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 2012  luglio 29 Domenica calendario

QUANDO I RE FALLISCONO UNA STORIA INGLESE DEL TRECENTO

Lei ha ricordato che dopo il Cinquecento l’Europa fu invasa da un fiume di oro e di argento. Come mai, nel corso dei secoli, tanti sovrani europei dichiararono fallimento? E che accadeva quando un re dichiarava fallimento, come successe, se non ricordo male, anche al re inglese Edoardo III?
Stella Roversi, Bologna
Cara Signora, se la parola fallimento significa bancarotta, chiusura dell’azienda e, come accadeva ancora nell’Inghilterra del Settecento, un lungo soggiorno nel carcere dei debitori, i re non corrono questo rischio. Se il re non paga, quelli che falliscono sono, se mai, i suoi creditori. Il caso più interessante, anche per l’uso propagandistico che ne fece il regime fascista, è quello di Edoardo III, re d’Inghilterra dal 1327 all’anno della sua morte nel 1377. Il suo regno fu una lunga sequenza di battaglie. Cercò di governare la Scozia per procura, rivendicò il regno di Francia e s’impegnò, a sud della Manica, in una guerra che sarebbe durata cento anni. Poté vantare grandi trionfi militari a Crécy, a Calais e a Devil’s Cross contro i ribelli scozzesi, e ne pagò le spese grazie a un grosso prestito (circa un milione e mezzo di fiorini) contratto con due grandi famiglie di banchieri fiorentini, i Baldi e i Peruzzi. Ma quando giunse il momento di restituire la somma, disse semplicemente che non avrebbe pagato dichiarandosi, come si direbbe ora, insolvente. I banchieri fallirono trascinando con sé altre case fiorentine e senesi, ma il re continuò a combattere. Nell’anno della sua morte, l’Inghilterra non aveva sconfitto la Francia, ma era padrona di Calais, Cherbourg, Brest, Bordeaux e Bayonne.
A sua discolpa occorre aggiungere che gli anni del suo regno furono segnati dalla «morte nera», una delle peggiori pestilenze dell’intera storia d’Europa. Veniva dall’Asia, si era manifestata sulla costa sud-occidentale dell’Inghilterra e aveva infestato l’intero Paese. Quando Edoardo, nel 1346, partì per la campagna militare che si sarebbe conclusa con la grande battaglia di Crécy, le regioni inglesi delle isole britanniche contavano quattro milioni di abitanti. Quando tornò, tre anni dopo, erano due milioni e mezzo. La «morte nera» ebbe tra l’altro l’effetto di distruggere gran parte del patrimonio ovino del Paese e di ridurre drasticamente le esportazioni di lana. Quando venne il momento di pagare il debito, le casse del reame erano davvero vuote.
Nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale, la disavventura inglese dei banchieri fiorentini divenne un film di Giovacchino Forzano intitolato «Il re d’Inghilterra non paga», in cui un personaggio annuncia alla fine del film che ora, tuttavia (alludeva alla guerra in corso), avrebbe pagato. Ambientato nella Firenze del Trecento, il film piacque per la ricostruzione degli ambienti e dei costumi, ma un critico dell’epoca scrisse che gli attori, «costretti dalle pastoie di una regia e di un dialogo decisamente toscaneggianti e trecenteschi» avevano «impresso alla vicenda un ritmo melodrammatico da vecchio affresco». Sembra che il pubblico non lo avesse preso sul serio e che si sentissero nelle sale, qua e là, battute ironiche.
Sergio Romano