Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 24 Martedì calendario

INDUSTRIA, FUORI 675MILA LAVORATORI POSTO FISSO A RISCHIO ESTINZIONE

Il bollettino di guerra dell’economia reale–

Mario Monti dice di puntare sull’economia reale per cercare di tamponare la crisi. Tutt’intorno a lui sembra scoppiata la guerra con le Borse impazzite e lo spread fuori controllo. Ma anche l’economia reale invia segnali di disperazione: posti di lavoro che cadono come pere mature, salari bloccati da un decennio, una precarietà che dilaga e una recessione che non sembra intravedere la boa attorno alla quale recuperare fiato. Il bollettino di guerra “reale” è il frutto di alcuni studi pubblicati nel giro di due giorni e che lasciano impietriti. L’ultimo è di ieri ed è a cura della Cisl. Secondo il sindacato di Raffaele Bonanni, nel periodo 2007-2011 la perdita secca di posti di lavoro nell’industria è stata di 473.640 unità, cui vanno sommati i 201.096 lavoratori equivalenti a zero ore stimati dalla Cisl, coinvolti nei processi di cassa integrazione speciale o in deroga. La riduzione di posti di lavoro complessiva, dunque, sale a circa 675.000 unità, che messa in confronto con gli oltre 7 milioni di occupati nell’industria ad aprile 2007, sfiora il 10 per cento. A pesare, certamente, la crisi economica visto che, fra il 2007 e il 2011 le ore di cassa integrazione complessive, per l’industria e l’edilizia, sono aumentate del 315,9 per cento. Nove le regioni più in difficoltà: Lombardia, Piemonte, Umbria, Lazio, Abruzzi, Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna.

La crisi si rispecchia nell’andamento dei volumi produttivi che, negli stessi cinque anni, si sono ridotti del 20 per cento. Particolarmente grave la caduta dell’industria delle costruzioni che raggiunge un meno 29,3 per cento e in cui la fase peggiore (-14,9 per cento) inizia proprio nel 2012. L’unico elemento di tenuta dell’industria è quello delle esportazioni calate del 19,5 per cento nel 2009, per poi segnare un più 14,5 nel 2010 e un più 10 per cento nel 2011.

LO STUDIO Cisl fa il paio con quelli stilati dalla Banca d’Italia e dal ministero del Lavoro insieme a Unioncamere. Riguardano i salari dei lavoratori italiani e i contratti di lavoro con cui vengono assunti. Nel primo caso, l’Istituto di via Nazionale registra una stasi pressoché totale lungo tutto l’ultimo decennio con la retribuzione media mensile passata da 1.410 a 1.439 euro: un aumento decennale di 29 euro, lo 0,2 per cento annuo. Sul fronte dei contratti di lavoro, l’Indagine Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro sul terzo trimestre del 2012 segnala quello che è sotto gli occhi di tutti: le nuove assunzioni avvengono con contratti a tempo determinato e solo 2 su 10 possono beneficiare di un contratto a tempo indeterminato. Il grosso dei contratti riguarda quelli atipici (42 su 100) e quelli “non dipendenti” che ammontano al 25 per cento. Si tratta della fotografia che restituisce un mercato del lavoro ampiamente flessibile e su cui la riforma del ministro Fornero non sembra certamente aver agito più di tanto. Anzi, sono passate piuttosto in sordina le modifiche che il Parlamento ha approvato, in sede di commissione, la scorsa settimana, a nemmeno un mese dalla pubblicazione in Gazzetta della “madre” di tutte le riforme. La Commissione Lavoro della Camera dei deputati ha infatti recepito le ulteriori richieste di Confindustria fatte da: una maggiore agevolazione nell’assunzione di apprendisti in caso di somministrazione; l’allungamento a due anni del rispetto dei requisiti reddituali per le partite Iva (invece di un anno); il rinvio dell’aumento dell’aliquota contributiva per i lavoratori autonomi ; la cancellazione dell’intervallo tra un contratto a tempo determinato e un altro in caso di lavori stagionali. Con questo approccio, inutile stupirsi se l’assunzione-tipo sia quella atipica o flessibile anche quando c’è la necessità di dipendenti stabili.

IL PROBLEMA, in realtà, è che la situazione è entrata in un circolo vizioso che nessuno sembra in grado di, o vuole, rompere. La crisi produce un rallentamento degli investimenti, le imprese chiedono di avere maggiore flessibilità, questo produce minori salari e minore stabilità occupazionale con un calo evidente della domanda. E così dalla recessione non si uscirà mai, nonostante gli auspici di Monti. E le notizie cattive potrebbero essere solo all’inizio visto che si profila, per il mercato dell’auto, una crisi generalizzata europea di cui la chiusura dello stabilimento Peugeot alle porte di Parigi (Aulnay sous Bois) è solo la prima avvisaglia.

È in questo quadro che vanno letti i dati dello studio realizzato per il gruppo di attivisti Tax Justice Network di James Henry, esperto di tassazione, ex capo economista della società di consulenza McKinsey e pubblicato dal settimanale The Observer. Almeno 21 mila miliardi di dollari (15 mila miliardi di euro, l’intero Pil europeo) sarebbero depositati nei paradisi fiscali. Secondo stime più realistiche potrebbero essere addirittura 32 mila miliardi. Soldi che non vengono investiti, buoni per speculare e, soprattutto, su cui non si pagano tasse protetti dai forzieri di Svizzera, Cayman, Bermuda, Singapore e altri luoghi ameni. L’economia reale resta schiacciata dalla finanza cattiva.