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 2012  luglio 29 Domenica calendario

FASCETTA DELLE MIE BRAME

Un fantasma si aggira nel mondo della grafica editoriale: è la fascetta, effimera striscia promozionale, sottile e fragile come le ali di una farfalla. Stretta o larga, bianca o colorata, elegante e discreta o chiassosa e pacchiana, nacque come Venere dalle spume del mare librorum per sedurre il lettore distratto. Con il trascorrere degli anni questa striscia di carta è capace di restituire ai vecchi libri il sapore della contemporaneità e quindi il fascino dell’eterna giovinezza. Chiamata una volta anche manchette, «banda promozionale», «striscia pubblicitaria», soprattutto per le prime edizioni importanti oggi è l’ossessione del collezionista esigente e l’assillo dei librai antiquari. La sua storia è abbastanza lineare: in principio sigillava il volume, quindi o si lacerava finendo nel cestino o si doveva sfilarla cautamente come un anello per usarla come segnalibro. Dagli anni Trenta gli editori cominciarono anche a inserirla libera e ripiegata sulle bandelle, modalità destinata a prendere sempre più piede nel tempo.
La sua timida comparsa nelle vetrine dei librai italiani risale all’indomani della Grande Guerra: la più vecchia riportata nel repertorio Rarità bibliografiche del Novecento Italiano di Lucio Gambetti e Franco Vezzosi, (Sylvestre Bonnard, 2006), infatti è del 1918 e si riferisce all’edizione Poesie scelte (1903-1918) di Corrado Govoni (Ferrara, A. Taddei & Figli Editori). In effetti il futurismo, la più "pubblicitaria" delle avanguardie, non poteva ignorare le fascette: alcune erano convenzionali (per esempio La Cucina futurista di Marinetti e Fillia, 1930), altre semplicemente quintessenziali come quella di Risate e rasoiate esplosive contro le barbe visibili e invisibili di Fernando Cervelli (Roma, Le Smorfie, 1933): «Futurmanifesto contro le barbe – Parole in libertà – Maschere futuriste - Mottò - Sfottò - Jazzbandisti - Cartoline umoristiche - Teatro vulcanico. Vietato l’ingresso a minorenni e a tutti i ruderi barbuti imperlati di acida sapienza». Un altro libro "futurista" come La congiura dei passeri, commedia in cinque quadri di Giovanni Gerbino, stampata a Milano da Morreale nel 1927, è oggi un volume ambito dai collezionisti soprattutto per la bella copertina di Fortunato Depero. Pochi sanno però che aveva una fascetta colorata con l’encomio di Marinetti: «La congiura dei passeri è opera piena di lirismo e ha una chiara natura politica. I passeri sono tutti i detriti della vecchia Italia sconfitti e inveleniti congiuranti contro il meraviglioso usignolo che domina l’Italia con il suo canto benefico. Gerbino ha espresso questa drammatica concezione con potenza e grandezza».
Nel 1928 Leo Longanesi inaugurò le edizioni dell’«Italiano» vestendo la copertina verde acqua delle 500 copie di Domenico Giordani avventure di un uomo casalingo raccontate da Giuseppe Raimondi con una fascetta arancio di fulminante contrasto («Domenico Giordani è uno di quelli che passano l’estate in città»), ai nostri occhi colpevole forse solo di coprire il fregio delle due pipe incrociate, anticipazione dei celebri spadini stellati.
La fascetta "strapaesana" di Mino Maccari («Questo libro è andato a ruba nel Massachusetts: trenta edizioni in poche settimane, crisi di gabinetto e sommosse. Costa lire sei») per Vita di Pisto, l’opera prima di Romano Bilenchi, pubblicata nel 1931 da Il Selvaggio Editore in Torino, metteva già alla berlina l’endemico abuso dell’iperbole (tirature astronomiche, aggettivi altisonanti, giudizi critici che risultano encomi solo perché isolati dal contesto) delle vetrine delle novità. Sulla rassegna mensile di cultura (n. 11 - novembre 1934) destinata ai soci dell’Alleanza Nazionale del Libro, iniziativa contro la crisi libraria ideata da Umberto Fracchia nel 1927, Umberto Morucchio raccomandava ai lettori di guardarsi bene dal prendere sul serio quelle corbellerie che avevano l’aria di un discorso dell’editore all’autore per imbonire il lettore.
