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 2012  luglio 28 Sabato calendario

DI FRONTE

allo scandalo della manipolazione del Libor, bisognerebbe cominciare a chiedersi, vista la quantità di scandali finanziari, se non sia l’approccio usato per la regolamentazione a essere inefficace, e se la regolamentazione sia l’arma giusta per combattere gli abusi.
Il Libor è un tasso che misura il costo medio di indebitamento per le banche a diverse scadenze e in varie valute. La L di Libor sta per Londra, dove viene calcolato ogni giorno alle 11, come media dei tassi di indebitamento di 16 banche scelte dall’Abi inglese, scartati i 4 più alti e più bassi. L’Euribor è analogo al Libor, ma si riferisce al solo euro, e viene determinato da 40 delle 57 banche che comunicano i tassi.
Delle manipolazioni si sapeva già dal maggio 2008, quando un bellissimo studio del
Wall Street Journal
dimostrò come il tasso comunicato da ogni banca fosse, in certi momenti, sostanzialmente
inferiore al costo dell’indebitamento implicito nel Cds della stessa banca, pur dipendendo entrambi dal rischio di default della banca. Un altro studio, del 2010, ha fornito ulteriori prove di manipolazione: il costo relativo di indebitamento di una banca rispetto alle altre, nelle diverse valute, al momento di fissare il Libor poteva variare parecchio, anche se il rischio relativo di default non dipende dalla valuta di indebitamento; inoltre, la dispersione dei tassi delle diverse banche tendeva a concentrarsi proprio alle 11, l’orario di rilevazione.
Quale è il costo della manipolazione? La gestione del rischio di interesse avviene attraverso derivati (
interest swap)
dove le controparti si impegnano a pagarsi la differenza tra un tasso fisso a lungo termine e il Libor: manipolandolo, le banche hanno fatto guadagnare indebitamente chi, nel mercato degli swap, incassava il tasso fisso (pare le stesse banche coinvolte).
Lo scandalo è innanzitutto un problema di antitrust, non di regolamentazione: conferire a 8 banche il potere di determinare un tasso di riferimento da cui dipende il valore di miliardi di derivati,
è come giocare alle tre tavolette nelle stazioni della metropolitana. Il caso è analogo a quello delle società di rating analizzato sabato scorso; o delle tante fregature negli Ipo o nelle operazioni di M&A: finché i mercati saranno in mano a un pugno di banche, la trasparenza sarà un’illusione, indipendentemente dalle regole. Lo stesso vale per l’intermediazione, concentrata in pochissimi
prime brokers,
per i derivati Otc, per i sistemi e gli algoritmi di trading. La pluralità di operatori in concorrenza rimane la migliore regolamentazione.
Invece, dopo ogni crisi, c’è un aumento della concentrazione del sistema bancario. Anzi, le autorità considerano le fusioni tra banche uno strumento per garantire la stabilità e non un ostacolo alla concorrenza, foriero di frodi. La dimensione preoccupa solo dal punto di vista della stabilità: quindi si chiedono più capitali ai
too big to fail.
Bisognerebbe invertire la rotta: abbandonare il modello di banca universale, separando le attività di investimento da quelle commerciali; e ritornando a istituzioni più piccole, ma specializzate e concorrenziali. I vantaggi delle economie di scala sono stati abbondantemente superati dai costi dell’oligopolio, degli scandali e dell’opacità. Lo scandalo Libor ci insegna che la struttura del mercato può più della regolamentazione. Un mercato dominato da pochi sarà sempre opaco e instabile, perché moltiplica il rischio controparte. Se le transazioni avvengono in mercati organizzati, liquidi e concorrenziali, con molteplicità di operatori e gestione centralizzata del rischio controparti, i problemi spariscono. I futures esistono da 100 anni: sono derivati, speculativi, a leva, ma non sono mai stati fonte di crisi. I Cds hanno fatto crollare Aig, la prima assicurazione al mondo; ma da quando sono accentrati presso la Clearing Corporation, che assicura la trasparenza, funzionano egregiamente, come dimostra la gestione del default greco. E questo, forse, vuol dire qualcosa.