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 2012  luglio 29 Domenica calendario

CALIGOLA, FOLLE EMULO DI ALESSANDRO

Il triumviro Marco Antonio, l’antagonista principale di Ottaviano (poi Augusto), quando era ancora marito della sorella di Ottaviano, ebbe due figlie di nome Antonia. Antonia minor ebbe a sua volta un figlio, Germanico (nato nel 15 a.C.). Germanico sposò Agrippina (maggiore) figlia di Agrippa, il vero vincitore della battaglia di Azio (31 a.C.) ed ebbe vari figli. Uno di essi fu Caligola (Gaio, detto «Caligola»). Sua sorella Agrippina (minore), sposerà Claudio e poi porterà al trono Nerone, nato da un suo precedente matrimonio. Questo intreccio di parentele, indigesto da memorizzare (delizia degli esami di storia romana antecedenti la barbarica lotta al «nozionismo») aiuta a capire che Caligola era dunque il figlio del grande e sventurato Germanico, fatto fuori da Tiberio, e dunque, per il tramite di suo padre Germanico, era anche un discendente di Antonio, lo sconfitto di Azio. Come dire: discendeva dal ramo «sbagliato» e aveva molti motivi di rancore verso Tiberio, che lo aveva alla fine designato successore pur essendo, con tutta probabilità, l’assassino di suo padre.
Non è azzardato supporre che questa linea «antoniana», in cui Caligola si colloca per ragioni familiari, aiuti a comprendere la scelta orientalizzante, decisamente monarchica, demagogica e antisenatoria di Caligola quando, per breve tempo (37-41 d.C.), si venne a trovare al vertice dell’impero. Antonio era pur sempre colui che aveva scelto di spostare ad Oriente, ad Alessandria e in simbiosi con Cleopatra, il baricentro dell’impero. E Ottaviano lo aveva sconfitto travestendo l’ultimo conflitto civile da crociata dell’Occidente contro l’Oriente. Forse anche nella politica orientale di Germanico si possono riconoscere tracce di quella opzione antoniana.
Nato il 31 agosto del 12 d.C., Caligola — il cui nome completo e ufficiale era Caio Giulio Cesare Germanico — crebbe tra i militari. Sin da bambino aveva seguito il padre nelle campagne sul Reno. Imitava i soldati nel modo di vestirsi e il nomignolo «Caligula» (piccolo calzare soldatesco: piccola «caliga») gli fu dato proprio per questa sua mania fanciullesca. Quasi due secoli più tardi, un altro imperatore infamato, Commodo, manifestava una consimile mania mimetica rispetto al mondo gladiatorio e si addobbava da gladiatore. Il potere può produrre queste forme di squilibrio, di voluta fuoruscita dallo schema inerente al ruolo. Certo, nel piccolo Caligola questo era soprattutto un vezzo o un capriccio infantile.
Dal 17 al 19 seguì il padre, Germanico, in Oriente dove, nell’ottobre 19, Germanico — trentaquattrenne e vigoroso — misteriosamente morì. «Si sospettò — scrive Svetonio al principio della Vita di Caligola — che lo si fosse avvelenato: presentava macchie bluastre in tutto il corpo e schiuma alla bocca». Eppure — commenta il biografo — aveva avuto in dote «tutte le qualità fisiche e morali come nessun altro: bellezza, forza, ingegno, eloquenza in greco e in latino, bontà d’animo, grandissima capacità di attrarre il favore della gente». E forse proprio per questo fu liquidato, beninteso per vie tortuose e occulte.
Dal 19 al 31 Caligola visse con la madre Agrippina minore e con la nonna Antonia, la figlia del triumviro. È notevole quante persone memori o testimoni del periodo aspro delle guerre civili vivessero ancora, pur essendo ormai avviata, con la successione «dinastica» di Tiberio ad Augusto, la stabilizzazione del principato. E invece quella ferita bruciava ancora, se si considera che Claudio, la cui passione era la storia, fu sconsigliato vivamente, sia dalla madre (Antonia minore) che dalla nonna, dallo scrivere la storia di Roma a partire dalle Idi di marzo.
