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 2012  luglio 27 Venerdì calendario

QUANT’È ARDUO SPECULARE CONTRO L’EURO

La crisi del debito sta diventando troppo complessa per guadagnarci–
Contro la Bce si perde sempre. Mario Draghi ancora non ha tirato il grilletto del bazooka, come nel gergo finanziario si chiama la soluzione estrema, l’uso delle risorse virtualmente illimitate della Banca centrale europea. Ma Draghi ha almeno ricordato ai mercati che il bazooka ha le munizioni ed è pronto a sparare. Il crollo dello spread e la conseguente impennata delle Borse dimostrano che almeno per un giorno gli investitori gli hanno creduto: a nessuno conviene scommettere al ribasso se sa che da un momento all’altro potrebbe intervenire l’attore più forte di tutti, la Bce, trasformando potenziali profitti in concrete perdite.

LA CRISI dell’eurodebito inizia a diventare così complessa che anche i più sofisticati operatori cominciano a trovarsi a disagio. È di un anno fa il crac del fondo americano MF Global, diretto da un ex celebrità di Wall Street, Jon Corzine, che in passato ha diretto Goldman Sachs. Attribuire a Corzine responsabilità nella crisi che stiamo vivendo è forse eccessivo, ma ha dato il suo piccolo contributo. Quando si è scoperto che non era in grado di restituire 700 milioni ai clienti del suo fondo, e ha dovuto chiedere addirittura il capitolo 11 (l’amministrazione controllata), Corzine aveva speculato sul debito europeo, soprattutto italiano, per 6,3 miliardi di dollari. Quasi tutti senza copertura, cioè con il massimo del rischio: di solito si scommette su un evento e sul suo contrario, lucrando sul margine di differenza tra i rendimenti. Corzine si muoveva senza rete. Ma ha sbagliato analisi e ne è stato travolto. Pure Goldman Sachs, la sua ex azienda, è stata contagiata: quando MF ha fatto crac era esposta per oltre 200 milioni. Goldman non brilla più come quando, nel pieno del disastro subprime era l’unica al riparo dal crollo del settore immobiliare americano, ma nel secondo trimestre 2012 ha pur sempre realizzato un utile netto da 962 milioni di dollari. La crisi del debito europeo si è rivelata una fonte di nuovi affari per Goldman, che da un lato ha consigliato spesso ai grossi clienti di puntare al ribasso e scommettere sul deterioramento della situazione, ma dall’altro ha lavorato per i governi coinvolti nelle operazioni di salvataggio attraverso il fondo Salva Stati Efsf nel 2011. Lo scorso anno, stando a quanto riportato nel bilancio, Goldman è stata coinvolta in oltre 70 operazioni con Stati sovrani. La natura multiforme della banca guidata da Lloyd Blankfein le consente di lucrare su tutti i livelli, fin da quando preparava i derivati che hanno permesso alla Grecia di mascherare quel debito pubblico che poi, emergendo, l’ha spinta verso il default.

MA L’AMBIENTE adesso sta diventando ostico anche per i professionisti del rischio. “L’indice della paura”, come Robert Harris chiama il Vix Index nel suo ultimo romanzo, è ben lontano dai livelli del 2008, dopo il crac di Lehman Brothers: allora sfiorava gli 80 punti, oggi si aggira sui 18. Ma negli ultimi mesi è arrivato pericolosamente vicino a 30, segno che la volatilità sui mercati resta alta. La Consob italiana, assieme a quella spagnola, hanno provato a riportare un po’ d’ordine vietando le vendite allo scoperto: non si può promettere di vendere un titolo che ancora non si possiede. Gli ultimi quattro anni dimostrano che questa misura non funziona e, come spiegano i gestori, i titoli su cui non si può speculare diventano più difficilmente commerciabili. Quindi aumenta la propensione a venderli, ottenendo lo scopo opposto a quello desiderato. Questi non sarebbero enormi problemi, se non fosse che sta cambiando il mondo. Siamo entrati nell’“economia del disastro”, come ha notato Gillian Tett sul Financial Times, citando i lavori dell’economista Robert Barro: in tempi normali gli investitori vogliono solo massimizzare i profitti, rimuovendo dal loro orizzonte la prospettiva che possa arrivare un Armageddon (che invece, nella storia, è più frequente di quanto ci piaccia pensare). Con il disastro greco si sono svegliati: le cose brutte possono succedere. E quindi hanno cominciato a preferire mettere almeno parte dei soldi in cassaforte, cioè su titoli considerati (a torto) a rischio zero, tipo il debito pubblico tedesco. Un Paese entra nell’“economia del disastro ” quando i suoi CDS, i credit default swap che assicurano contro il suo fallimento, superano i 200 punti. L’Italia è a 513 punti, la Spagna a 576.

Chi non capisce questo cambio di fase resta scottato. Il più talentuoso dei grandi gestori di hedge fund, i fondi speculativi, John Paulson (gestisce 30 miliardi di dollari) è rimasto scottato per aver sottovalutato la gravità della crisi europea, su cui pensava di potersi muovere come in tempi normali: i suoi fondi principali hanno perso rispettivamente il 36 e il 52 per cento nel 2011 e stanno andando male anche nel 2012, tanto che Businessweek lo ha definito il “big loser”, grande perdente, del momento.

Consolante pensare che chi ha tanto contribuito alla crisi attuale stia ora soffrendo un po’? Prudenza. La filiale europea del fondo hedge americano Tudor ha annunciato due giorni fa di aver pagato ai 20 top manager bonus da 62 milioni di dollari per le performance raggiunte durante la crisi dell’Eurozona. Lo scorso anno i milioni erano stati soltanto 8. L’Armageddon non arriva per tutti allo stesso momento.