Laura Laurenzi, il venerdì 27/7/2012, 27 luglio 2012
i segreti di Chiara, la sacerdotessa del Bisso che tesse con un filo di mare Fa un certo effetto trovarsi di fronte a una sacerdotessa del mare, unico maestro di bisso (bisogna usare il maschile) rimasto al mondo
i segreti di Chiara, la sacerdotessa del Bisso che tesse con un filo di mare Fa un certo effetto trovarsi di fronte a una sacerdotessa del mare, unico maestro di bisso (bisogna usare il maschile) rimasto al mondo. Però non mette soggezione, anzi è materna e accogliente pur vivendo nel mito Chiara Vigo, sarda di Sant’Antioco, 57 anni, un’esistenza spesa al telaio ma soprattutto sott’acqua, a compiere una missione, così lei vive il suo incredibile lavoro. Un lavoro che consiste nel portare alla luce il bisso, o seta marina, o capelli di sirena, quei filamenti che lentissimamente la pinna nobilis produce, la più grande conchiglia del Mediterraneo che nel 1992 è stata dichiarata in via d’estinzione ed è dunque una specie protetta. «Cosi questo bivalve, incrocio fra una cozza e un’ostrica che può essere lungo anche un metro, è tornato a prosperare sulle praterie di posidonia dei nostri mari. E la sua massima concentrazione è proprio qui, nelle acque di Sant’Antioco», racconta con la sua voce forte e scura la «donna acqua». Ha lo sguardo alto e il gesto calmo la pescatrice e vestale: «Io prendo solo ciò che il mare regala. Non faccio alcun danno al mollusco, che quando non era protetto invece veniva pescato con la rete a strascico. È un mollusco intelligente, madreperlaceo dentro e ruvido fuori, che produce perle colorate e nasconde una ghiandola setacea stimolata dal continuo movimento delle valve. Sembra che respiri». La spiegazione è precisa: «Di tanto in tanto sputa una bava a base di cheratina che a contatto con l’esterno si solidifica. Sembra una barba grezza e incolta, ma portata dal buio alla luce si trasforma in bisso, un vello d’oro soffice e biondo con cui venivano intessute e ricamate le vesti pregiate dei re e dei sacerdoti. Se ne parla anche nella Bibbia come del tessuto degli abiti di re Salomone e della regina Ecuba, e ne ha parlato Aristotele. Più sottile di un capello è mille volte più resistente, non si deteriora e non viene attaccato dagli insetti. Lo usavano per i paramenti sacri gli antichi greci e i caldei, gli ebrei e gli egizi». E proprio Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo si intitola l’e-book (Cartabianca Publishing, pp. 38, euro 11,99) che la giornalista Susanna Lavazza ha scritto dopo avere trascorso due anni fianco a fianco alla misteriosa signora dei mari. «All’inizio, quando ci siamo conosciute, non credevo a metà delle cose che lei diceva e raccontava» ricorda Lavazza. «Ma giorno dopo giorno mi sono dovuta ricredere: è tutto vero». Vero per esempio che Chiara Vigo nel mese di maggio, con la luna nuova, va a recuperare quel vello d’oro marino a mani nude, tuffandosi e scendendo fino a 13 metri armata solo di un paio di occhialini, delle sue unghie e di un piccolo bisturi. È vero che non usa le bombole («quelle diavolerie moderne non mi interessano, io sono un animale antico»), non usa le pinne e nemmeno la muta, anzi nuota indossando una tunica di lino lunga fino ai piedi. È vero che ci vogliono un centinaio di immersioni per portare a galla 300 grammi di filo grezzo che diventano 30 grammi di filo pulito e poi 18 metri di filo ritorto, «quello che mi è servito per ricamare su lino la Natività che oggi è esposta al Museo Pigorini di Roma». E vero che Chiara ogni alba e ogni tramonto va a pregare sul mare, canta in aramaico davanti alle onde, recita litanie e formule magiche nel linguaggio del popolo di Nur che 2.500 anni fa abitava i nuraghi. È vero che ha fatto un giuramento in riva al mare e ha ricevuto l’anello di maestro: «In questo giuramento ho accettato di servire l’acqua per tutta la mia esistenza e ho conosciuto la formula segreta per la trasformazione, cioè per il lungo processo che rende elastica e filabile questa bava marina, una bava che se non è nelle mani di un maestro è inutilizzabile». È vero che ha superato tutte le prove di iniziazione previste: «Prove di carattere, di concentrazione, di abilità e di forza; saper resistere al potere del denaro per esempio, a quei giapponesi che mi avevano offerto due miliardi e mezzo di lire perché gli vendessi il Leone delle donne che avevo ricamato con un bisso pescato da mia nonna nel 1938. Ma il bisso non si può né vendere né comprare, non è soggetto alle leggi di mercato, è un bene del mondo: si può solo ricevere e regalare». Fra le altre prove che una sacerdotessa del bisso è chiamata a superare: cacciare e pescare a mani nude, sapere estrarre olii e medicamenti dalle piante, conoscere e applicare 124 tecniche di tintura che non danneggino l’ambiente. È «un animale antico» e sembra un personaggio uscito da una canzone di Franco Battiato Chiara Vigo, ma padroneggia perfettamente il telefono cellulare e la posta elettronica, sovrintende con efficienza al suo Museo del bisso visitato in media da ventimila persone all’anno, riceve e smista studiosi di tutto il mondo: dall’Australia, dagli Usa, dalla Svizzera, dalla Francia, da Israele, molto più dall’estero che dall’Italia. È oggetto di ricerche da parte di importanti rabbini paleografi ed epigrafisti e di numerose tesi di laurea; ha ricevuto il premio Un bosco per Kyoto per il rispetto dell’ambiente ed è candidata a essere dichiarata patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco. Sue opere e suoi ricami sono esposti al British Museum e al Louvre. Una cravatta in bisso dal valore inestimabile che volle regalare al presidente Clinton è ora custodita nel Museo Nazionale di Washington. Serena e pacata, dirige con mano fiera il suo museo-laboratorio ospitato in un bei palazzetto ottocentesco a Sant’Antioco, l’isola collegata alla Sardegna da un antico ponte di origine fenicia. È il suo antro della Sibilla. Qual è il momento più emozionante della sua giornata? «Quando nella stanza entra un bambino. Io esisto perché esistono i bambini». Come sono le perle prodotte dalla pinna nobilis «Inutilizzabili, si deformano non appena entrano a contatto con l’aria». Ma come si diventa maestri di bisso? A formarla, a iniziarla e a insegnarle tutto, racconta, fu la nonna materna Leonilde Mereu, depositarla di antichi segreti. A quattro anni la piccola Chiara sapeva già filare e a 13 muoveva da sola l’enorme telaio di tipo mesopotamico. A chi tramanderà tutto questo, chi è la sua erede? «Conto molto su Maddalena, la mia seconda figlia. Spero si decida a continuare la mia strada. Ha 24 anni e anche lei, proprio come mia nonna, nuota come un delfino». È a Maddalena, si augura, che passerà il suo anello. A lei farà ripetere la formula del giuramento. Che si apre con un’invocazione ai venti: «Ponente, levante, maestro e grecale prendete la mia anima e buttatela nel fondale». E poi diventa una preghiera: «Che sia la mia vita per essere, pregare e tessere per ogni gente che da me va e da me viene senza tempo, senza nome, senza colore, senza confini, senza denaro...». Così a SantAntioco, provincia di Carbonia-Iglesias, anno 2012 dopo Cristo. LAURA LAURENZI