Antonio Pascale, la Lettura (Corriere della Sera) 29/07/2012, 29 luglio 2012
CONTRABBANDO, IMITAZIONI E TRUFFE. STEREOTIPI SULLA CINA CHE CI CONSOLANO
Alcuni brillanti esperimenti di neuroscienza stanno chiarendo i meccanismi attraverso i quali formiamo le nostre opinioni. E ahimè, spesso, le dinamiche che presiedono i giudizi non sono così incontaminate e libere (come ci piace credere e dichiarare), anzi di frequente, chi più chi meno, siamo soggetti ai cosiddetti bias cognitivi, errori di valutazione. Per esempio, il bias della disponibilità. Ovvero, eventi salienti che attirano la nostra attenzione vengono più facilmente recuperati dalla memoria. Un disastro aereo altera i nostri sentimenti sulla sicurezza del volo e magari per un po’ di tempo preferiamo prendere il treno. È sciocco, in realtà nello specifico il rischio non è cambiato, ma tant’è: è appunto un bias della disponibilità.
Un problema della modernità, in effetti. La comunicazione privilegia l’aspetto emotivo e questo genera bias cognitivi. Cosa bisognerebbe fare in questi casi? Sarebbe cosa buona e giusta preferire l’analisi e leggere le statistiche, insomma cercare di controbilanciare l’emotività e la semplificazione. Insomma, un po’ di impegno da parte nostra. Queste cose mi sono venute in mente leggendo un libro, Tra poco la Cina, di Davide Cucino (Bollati Boringhieri). In effetti i cinesi, il fatto che siano tanti e che tante siano le notizie emotive che ogni giorno leggiamo, la Cina e i cinesi, appunto, formano un immaginario molto superficiale. Ci vengono in mente immagini ostiche: contrabbando, imitazioni coatte, cinesi che non muoiono mai. Quante volte abbiamo attribuito la colpa della crisi occupazionale ai cinesi — poi all’euro e poi alla Germania (crisi che a ben vedere è iniziata nel 1992 e da allora si è solo aggravata, appesantiti come siamo da privilegi consortili e scarsa innovazione). Insomma, il bias della disponibilità nel caso della Cina è veramente abbondante e dunque i nostri giudizi politici, economici, sono di sicuro viziati.
Opinioni viziate generano scelte e strategie politiche confuse e queste ultime tornano, come fantasmi, a inquinare i nostri giudizi. Davide Cucino, sinologo e conoscitore delle dinamiche cinesi, come si dice in gergo, dal di dentro, cerca di interrompere questo circolo vizioso, mettendo sulla pagina un’interessante analisi geopolitica e culturale su questo complesso Paese che è la Cina. Cosciente del fatto che fra pochi anni l’America perderà il suo primato economico, e l’Europa dovrà sforzarsi per restare perlomeno ai margini della plancia di comando. Insomma, la Cina si appresta a diventare una potenza di riferimento e questo spaventa, come spaventa il fatto che, comunque la mettiamo, la Cina è portatrice di valori non occidentali. In sostanza, stiamo per fare i conti con un gigante economico e culturale e abbiamo però di questa nazione una percezione molto distorta. In Italia la situazione poi è ancora peggiore. È lo stesso Cucino a scrivere: «La Cina viene trattata con leggerezza, senza che si sia ben compreso come gran parte delle scelte prese a Pechino si riflettano inevitabilmente sulle nostre azioni quotidiane e, con ogni probabilità, sulle sorti delle future generazioni d’Europa. È compito della sinologia e di coloro che hanno a che fare con questo straordinario Paese cercare di offrire un contributo più critico e informato, che aiuti a capire l’importanza di Pechino nel contesto della futura governance globale».
Cucino cerca dunque di affrontare questo compito analitico (e divulgativo) partendo dalle riforme economiche, analizzando, poi, la graduale apertura all’esterno che non solo ha consentito l’ingresso nel Paese di tecnologie e competenze — un enorme progresso per la Cina — ma che ha inoltre permesso a Pechino di produrre, per i mercati esteri, beni a basso costo — beni di consumo che l’Occidente ha sfruttato a pieno, mantenendo bassi i prezzi sui propri mercati. Tuttavia questo consolidamento ha sollevato preoccupazioni e timori. Anche nelle aree dove la Cina ha contribuito molto alla realizzazione di infrastrutture (la maggior parte dei Paesi africani e alcuni Paesi sudamericani). È per scongiurare queste preoccupazioni che la Repubblica popolare ha cominciato a promuovere politiche di diffusione della sua cultura. Non sempre queste azioni hanno sortito l’effetto desiderato, causa difficoltà di comprensione derivanti dal suddetto immaginario e da alcune politiche cinesi non proprio democratiche.
Alla fine, viene fuori un libro molto interessante, bilanciato e attento ai singoli aspetti, un libro, è bene dirlo, che richiede un certo impegno da parte del lettore, ma l’impegno ha tutto un repertorio di soddisfazioni di cui è piacevole godere. E poi è bello sconfiggere i propri bias cognitivi, al grido di viva l’analisi.
Antonio Pascale