Anche sulla famosa rubrica «Il sofà delle muse» («Omnibus», gennaio 1938), parlando di "letteratura delle fascette" Longanesi metteva sotto la lente d’ingrandimento le grossolanità pubblicitarie usate per promuovere la letteratura rosa del catalogo Sonzogno da Bruno Corra a Pitigrilli o a Mura, solo per citare quelli di cui oggi si è conservata memoria. Difficile dunque immaginare, almeno per l’uscita in libreria, un libro senza fascetta. Ne aveva una gialla anche Americana, la "mitica" antologia di scrittori d’oltreoceano curata da Elio Vittorini e annunciata come imminente da Bompiani nel 1940, ma in tanti anni di osservazione del mercato dell’antiquariato, mai se ne era visto un esemplare.
Poi quando meno te lo spetti eccola saltare fuori magicamente dal cilindro inconsapevole di uno svuotacantine. Quella corposa raccolta di oltre mille pagine con cento tavole fuori testo, 33 autori tra cui anche molti contemporanei (Faulkner, Steinbeck, Sherwood Anderson, Hemingway, Cain, Fante) tradotti da Montale, Piero Gadda Conti, Linati, Morra, Ferrata, Moravia, Piovene, Pavese, Fulchignoni e dallo stesso Vittorini, era stata già stata interamente stampata nell’aprile 1941 quando fu sequestrata in tipografia. Dopo due anni di estenuanti trattative con Alessandro Pavolini, allora ministro della Cultura popolare, fu finalmente pubblicata da Bompiani nell’ottobre 1942, con ristampa nel gennaio 1943, a prezzo della sostituzione delle prefazione e delle note di Vittorini ai vari periodi letterari corrispondenti alle sezioni dell’antologia con altrettanti interventi dell’accademico d’Italia Emilio Cecchi. C’era inoltre da concordare col Ministro il testo della fascetta: la frase prescelta, estrapolata dalla prefazione di Cecchi (pag. XVII), ebbe l’effetto di un perfetto nonsense: «Trent’anni fa era stato abdicato all’ineffabile dell’anima slava; ora si abdicava un ineffabile dell’anima americana. E incominciava un nuovo baccanale letterario».
Nel giugno 1943 l’opera censurata fu comunque colpita da sequestro in libreria, ma il libro evidentemente si continuava a vendere sottobanco come dimostrato da un’ulteriore ristampa "clandestina" del 1944. Anche nel dopoguerra la produzione libraria è costellata di fascette anonime, talvolta tanto invasive da oscurare quasi per intero la sovraccoperta solo per segnalare l’uscita di un film tratto dall’opera o l’assegnazione di premi letterari all’autore. Altre volte invece la fascetta riproduceva esattamente la sottostante illustrazione di copertina: nel caso di Altre voci altre stanze (1949) e Un albero di notte (1950) di Truman Capote (collezione «Vespe» Garzanti) per non occultare i bei disegni di Bruno Angoletta. La fascetta progettata concettualmente per sintetizzare in una breve frase l’anima del libro – Italo Calvino negli anni Cinquanta parlava infatti di "arte della fascetta" – integrandosi perfettamente anche con la sua veste editoriale è un fiore all’occhiello di Giulio Einaudi. Dal 1933 Einaudi usò sempre la fascetta per vestire e impreziosire le sue collane storiche senza sovraccoperta, giungendo negli anni Cinquanta/Sessanta a vette eccelse di raffinatezza estetica specialmente ne «I Gettoni» e «Universale» dove, in perfetta armonia con la titolazione, le fascette giocano su accostamenti cromatici di rara efficacia sulle copertine. Come considerare allora questa benedetta fascetta? Tranne quando funge da unico supporto per il titolo su una copertina o una sovraccoperta muta, essa non fa parte integrante dell’edizione. Quasi sempre infatti non è presente su tutta la tiratura, talvolta cambia nella stessa edizione oppure può essere stata aggiunta al volume magari anni dopo la sua uscita.
Ecco perché non è mai segnalata, come del resto anche la sovraccoperta, dagli editori né in altre fonti bibliografiche se non, appunto, nei cataloghi d’antiquariato. È in grado di aumentare sensibilmente la quotazione di un libro pregiato e ricercato, ma solo in casi eccezionali come è accaduto per la rarissima fascetta della prima edizione de La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Dino Buzzati, Rizzoli, 1945. Dunque, qualcosa di più sostanzioso della classica cigliegina sulla torta.