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 2012  luglio 27 Venerdì calendario

DA WEILL IL PENTITO ALLE SBANDATE DI JP MORGAN. GLI INCENDI D’ESTATE DELLE BANCHE SUPERMARKET —

Estate di fuoco per le banche: quelle spagnole bisognose di salvataggio, mentre gli istituti del resto dell’Europa continentale rischiano grosso per effetto della crisi del debito sovrano di Madrid, Roma e di altri Paesi dell’Unione. Ieri è toccato all’ex direttore generale del Fondo Monetario ed ex ministro delle Finanze spagnolo, Rodrigo Rato, difendersi davanti al Parlamento di Madrid dalle accuse di cattiva gestione o, peggio, malversazione, per il crollo di Bankia, la conglomerata bancaria da lui diretta. Arrivata a un passo dalla bancarotta, Bankia ha chiesto un salvataggio da 19 miliardi di euro. Rato, costretto alle dimissioni, dovrà rispondere di varie accuse.
Ma anche le banche anglosassoni sono sotto pressione perché gli istituti principali incarnano un modello - quello del gigante bancario tuttofare - che non tiene più. Le disavventure della JP Morgan Chase, la banca meglio gestita d’America. Lo scandalo del tasso Libor manipolato che ha costretto anche il capo del gruppo britannico Barclays, Bob Diamond, alle dimissioni (gettando un’ombra pesante anche su Bank of England e sui controllo carenti della Fed americana). Il caso di «insider trading» che ieri ha costretto Kenichi Watanabe, il numero uno di del gigante giapponese Nomura, a lasciare l’incarico. Tutte queste sono manifestazioni della pressoché totale impossibilità di controllare dal centro giganti bancari con centinaia di migliaia di dipendenti che operano in tutto il mondo e sono attivi nei settori più disparati: dal credito al consumo ai segmenti più sofisticati e rischiosi del mercato dei derivati.
Un modello, quello del «supermercato» finanziario, tenuto a battesimo alla fine degli anni ’90 da Sanford Weill: il grande banchiere (ora in pensione) che creò Citigroup fondendo, passo dopo passo, banche commerciali e d’affari, pezzi di società d’investimento e di gruppi assicurativi. Una serie di operazioni audaci e spregiudicate perché, quando Weill (correva il 1998) mise insieme Travelers, Smith Barney, Salomon Brothers, Drexel, un pezzo di Aetna e poi le fuse con Citicorp, era ancora in vigore l’obbligo di separazione tra banche commerciali e d’affari introdotto nel 1933 col Glass-Steagall Act. Solo l’anno dopo (1999), davanti al fatto compiuto della nascita del gigante Citigroup, il Congresso varò una legge che superava il divieto del 1933.
Il crollo della Lehman nel 2008, il «boom» delle attività finanziarie più spericolate nella quale si sono tuffate le grandi banche commerciali attratte dalla possibilità di facili guadagni e, ora, i nuovi incidenti di percorso e gli scandali a raffica, stanno convincendo un numero crescente di protagonisti della finanza e della politica americana che questi giganti del credito andrebbero smontati per ridurre i rischi di una loro deflagrazione.
Ma adesso la notizia più clamorosa è che a caldeggiare il ritorno al regime di separazione del Glass Steagall Act è lo stesso Sanford Weill, il «grande burattinaio» dell’affossamento di quella legge. L’altra mattina, in una breve intervista alla rete televisiva finanziaria CNBC, ha preso tutti di sorpresa demolendo in poche battute la visione finanziaria che lui stesso aveva imposto al mercato e fatto prevalere in Congresso: «Se vogliamo proteggere i contribuenti e i depositi dei risparmiatori dobbiamo avere il coraggio di fare a pezzi queste grandi conglomerate bancarie» ha spiegato davanti all’intervistatore sbalordito.
Sbalordimento giustificato dal fatto che 13 anni fa Weill fu il superlobbista che lottò senza tregua per scardinare quel Glass-Steagall Act che ora vuole far tornare in vita. Allora per abbatterlo arrivò al punto di telefonare a notte fonda all’allora presidente Bill Clinton per assicurarsi il suo sostegno alla legge che demolì il muro di separazione tra credito ordinario e «investment banking». Adesso ripete che quella decisione aveva una sua logica, ma poi aggiunge che furono fatti errori e che il modello da lui immaginato ha smesso di avere un senso quando «il mondo è cambiato con la bolla immobiliare e il collasso del mercato della casa, determinato anche dall’uso estremo della leva finanziaria da parte di molte istituzioni creditizie».
In realtà, anche se in questi anni non si era mai espresso così esplicitamente, il ripensamento di Weill sembra essere cominciato a maturare anche prima del 2008: il grande banchiere, infatti, si ritirò nel 2003 cedendo la guida del pachiderma Citigroup non ad un altro uomo di finanza ma a un avvocato: Charles Prince, chiamato soprattutto a risolvere i molti problemi legali emersi per i comportamenti spregiudicati di alcune unità fuori controllo. Ma ormai si erano aperte le cateratte, come dimostrò il caso dei giovani broker che nell’estate del 2004 fecero saltare il mercato obbligazionario europeo vendendo all’improvviso 11 miliardi di euro di titoli, riacquistandoli subito dopo a un prezzo più basso. Prince fu costretto a girare il mondo per scusarsi e a mandare i suoi banchieri a scuola di etica degli affari.
Massimo Gaggi