Giulio Busi, Il Sole 24 Ore 29/7/2012, 29 luglio 2012
DUE RELIGIONI E LA CIRCONCISIONE
Il parlamento tedesco è chiamato a varare d’urgenza un nuovo disegno di legge. Altrimenti, almeno secondo la Merkel, «la Germania rischia di trasformarsi in una caricatura», ovvero nell’unico Paese al mondo che vieta la circoncisione. Quando, agli inizi di maggio, i giudici del tribunale di Colonia hanno stabilito che circoncidere un minore equivale a infliggergli lesioni personali, erano ben consapevoli delle conseguenze della loro sentenza. Il verdetto ha fatto il giro del mondo, ma è naturalmente in Germania che le polemiche sono divampate più accese. Dalle reazioni estreme, che hanno subito evocato i fantasmi del razzismo e dell’antisemitismo, a quelle più pacate ma non meno allarmate degli esponenti ufficiali delle comunità ebraiche e musulmane, i commenti parlano di una minaccia alla convivenza sociale, e all’esistenza stessa dei due gruppi religiosi. L’uno, quello islamico, demograficamente assai forte, l’altro, quello giudaico, simbolo del riscatto tedesco dagli orrori del Novecento. Una voce di approvazione è venuta invece dall’Unione dei chirurghi pediatrici, che ha accolto la decisione di Colonia come un passo nella giusta direzione. E anche il gruppo parlamentare della Sinistra ha espresso la propria solidarietà con i giudici. In realtà, la sentenza è stata preparata da una riflessione teorica piuttosto approfondita, maturata in ambienti medici e nella cerchia di Rolf Dietrich Herberg, professore universitario e giurista di fama. In una serie di studi scientifici, gli allievi di Herberg hanno sollevato il problema della rilevanza penale della circoncisione, in assenza di un consenso ponderato da parte di chi la subisce. Poiché l’operazione comporta un’alterazione permanente e non esclude complicazioni mediche e conseguenze psicologiche durature, la volontà dei genitori, motivata da considerazioni religiose, non può prevalere sul principio dell’inviolabilità fisica del minore: questo il sunto degli articoli, a cui si sono rifatti evidentemente i magistrati.
Il caso che ha dato origine alla sentenza riguarda un bimbo musulmano di quattro anni, circonciso a Colonia, nel 2010, da un medico di origine siriana. Tre giorni dopo l’intervento, il piccolo deve essere ricoverato per un’emorragia. Viene operato da un urologo, e la clinica segnala l’evento alla polizia. Dall’indagine segue il rinvio a giudizio del "circoncisore", accusato di aver violato la corretta prassi medica. Una prima sentenza di assoluzione è impugnata dalla Procura. In secondo grado, il tribunale conferma l’assoluzione, poiché il medico si è attenuto alle necessarie norme igieniche, e ha agito in buona fede e in mancanza di una legislazione chiara, ma afferma altresì, per la prima volta in Europa, che la circoncisione rituale viola il codice penale. Una prima conseguenza pratica l’ha tratta l’ospedale ebraico di Berlino, che ha sospeso tutte le circoncisioni fino a nuovo ordine. «Questa è la più grave minaccia al giudaismo tedesco dopo la Shoah», ha dichiarato il Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei, di orientamento conservatore. Il precetto della brit milah, "il patto della circoncisione" è tradizionalmente considerato fulcro dell’identità ebraica. «Né il cielo né la terra esisterebbero senza il sangue della circoncisione», afferma il Talmud babilonese, dando una dimensione cosmica all’ordine che, secondo il racconto del Genesi, fu impartito da Dio ad Abramo. Il volere divino è perentorio: «Nel corso delle vostre generazioni saranno circoncisi all’età di otto giorni tutti i maschi tra voi». Una prescrizione osservata con scrupolo, per migliaia di anni. Non a caso, secondo Baruch Spinoza, la circoncisione da sola avrebbe garantito nella diaspora la continuità del popolo ebraico.
Proprio il diverso atteggiamento verso questo precetto segnò un discrimine fondamentale tra cristianesimo delle origini e giudaismo rabbinico: circoncisione del cuore ma non della carne nel primo, sulla scorta del magistero paolino, irrinunciabile segno fisico nel secondo. Anche se non ha lo stesso statuto scritturale (non è ricordata nel Corano), la circoncisione è connotato identitario di rilievo anche nell’Islam. Non va poi taciuto che la pratica della circoncisione si è diffusa nel secolo XX in particolare negli Stati Uniti, per motivi d’igiene sessuale, e che l’Organizzazione mondiale per la sanità la raccomanda come una delle misure di prevenzione in aree in cui l’Aids è endemico, così che si calcola, nel mondo intero, circa il trenta percento dei maschi siano oggi circoncisi.
Resto di una cultura primitiva, memoriale di fede, profilassi medica o, come sostiene il tribunale di Colonia, inammissibile violenza se praticata su di un bambino? A chi consiglia di attendere l’età adulta, prima di eseguire la cerimonia, il presidente del Consiglio centrale degli ebrei di Germania ha risposto che bisognerebbe trattare la deroga con Dio in persona. Vale a dire che la regola biblica dell’ottavo giorno è tanto perentoria da rendere impensabile qualsiasi cambiamento. A dire il vero, anche all’interno del Giudaismo non mancano voci contrarie alla prassi, sebbene largamente minoritarie. Già nella prima metà dell’Ottocento, esponenti del movimento di riforma ebraica cercarono di abolire la cerimonia, e nella stessa Israele esiste oggi un’organizzazione anti-circoncisione, denominata "Ben shalem" (Figlio integro), con tanto di sito internet (solo in ebraico: britmila.org.il), che afferma di rappresentare il due per cento della popolazione israeliana.
Le discussioni di queste settimane (tra cui quella ospitata negli Stati Uniti in un apposito spazio on-line del «New York Times») mostrano una spaccatura netta tra due campi contrapposti: una sorta di frattura incolmabile tra opinioni laiche e religiose, tra fedeltà alla tradizione e considerazioni razionalistiche dall’altra. È possibile, o necessario trovare un punto di incontro? Uno scontro senza mediazioni sembra destinato a lasciare solo perdenti.