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 2012  luglio 27 Venerdì calendario

Questa cura draconiana si rivelerà un boomerang– Tra speranze o meglio illusioni e cocenti disincanti

Questa cura draconiana si rivelerà un boomerang– Tra speranze o meglio illusioni e cocenti disincanti. Dallo scoppio della crisi greca – e sono passati ormai quasi tre anni – lo scenario in cui si dibatte Atene è quello di un pendolo in costante movimento. Sembrava che bastasse la prima tranche di aiuti. Ce n’è voluta una seconda. Doveva bastare il sacrificio imposto ai creditori privati che hanno perso il 70% del valore dei bond in loro possesso e già si parla di una ristrutturazione del debito pubblico in mani estere e, quindi, anche di quei 45 miliardi di euro di bond ellenici tuttora in pancia alla Bce. Ora arriva l’ennesimo accordo: un taglio delle spese pubbliche di 11,6 miliardi nei prossimi due anni. In cambio di cosa? Del proseguimento della politica degli aiuti da parte della Troika. Un segnale di speranza, l’ennesimo, ma sempre in quella logica perversa che vede il sostegno esterno condizionato a politiche di taglio e rigore. Sembra tutto logico a prima vista. Non esistono pasti gratis e quindi si prestano soldi ad Atene solo se Atene dimostra di tornare sulla retta via. Ma a osservare da vicino ciò che è successo si dimostra che questo scambio è davvero perverso. Atene dall’avvio della crisi ha visto solo peggiorare i suoi fondamentali macro-economici. Una sorta di deriva lenta e inarrestabile. Basti ricordare che Atene entra, come dimostra uno studio di Ubs, nel suo quarto anno di forte frenata del Prodotto interno lordo. Alla stagnazione del 2008 del Pil nominale si è aggiunta la recessione profonda dal 2010. E più il Pil collassava più il debito pubblico saliva. Una forbice inquietante. Che non si è chiusa. Anzi. Per quest’anno le stime parlano, come quelle di Citigroup, di un calo del Pil del 7,5% e per il 2013 del 10 per cento. Per Ubs il calo sarà del 7,2% nel 2012, ma ancora più preoccupante è il taglio drastico degli investimenti fissi di almeno il 15 per cento. Segno che ormai nessuno investe più un euro nella struttura produttiva del Paese. Metteteci anche la fuga delle banche straniere la cui esposizione è crollata solo nel primo trimestre di quest’anno del 39 per cento. E il gioco è fatto, tanto da far dire agli analisti di Citigroup che la possibilità di un’uscita di Atene dall’euro nei prossimi 12-18 mesi sale al 90 per cento. Troppo pessimisti? Forse. Resta il fatto che davvero la Grecia è appesa solo agli aiuti esterni. Basti vedere come il fabbisogno finanziario dello Stato, come dimostra uno studio di Credit Suisse, sia pressoché del tutto dipendente dal pacchetto di sostegno dell’Fmi e della Ue. Sul fabbisogno del 2012 pari a 116 miliardi – e che comprende la ristrutturazione dei privati e la ricapitalizzazione delle banche – ben 112 miliardi vengono dai prestiti internazionali. Nel 2013 su 29 miliardi ben 24 sarebbero assicurati dalla ciambella di salvataggio europea. E già nel 2015 la Grecia tornerebbe ad andare in sofferenza non riuscendo a coprire da sola il fabbisogno. Del resto la strada del mercato è bloccata. Se già la Spagna non regge la possibilità di finanziarsi con lo spread sopra 600 punti, che dire di Atene il cui spread è a quota 2.600 punti, oltre quattro volte Madrid? Solo un incosciente andrebbe a chiedere soldi al mercato. Strada obbligata quindi quella di finanziare pubblicamente Atene. Per tutti: Grecia ed Europa, Germania in testa. Ma è la medicina imposta al Partenone che rende perversa la soluzione. Più tagli, più sparisce ogni velleità di crescita, anzi si affonda il Paese in una recessione da cui, come la storia recente insegna, non si esce più. La Grecia ha perso negli ultimi 4 anni un quarto del Pil. E allora ecco il paradosso: con la Grecia indotta dalla cura sbagliata a sfarinarsi anno dopo anno, quegli aiuti pubblici non serviranno a nulla. © RIPRODUZIONE RISERVATA