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 2012  luglio 29 Domenica calendario

MERCATI DA RIFORMARE E POLITICHE DA ADEGUARE

Nell’intervista a Le Monde pubblicata il 21 luglio (rilasciata tre giorni prima) e nella dichiarazione di giovedì scorso da Londra il presidente della Bce Mario Draghi ha chiarito che l’euro è irreversibile. Le altalenanti posizioni tedesche sovente lasciano supporre il contrario, facendo risalire gli spread verso i bund a livelli di massimo pericolo per i Paesi «deboli» e di sommo gaudio per quelli «forti». È veramente strana questa crisi. È iniziata con le malversazioni della grande finanza anglosassone, alla quale si erano gioiosamente associate le banche tedesche; è proseguita con i grandi salvataggi bancari per cifre pazzesche: secondo i dati R&S, dal 2008 al giugno scorso, al netto delle restituzioni, gli americani hanno sborsato 1.175 miliardi di dollari e gli stati europei 1.108 miliardi di euro. Dalla finanza anglosassone la crisi si è trasferita sull’economia reale e sul debito sovrano che poggia su di essa. L’Italia, innocente vaso di coccio, sta subendo gli effetti più dolorosi in termini di eccessive politiche di austerità, razionamento e maggior costo del credito, aumento dei disoccupati. Pochi anni fa eravamo tra i più diligenti nella condotta delle finanze dello Stato, ma per i mercati portiamo il peccato originale del grande debito pubblico. Il 16 luglio il Fondo monetario ha diffuso le sue stime per l’eurozona. L’aspetto più tragico è la disoccupazione che dal 2009 è salita a livelli preoccupanti e ristagnerà all’11% nel 2012-14. È il risvolto dei bassi livelli della domanda aggregata: consumi privati in lieve crescita (nel 2014 un punto in più rispetto al 2011; ma per noi saranno 3 punti in meno), consumi pubblici in regresso (un punto in meno per l’eurozona, -3 per noi) e investimenti ristagnanti a un livello inferiore di 12 punti al 2007 (per noi la flessione è di ben 19 punti). C’è una logica correlazione tra la caduta degli investimenti e il ristagno dei consumi da un lato, e l’aumento dei senza lavoro dall’altro. Molti chiedono provvedimenti strutturali per aumentare la produttività: ma qui si tratta di spingere la produzione per riportare nelle fabbriche coloro che ne sono stati espulsi. È preferibile incentivare gli investimenti, ottenendo nell’immediato un aumento di domanda e in seguito effetti sulla produttività. Nel frattempo, le proposte della troika rasentano il ridicolo. La cura (stantia) suggerita dallo stesso Fmi all’Italia punta sulla produttività, sulla riduzione del peso dello Stato nell’economia, sulla riforma del mercato del lavoro e sul sostegno alle piccole imprese attraverso la riduzione dei costi di start up e una minore burocrazia. Pare che non ci si renda conto che occorre una «spinta vera» per far ripartire la macchina a cui si è spento il motore; solo dopo si potranno mettere a frutto le riforme strutturali, ammesso, ma non concesso, che le indicazioni dei «grandi» funzionino. L’Italia è «Paese debole», ancorché le vengano riconosciuti fondamentali fiscali migliori di Stati Uniti e Regno Unito (Christian Noyer, 6 luglio scorso); ma questi continuano a ricevere dalle «loro» agenzie il rating massimo, riuscendo così a indebitarsi a costi che sono ai minimi storici. C’è decisamente qualcosa che non va in questi «mercati» e la loro riforma è la grande sfida che dobbiamo lanciare dandoci nel contempo coraggio con una spinta forte all’economia. Il 29 giugno da Bruxelles è uscito un fragoroso compact per lo sviluppo e l’occupazione i cui, invero pallidi, effetti «reali» cominceranno, se va bene, dal prossimo autunno. Quando i «grandi» europei si riuniscono per affrontare un problema urgente assomigliano agli alberi della foresta di Fangorn nel romanzo di Tolkien: discutono, discutono, discutono...
Fulvio Coltorti