Piero Melati, il venerdì 27/7/2012, 27 luglio 2012
Calcio da vendere. Tutto è perduto, anche la maglia – Ai tempi dell’Italia delle nonne, quando maglia era sinonimo di lana, si sarebbe potuto dire che questa, in fondo in fondo, «è una questione di maglia caprina»
Calcio da vendere. Tutto è perduto, anche la maglia – Ai tempi dell’Italia delle nonne, quando maglia era sinonimo di lana, si sarebbe potuto dire che questa, in fondo in fondo, «è una questione di maglia caprina». Ma oggi che le maglie sono fatte in microfìbre di poliestere, indeformabili, resistenti agli strappi, pensate dagli sponsor tecnici per far circolare l’aria e disperdere l’umido, ecosostenibili (prodotte dal riciclo di otto bottiglie di plastica), oggetto di allarmi per il rilascio di piombo e nichel, tutto è diventato improvvisamente così serio. «Toglietevi le maglie» pretesero con rabbia gli ultra del Genoa dai loro giocatori, il 21 aprile scorso, dopo che la squadra aveva beccato quattro pappine dal Siena, tra le mura amiche del Ferraris. Perché la maglia, nel calcio inquinato e mercenario, è rimasta davvero l’ultima bandiera. E il calcio, si sa, ha la sua meta fisica (l’urlo di Tardelli, la mano de Dios con cui Maradona segna all’Inghilterra) e la sua estetica (i numeri di maglia ritirati, da Riva a Baggio, da Baresi a Pacchetti). Cosi, quest’anno, proprio sulle maglie si è aperto un duro contenzioso. Niente di nuovo, d’accordo, però fa più che specie, nell’Italia alle prese con lo spread, gli scandali, il buio che ci attende. Ha cominciato la Juve, dichiarando che la Vecchia Signora due sole stellette sulla maglia non ce le mette proprio. Ne vuole tre o nessuna. Le hanno scippato uno scudetto, per la Calciopoli di Moggi, assegnandolo all’Inter. E ha proseguito proprio l’Inter, presentando una seconda maglia dal colore rosso fuoco, provocando la furia della curva Nord: «Sembriamo il Milan». «Ma no, semmai il Manchester United» ha replicato il presidente Moratti. Appunto. Milan, Manchester, tutto fuorché l’Inter. E non ancora paghi, si è accodata anche la Fiorentina, discettando con paragoni tra la propria divisa e quella dei Lakers, Nba americana (per altro basket, non football). Niente da prendere sul serio, se non il fatto che, quando il calcio scivola nei simboli, è meglio indossare l’elmetto. Non sono forse ruzzolati dalle curve degli stadi ex jugoslavi i più accreditati tagliagole del conflitto balcanico? In un mondo che conta solo in Italia 28 milioni di tifosi, e celebra ogni anno 4511 partite professionistiche e 586.985 dilettantesche, non sarà il caso di pesare le parole e maneggiare con cautela i simboli? E invece. Il simbolo maglia («sudata d’amore» la decantarono gli ultra laziali) è oggi in mano al marketing. Ecco perché cambia ogni anno forme e colori: per venderne di più. E capirai quanto potrai ottenere, dai signori del profitto, a chiedere loro di mostrare sensibilità a simboli e bandiere... Il giro d’affari del pallone, valuta la Federcalcio, è di circa 2,5 miliardi di euro (con l’indotto sfiorerebbe tra i 7 e i 9 miliardi annui). La più grossa fetta sono i diritti tv, ma la seconda voce prima di biglietti venduti e sponsor si chiama merchandising. È tra il 22 e il 25 per cento del business, con una forbice che oscilla tra 17 e 19 milioni.«In questa storia, i tifosi sono la parte offesa» dice Raffaele Cantone, tifosissimo del Napoli, oggi in Cassazione, una vita contro il clan dei casalesi, autore di Operazione Penelope (Mondadori), libro in cui tra l’altro bacchetta Mario Balotelli per il suo tour a Scampia, il quartiere dei narcos partenopei. Spiega Cantone: «Senza l’elemento romantico, fatto di maglia, colori, passione, la macchina del calcio si fermerebbe. Ma i tifosi oggi sono vittime dello showbiz, del calcio spezzatino pro domo tv, degli interessi degli sponsor. Si fa finta che non ci siano alternative. Non è vero. Il Barcellona non ha mai cambiato maglia. I colori identificano la squadra. L’aspetto simbolico è decisivo». Ma allora, perché la macchina sbanda cosi tanto? Sostiene Cantone: «Il calcio è un ascensore sociale senza pari. Vale più di tutte le Confindustrie. Entri in mondi e conosci gente che altrimenti non saprebbero neppure chi sei. Stringi mani, fai foto, tessi amicizie come in nessun altro contesto al mondo. Per questo il calcio fa gola alle mafie». Tutto cominciò con Maradona fotografato con il clan Giuliano. Era il 1986. «Ma Diego era genio e sregolatezza» ricorda Cantone «Balotelli è diverso, non gioca nel Napoli, quindi c’è da chiedersi: quali mondi ruotano intorno al calcio tanto da portarlo da Manchester a Scampia? Ma ancora più atipico è il caso Hamsik. Lui è un modello nei comportamenti, fa vita riservata, tutto casa e famiglia. Eppure, anche lui, la foto con un boss... Forse per questo il club ha portato la squadra ad allenarsi in provincia di Caserta, in un ambiente superblindato». Il calcio è un’arma potente, ricorda lo storico Guido Crainz. Un’arma politica. Ci informa Craiz: «Nel 1990, con Berlusconi presidente del Milan da quattro anni, sulla rivista Problemi dell’informazione, Paolo Martini scrisse che l’urio "Silvio, Silvio" degli ultra a San Siro tracciava un "orizzonte peronista di un Berlusconi politico a tempo pieno". E due anni dopo, in effetti, Berlusconi scese in politica. Dunque, analizzando il calcio usato come trampolino di lancio, si poteva già capire che Berlusconi aveva capacità politiche personali, e non viveva solo all’ombra di Craxi. In quegli stessi anni, Gianni Rocca scriveva che il rifugio salvifico che la politica non garantiva più, gli italiani lo stavano cercando nel mondo della pedata, dove c’era la chimera di un surrogato di nazione e di patria. Nel ’92 i cortei a favore dei giudici di Mani Pulite a Milano erano scanditi dallo slogan: "Milan campione, Pillitteri in prigione"». Così, in un mondo che (come spiegano Giuliano Foschini e Marco Mensurati in Lo zingaro e lo scarafaggio, Mondadori) un milione di euro può fare due volte il giro del mondo in 23 secondi, grazie al calcio scommesse; o nel quale una maglia bucata di Aristide Guarneri (n.5 dell’Inter di Herrera) vale all’asta tremila euro, smettiamo di sognare il verdeoro del Brasile campione del mondo del 1970, la più bella tra 50 maglie di tutti i tempi, secondo una classifica del Times. La vostra prossima potrebbe benissimo essere quella dei Colorado Caribous del ’79, con le frange sul petto. È stata la più brutta del mondo. Ma se la vuole lo sponsor…