interno (dare i soldi alle banche o ai lavoratori in piazza?), altri paesi lo sono meno: Italia e Francia per esempio. Queste nuove coalizioni potrebbero portare ad una politica fiscale europea che non ridistribuisce più così tanto le entrate fiscali al sistema finanziario ma all’economia reale, magari con appalti pubblici, come fece FDR.
Se Monti si schierasse con Hollande per un maggiore focus di sostegno concreto sull’economia reale potremmo vedere dei cambiamenti decisivi al tavolo politico europeo. Per il bene di tutti.