Sara Gandolfi, Sette 27/7/2012, 27 luglio 2012
ABBIAMO TOCCATO IL FONDO DEL CANALE
Antonio ne ha vista parecchia di acqua passare sotto gli scafi. Acqua di mare, d’oceano e pure dolce quando navigava sui Grandi laghi fra Stati Uniti e Canada. Ha circumnavigato il mondo quattro volte, è migrato dall’Artico a Città del Capo, su petroliere e carghi. Oggi, approdato sulla barca di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ha imparato a camminare in punta di piedi per non disturbare “la Scienza” e a rallegrar gli animi con merende e battute solo quando i biologi metton giù i taccuini. Non è scienziato lui, è marittimo di lungo corso, venuto da Procida e ormai in età da pensione, con le mani rotte e gonfie dalle tante cime tirate. Le sue parole, però, spiegano meglio di qualunque dotta citazione il significato di questa due giorni sullo Stretto di Sicilia: «Le trivelle dei petrolieri in questo mare non sono una buona cosa».
Il banco Avventura. Partiamo dal porto di Mazara del Vallo di buonora, a bordo di Astrea, un 23 metri. È un’insolita “missione” congiunta fra i biologi marini di Ispra e gli eco-attivisti di Greenpeace: i primi vogliono monitorare la biodiversità subacquea del Canale utilizzando un robot (ROV) che realizza foto e video, i secondi approfittano delle stupefacenti immagini prodotte per denunciare quali abnormi rischi si nascondono dietro le richieste di ricerca ed estrazione in questo “prezioso” tratto di Mediterraneo, già impoverito dall’overfishing e oggi nel mirino delle compagnie petrolifere.
A poche miglia dalla costa, Andrej Diaconov, un giovane fusto biondo venuto dalla Russia dieci anni fa, corre a calibrare l’ecoscandaglio multi-beam che farà i rilievi batimetrici e permetterà di creare le mappe topografiche in 3D del fondale. Una specie di “googlemap” sottomarina, indispensabile per guidare le immersioni del robot-fotografo. Sottocoperta c’è un silenzio irreale, sette persone si concentrano attorno a Simonepietro Canese, biologo di Ispra, che non molla un secondo uno strano joystick: è la centralina di comando del ROV che Antonio il Nostromo e Michele il Macchinista hanno appena calato in acqua a 18 miglia dalla costa, sopra il banco Avventura (37°28.944 N, 12°15.093 E). Sullo schermo, all’improvviso, compaiono colori e forme che mozzano il fiato. La Natura ci immerge lontano, lungo pareti coralline dense di vita, praterie fittissime di gorgonie, alghe dai rami che paiono danzare nell’acqua, aragoste, spugne dal disegno imprevisto (un vaso, una palla...). Qua e là si intravedono donzelle, castagnole, cernie, dentici ma perlopiù i pesci scappano davanti a quell’aggeggio piombato fin laggiù. «La foresta di alghe laminarie è spettacolare, mai trovate così belle», si entusiasma Simonepietro.
Il robot-fotografo avanza fino a 50 metri di profondità, guidato dalla sua mano e dal timone altrettanto esperto del capitano Massimo Colorito, di Mazara del Vallo. Una coppia affiatata. Il capitano sta a prua, lo sguardo inchiodato a un monitor tv sopra la testa: la sua soap opera preferita è la vita che scorre sotto lo scafo della barca. Anche lui contro le trivelle? Massimo è uomo di mare, quindi di poche parole: «Come faccio a non essere d’accordo con Greenpeace quando vedo tutti i giorni quanta roba bella c’è sui fondali...». Ad agosto guiderà l’Astrea in Adriatico: ogni anno le compagnie petrolifere commissionano a Ispra (per obbligo di legge) il campionamento delle acque attorno alle piattaforme petrolifere. Massimo non commenta i dati scientifici, sussurra: «Là sotto c’è un sacco di schifezza». Anche qui l’occhio del ROV cattura qualche schifezza, lenze e reti rotte sul fondale, per esempio. Greenpeace spinge perché il governo istituisca una Zona di protezione ecologica nel Canale, che preservi l’habitat dei banchi d’altura dall’assalto dell’overfishing e delle trivelle. Massimo approva, «ma i pescatori qui non sono convinti». Devono scoprire i benefici delle riserve, assicura Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace, «i pesci si moltiplicano e ripopolano anche l’esterno delle aree protette; se invece iniziano a trivellare, addio pesca».
