Silvia Bizio, la Repubblica 28/7/2012, 28 luglio 2012
LOS ANGELES
Mary Louise Streep, in arte Meryl, “la Grande Streep”, classe 1949, iniziò a recitare al liceo. Nei musical scolastici, aveva la passione della musica, studiava canto. Dopo aver debuttato in teatro con una compagnia itinerante del Vermont, la Streep passò alla prestigiosa School of Drama dell’università di Yale (Connecticut). Quindi trovò un impiego fisso come attrice di teatro al New York Shakespeare Festival di Joseph Papp. Nel 1977 debuttò in tv nel telefilm
The Deadliest Season
(poi la miniserie
Olocausto,
1978), e al cinema lo stesso anno (1977) con
Julia.
Quindi venne
Il cacciatore
(1978) e la parte di co-protagonista accanto a Dustin Hoffman in
Kramer contro Kramer
(1979) che la rese famosa nel mondo (vinse il primo dei suoi tre Oscar). Meryl è l’attrice con il maggior numero di candidature all’Oscar (18) nella storia del cinema. Ha quattro figli (tre femmine e un maschio) avuti dal suo marito di sempre,
lo scultore Don Gummer.
Mrs Streep, sono stati difficili gli inizi della sua carriera nel cinema?
«Prima di tutto ricordo che si girava tutto su pellicola, non c’erano monitor. Il regista doveva osservare bene la scena che si stava girando per giudicare se andava bene o meno. Non poteva premere il bottone del rewind per esprimere un opinione a posteriori. Doveva fidarsi del suo istinto e fiuto all’istante. E questo creava sfide molto particolari per noi attori giovani alle prime armi. Un attore giovane non può sapere com’è la sua performance. Bisogna fidarsi degli altri in quei momenti».
Lei però cominciò la carriera di attrice in palcoscenico.
«Devo dire che sono contenta di essermi formata in teatro. Mi ritengo fortunata di aver avuto l’esperienza di immaginare me stessa in altre situazioni e in altri panni, ovvero la possibilità di trasformarmi e sentire subito l’effetto che fa sul pubblico, dal vivo. Se avessi iniziato in televisione, o peggio nella reality tv, non avrei avuto
quel privilegio. Starei ancora cercando me stessa. Sono felice di aver frequentato quella scuola emotiva e creativa fin dall’inizio, perché credo di esser riuscita a concepire me stessa in maniera molto più ampia e aperta rispetto a quanto riescono a fare oggi tante attrici giovani».
Cosa l’ha spinta a recitare?
«Non c’è stata recita scolastica, fin dalle elementari, a cui non abbia partecipato con una passione che molti definivano esagerata. Non era solo la recitazione, ma qualsiasi forma di spettacolo. Non a caso ero una cheerleader, nonostante, avessi l’apparecchio
per i denti, gli occhiali, e insomma non ero proprio Jayne Mansfield».
E finita la scuola che fece?
«Dopo il diploma mi iscrissi al Vassar College di New York, dove ho studiato drammaturgia e scenografia. Poi sono passata all’accademia d’arte drammatica di Yale, inziando a fare teatro, prima come dilettante poi come professionista. Avevo il pallino di Sarah Bernhard».
Fu quando conobbe il suo allora fidanzato
John Cazale?
«No, conobbi John anni dopo, quando recitammo insieme
La bisbetica domata,
nel 1977, per la rassegna
“Shakespeare in the Park”, a New York. John ed io ci innamorammo e ci mettemmo insieme. Tramite lui conobbi Robert De Niro e Christopher Walken. Stavamo sempre insieme. Con John, Bob e Chris facemmo poi insieme
Il cacciatoredi
Michael Cimino, nel 1978. Fu l’esperienza che ci legò per sempre. Anche se John morì dopo sei anni. Fu un grandissimo dolore per me, lenito solo anni dopo, quando incontrai mio marito Dom e nacquero i miei figli».
E’ stato facile per lei farsi largo nel cinema?
«Mi ha aiutato la mia esperienza
teatrale. Il regista di
Kramer contro Kramer,
Robert Benton, mi aveva vista in una messinscena di
A memory of two mondays
di Arthur Miller, a Broadway, e nella miniserie tv
Olocausto.
Il provino con Dustin Hoffman per
Kramerfu
comico, perché ci conoscevamo e temevamo di smascherarci a vicenda. Un attore alle prime armi si sente sempre un pochino un impostore. Dopo il successo di
Kramer
venne
Manhattan
di Woody Allen e
La scelta di Sophie»
.
A quel punto la sua carriera era in discesa.
«Tutti grandi successi, è vero. Eppure c’era sempre qualcosa che non andava: non ero sufficientemente bella, avevo il naso lungo, la faccia spigolosa, facevo troppi accenti stranieri, ero troppo “brava”, in poche parole. Ecco, a volte, alle audizioni nei primi anni di carriera, mi veniva quasi spontaneo di recitare sottotono, non dare il cento per cento, per paura di venire subito scartata. Ma dopo
Silkwood,
nel 1983, non ho più dovuto fare provini. Ed è stato un grande sollievo. È questo il lusso più grande che un’attrice può vantare. Venire scritturata senza esami di prova ».
Cosa consiglia ai giovani attori o agli aspiranti?
«Odio dare consigli. Semmai raccomandazioni (ride). È importante capire quale ruolo va bene o meno in relazione alle proprie capacità e dunque è importante capire chi sei, avere coscienza di se stessi. Poi raccomando di lavorare il più possibile: la recitazione è come uno strumento musicale, se non suoni di continuo le mani si arrugginiscono. Non si finisce mai di migliorare. Terzo: non accettare un lavoro solo in base al salario, seguire invece la passione e la convinzione. Quarto: non fare niente di cui non si è convinti. Ultimo: disfarsi della vanità. Quella la puoi sfoderare il giorno degli Oscar. Ma la macchina da presa è allergica alla vanità. Parola di una che non si fa problemi ad apparire bruttina sul grande schermo. Avessi cercato di imbellirmi, avrei fallito come attrice e non starei qui adesso ad ammannire perle di saggezza».
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Meryl Streep, 63 anni, del New Jersey una delle attrici più amate e celebrate di Hollywood È stata candidata all’Oscar per ben 18 volte un record assoluto