Giovanni Audifreddi, Vanity Fair 25/7/2012, 25 luglio 2012
IO MI DIMETTO DA S OLA (E RINUNCIO AL VITALIZIO)
Piuttosto che prendere un vitalizio dalla Regione Lombardia mi dimetto il giorno prima che scatti il diritto, in ottobre. Giuro». Perché rinuncerebbe? «Non voglio dare a nessuno la soddisfazione di potermi rinfacciare in eterno il privilegio». Perché allora non dimettersi ora? Glielo chiede Angelino Alfano che è segretario del Pdl, il suo partito. «Perché decido da sola quando dare le dimissioni, non ho bisogno di ordini o pressioni». Ma sempre all’interno del partito Daniela Santanchè, una voce molto ascoltata da Silvio Berlusconi, dice che in politica il tempo delle Minetti è finito. «Mi domando se è la stessa Santanchè che una volta mi paragonò a Nilde Iotti. Per carità, cambiare opinione è legittimo. Io comunque non mi sento finita». Mar t e d ì 1 7 lugl i o , o r e 2 0 Al Bar Doria di Milano, il blackberry di Nicole Minetti – come quello del suo assistente Luca Pedrini – si illumina di messaggi e chiamate a raffica. Le agenzie di stampa appena uscite la danno ad Arcore, a trattare direttamente con Berlusconi la buonuscita necessaria per convincerla a lasciare il seggio da consigliera regionale della Lombardia. Invece eccola qui – un aperitivo e una chiacchierata per gettare le basi di un’intervista che, in seguito, deciderà di non portare formalmente a compimento («Del processo non faccio parola, figurarsi: non dico niente in aula e parlo con i giornalisti?») – a spiegarci come stanno davvero le cose, e a farci capire che i rapporti con l’ex presidente del Consiglio, con il quale è imputata nel processo Ruby per induzione alla prostituzione minorile, continuano a essere buoni: «Sua figlia Eleonora aspetta un maschietto, lo sapeva?». Abbronzatura enfatizzata da un vestito a peplo giallo limone, Nicole Minetti, forse la donna più detestata d’Italia negli ultimi due anni, sta vivendo, imprevedibilmente, un ritorno di popolarità. Il volubile popolo di Internet, quello che prima la insultava, ora la sprona a non mollare, a non cedere al diktat di chi, dopo averla usata, la vuole scaricare. Dietro il trucco, il viso tradisce la pressione: «Mi stanno tutti addosso. E allora parto per Los Angeles. Tanto il Consiglio regionale sta per andare in vacanza e a quel punto le eventuali dimissioni, non potendo essere messe agli atti, non sono ricevibili. Se ne riparla a settembre». Insisto: se ha deciso di dimettersi, aspettare che senso ha? «Non so che cosa fare. Non sono convinta che sia stato Berlusconi a sollevare il polverone. E mi sembra che neanche Formigoni (governatore della Lombardia, ndr) abbia tutta questa fretta: ha detto che è una questione personale». Mar t e d ì 2 6 g i u gno , o r e 1 6 Giardino dell’Hotel Bulgari, sempre a Milano. Un incontro ancora precedente: Nicole Minetti, prima di decidere se prendere in considerazione l’idea dell’intervista, ci aveva voluto parlare. Già allora aveva ventilato la possibilità delle dimissioni, legandola anche alla situazione di Roberto Formigoni, nel cui listino «bloccato» è stata eletta a fine marzo 2010: «Ogni giorno c’è uno scandalo nuovo che investe la Regione. Anche la Lega fa pressioni. Non so quanto potrà andare avanti questa giunta. Ci sto pensando seriamente a lasciare. Almeno farei il gesto prima che precipiti la situazione». E poi, che cosa farebbe? «Rifarmi una vita, al momento, mi sembra impossibile. Le donne non mi perdonano questo posto in Regione. Sono diventata il simbolo di quelle che hanno fatto carriera in politica senza meritarlo. Ce ne sono tante come me, ma l’unica a portare la lettera scarlatta sono io». Se non avesse risposto alla chiamata di Berlusconi che le chiedeva di andare a prendere Ruby in Questura, la notte del 26 maggio 2010, forse le cose sarebbero andate diversamente. «Eppure non ne sono pentita. Ho fatto molte cavolate, ma al mio posto chiunque avrebbe risposto alla chiamata. E senza fare tante domande».