Adesso, tutt’intorno all’Astrea – 38 miglia da Pantelleria, 28 da Marettimo – sono “parcheggiate” in mare decine di pescherecci. «Sono tunisini, stazionano qui tutta estate in acque internazionali. E non rispondono alle leggi dell’Unione europea come noi italiani. Mica è giusto...», si lamenta Antonio. La legge del mare stabilisce che fino a 12 miglia le acque sono nazionali. Non altrettanto i fondali: tramite accordi bilaterali fra Stati si individuano le reciproche mezzerie, i confini che delimitano la proprietà di ciò che sta sul fondo. Qui è italiana.
Sul banco Graham. Si ritorna a Mazara alle 8.30 di sera, neanche il tempo per un tuffo in mare. Marzia Bo, ricercatrice dell’Università di Genova, esperta in coralli, e Michela Angiolillo, ricercatrice “a tempo” dell’Ispra, riguardano immagini e campioni catturati dal robot. Il silenzio viene finalmente rotto solo alle dieci passate, quando Antonio porta in tavola, sotto l’archetto di poppa, calamari e gamberi, peperonata e sottaceti. È gente abituata a stare lontana da casa anche mesi, che va a letto a mezzanotte e alle sei è già in piedi ad accendere i motori nella pancia della barca. Gente che ama il mare e la buona tavola. Si finisce a notte fonda.
Il giorno dopo si riprende il mare. Destinazione il banco di Sciacca (37°13.069 N, 12°42.455 E) e il banco Graham (37°10.336 N, 12°43.027 E), dove il robot-fotografo scende oltre i 100 metri di profondità. Marzia è entusiasta di ciò che vede al monitor, praterie di gorgonia “in salute”, un boschetto di viminelle “quasi oceanico”, spugne che fanno da casa a migliaia di crostacei, l’antipatella, «un corallo nero piumoso come un salice». Al banco di Graham osserva una decina di specie di coralli arborescenti, «capaci di dare tridimensionalità a un substrato roccioso e quindi creare un rifugio per altre specie». Minuta e determinatissima, vorrebbe raccogliere campioni di tutto, come farebbe un subacqueo (che però a queste profondità non arriva). Ma la mano robotica è una sola e neppure troppo sofisticata: non taglia, non artiglia, non succhia e prende solo un pezzo per volta. «Ci vorrebbero molte mani, e molti soldi. Ma chi ce li dà?», sbotta Simonepietro. I pesci persici e gli scorfani intanto passan via indifferenti mentre il mare s’increspa fino a forza quattro.
Approdati a Sciacca si tirano le somme. «Abbiamo visto colonie in buona salute, miracolosamente poco impattate dalla pesca intensiva rispetto ad altre aree che abbiamo visitato, come la Liguria», spiega Michela. Tutto potrebbe cambiare se arrivassero le trivelle, soprattutto se ci fosse uno sversamento accidentale (che purtroppo in off-shore non è mai escluso, come dimostra la storia recente). Il petrolio è una sostanza pesante e quindi si accumula sul fondo del mare. «Lo sversamento è peggio di un incendio in un bosco, soffoca tutto e crea il deserto», conclude Marzia.
Simonepietro annuisce: «Il Canale di Sicilia è il mare mediterraneo con più alta biodiversità. Oltre a spugne, coralli e pesci, ci sono balene, capodogli, squali bianchi, tartarughe. Tutte le specie di origine atlantica e indo-pacifica, portate dai mercantili, si incontrano per la prima volta qui, attorno alle isole del Canale». Sarebbe il momento di fare una riserva invece di trivellare? «Ci sono tantissimi problemi politici, gli accordi Italia-Tunisia non sono per nulla chiari. Ma è evidente che l’istituzione di aree protette qui avrebbe particolarmente senso».
Giorgia Monti, sguardo (struccato) da Angelina Jolie e piglio da eco-guerriera, sorride, soddisfatta. Per fermare le trivelle porterà un appello al ministro dell’Ambiente, sperando che stoppi quello dello Sviluppo («Passera firma le concessioni, Clini fa le valutazioni di impatto ambientale»): in Sicilia la raccolta firme prosegue con la campagna U mari nun si spirtusa (www.notrivelletour.org); ha già incassato l’appoggio di decine di sindaci, da Palermo a Trapani, ora Giorgia vuole coinvolgere i turisti e soprattutto i pescatori. «Non si istituisce un’area protetta senza coinvolgerli».
Sara Gandolfi