Quando Seiano, il micidiale e ascoltato consigliere di Tiberio, cadde in disgrazia, Tiberio, ormai vecchio, si pose il problema della successione. Fece venire Caligola a Roma, gli impose studi di retorica che il giovane non aveva sino ad allora praticato, e fece sì che rivestisse la questura. Nel 37 Tiberio morì e lasciò un testamento, che fu aperto davanti al Senato. Con sorpresa generale, si constatò che egli lasciava al Senato la scelta tra due possibili successori: Gaio (Caligola), ovvero il suo poco amato nipote diretto Tiberio Gemello. Esitazione che sfiorava, come spesso accade, il cinismo. Il Senato scelse Caligola e annullò il testamento di Tiberio.
Ma non aveva fatto i conti con l’incultura politica del giovane. Caligola ignorava il complicato problema in cui si erano più o meno abilmente (ma non senza inasprimenti e rotture) mossi Augusto e Tiberio: il delicato rapporto, cioè, col Senato. Il nuovo princeps si sentì da subito monarca assoluto e questo non poteva che urtare la classe dirigente. Caligola, presentato in luce molto negativa dalla storiografia senatoria, pensò bene di adottare una politica filopopolare (demagogica), tratto anche questo tipicamente monarchico. Ripescò, dall’annullato testamento di Tiberio, le disposizioni relative alle elargizioni al popolo e addirittura restituì al popolo, nei comitia, l’elezione dei magistrati. Immise nuovi provinciali nel Senato. Eliminò l’imposta «centesima» per l’Italia. Ben presto però, costretto ad inasprire le tasse per risanare l’erario, perse molta della sua popolarità. Pretese per sé adorazione come dio vivente (altro tratto da monarca ellenistico, anzi da emulo di Alessandro Magno). La reazione in Giudea a tale provvedimento fu aspra e Caligola non lesinò provvedimenti punitivi: tra l’altro la privazione della cittadinanza alessandrina per gli ebrei di Alessandria (38 a.C.). Traccia significativa di questa vicenda, nonché dei torbidi antiebraici scoppiati ad Alessandria, si trova nell’opera di Filone Ebreo (Legatio ad Gaium).
Fallimentari conati di campagne militari in Germania e in Britannia rovinarono definitivamente l’immagine del principe e ne logorarono il consenso. Il tribuno Cherea riuscì a sorprendere Caligola mentre tornava dai ludi palatini e lo uccise. Egli aveva creato intorno a sé il vuoto: dunque, al di là del controverso suo equilibrio mentale, egli fu in primo luogo un megalomane orientalizzante, politicamente inetto.
La biografia che Svetonio gli dedica è, come sempre, densa di dati di fatto, frutto com’è di documentazione di pregio. Svetonio non si pone domande, allinea fatti: spesso contraddittori. Descrive la sua immoralità privata (cap. 36) ma non dimentica di notare le misure iper-moralistiche da lui assunte al principio del suo governo (cap. 16). Mette in luce, non senza ironia, il dissennato proposito di distruggere i poemi omerici invocando l’autorità di Platone e di far scomparire dalle biblioteche le opere di Virgilio e Livio (cap. 34), ma non trascura di ricordare l’opposto provvedimento — anche questo preso agli inizi — di rimettere in giro le opere di Tito Labieno, di Cremuzio Cordo (lo storico repubblicaneggiante indotto al suicidio da Tiberio) e Cassio Severo. «Era suo massimo interesse — disse emanando tale disposizione "liberale" — che tutti gli eventi accaduti fossero tramandati ai posteri» (cap. 16).
Vi è una specifica difficoltà nel fare storia del dispotismo. Non si sa mai fino a che punto si resti prigionieri di cliché: per esempio quello dei «buoni esordi» sfociati in esiti criminali (come nel celebre ritratto sallustiano di Silla). Sta di fatto che i tentativi recenti di «riabilitare» Caligola — come fece Cardano con Nerone — sanno più di partito preso e sono, in fondo, del tutto speculari alla polarizzazione delle fonti. Del resto si sa che la storiografia antica, ma soprattutto quella romana, è «prosecuzione della politica con altri mezzi»
Luciano Canfora