Fabio Cavalera, Corriere della Sera 26/07/2012, 26 luglio 2012
I GIOCHI AL TEMPO DELLO SPREAD —
L’Olimpiade del 1948, la seconda ospitata da Londra dopo quella del 1908, è passata alla storia come l’Olimpiade dell’austerità. L’Europa usciva a pezzi dalla guerra e nel Regno Unito il governo laburista di Clement Attlee, succeduto a Winston Churchill, ancora a tre anni di distanza dalla fine delle ostilità, si vedeva costretto a distribuire le tessere del razionamento alimentare. Londra portava i segni dei pesantissimi bombardamenti nazisti ma, nonostante tutto, nonostante la comprensibile indifferenza della popolazione che pensava più al cibo che alle medaglie, quella fu un’Olimpiade oltre che di acuta ristrettezza (costò appena 750 mila sterline, una ventina di milioni di euro al cambio di oggi), anche un’Olimpiade di speranza e di orgoglio: la speranza di uscire dalle difficoltà e l’orgoglio di costruire un mondo di pace e di benessere. Tutti lo volevano. Furono quindici giorni, dal 29 luglio al 14 agosto, di tregua e di riflessione.
Questa Olimpiade, la trentesima, potrebbe a prima vista essere ancora l’Olimpiade dell’austerità. Ma non è così. È vero che oggi la crisi è profonda, che la disoccupazione giovanile è a livelli drammatici e che le industrie arrancano. Superficialmente il contesto sociale di sofferenza appare per certi versi simile. Ma è il clima generale, attorno all’Olimpiade, che è diverso. Allora c’era una missione condivisa dalle classi dirigenti di destra e di sinistra, dai conservatori di Churchill ai laburisti di Attlee: la volontà di riparare le macerie belliche. Possiamo dire lo stesso oggi a Londra e, allargando l’orizzonte, nel mondo? C’è comunità d’intenti? La retorica olimpica ci spiega sempre con molta enfasi che i Giochi sono le specchio dei giorni che viviamo. Le estremizzazioni fanno sorridere, eppure un fondo di verità esiste. Ed è ciò che rende affascinante l’evento dei cinque cerchi. Londra nel 1948 era un città in transizione, capitale di un impero in ritirata (l’India aveva da poco conquistato l’indipendenza), capitale di un Stato potente e vittorioso, però piegato dai dolori e dalle pene della guerra, in cerca di una nuova via e di una nuova dimensione verso la modernità. Quella Olimpiade forzatamente modesta, ma il discorso vale anche per l’edizione del 1908 quando per la prima volta sfilarono le bandiere delle nazioni in un periodo in cui si stavano accendendo gli irredentismi, fu comunque capace di rappresentare una realtà in evoluzione: gareggiarono le donne nel nuoto e nell’atletica (non era mai accaduto) e si presentarono alla cerimonia di inaugurazione Stati appena nati, come la Birmania e la Siria. Londra cominciava ad essere ciò che poi sarebbe sempre stata: il luogo dell’incontro fra mille etnie e mille tradizioni, il luogo della innovazione. Nel bene e nel male.
L’Olimpiade che parte domani è a suo modo la lente che proietta il nostro presente. Non c’è città al mondo che meglio di Londra rappresenti la complessità sociale, politica, economica del momento. Se nel 2008 Pechino, che investì 40 miliardi di dollari, fu la celebrazione fantastica del capitalismo arrembante all’ombra del quale covava il disastro, un capitalismo senza frontiere che si nutriva di eccessi, di avidità e di truffe finanziarie, Londra 2012, che ha investito poco più di un terzo di quella montagna di fondi ma pur sempre 12 miliardi di sterline (la cifra ufficiale è 9,2, ossia quasi 12 miliardi di euro) è l’Olimpiade che nasce in un contesto rovesciato, di capitalismo messo in ginocchio dalle scorribande di certi banchieri arroganti, dalla complicità o dalla incompetenza dei governi.
Quando Londra raccolse il testimone da Pechino, appena la fiamma fu spenta in Cina, la City era all’apice di uno splendore ingannevole. Poi all’improvviso è crollata, solo quattro settimane dopo la conclusione della kermesse del Dragone. Il gigante della finanza mondiale aveva i piedi d’argilla, le sue onnipotenti istituzioni private del credito si salvarono grazie all’intervento pubblico. La ricaduta distruttiva è sotto i nostri occhi. La sofferenza dei tassi e dei mercati parte da quegli anni di manipolazione. Nella «Cool Britannia» di Tony Blair si era sviluppato il virus della malattia e nessuno aveva sollevato l’allarme.
La tollerante Londra conserva intatto il suo grande fascino: è una città di ricchezze infinite e di volgarità esibite, di disagi, di divertimenti e di profonde malinconie, di conflitti, di mediazioni e di magnifiche opportunità, di arte e di cultura. Chi non vorrebbe vivere a Londra? Ma Londra è pure la città che si è lasciata incantare dai guadagni della finanza irresponsabile. Questo modello è fallito e l’Olimpiade è qui a ricordarcelo con un messaggio semplice e severo: è l’Olimpiade sui cui si allunga l’ombra degli spread impazziti e dei mercati che coi loro sussulti minacciano di soffocare la gioia della gente e degli atleti, veri eroi e più che mai eroi.
Arrivano a Londra decine di capi di Stato e di governo per l’inaugurazione di domani sera, una cerimonia da 27 milioni di sterline, oltre 34 milioni di euro. Tutto ciò mentre la moneta unica traballa e mentre in Siria si combatte una feroce guerra civile. Si parlerà tanto di «spirito olimpico», di cooperazione e di onesta competizione. Giusto ma scontato. Politica e mercati sono sintonizzati su altre lunghezza d’onda e non concedono più tregue. Purtroppo lo spettacolo non li distrae e non li ferma. Gli atleti ci delizieranno e le notizie dal mondo scorreranno riportandoci coi piedi per terra. Le Olimpiadi sono un prezioso contenitore di sogni, di imprese sportive e di business. Su questi Giochi incombe la tempesta degli spread. Colpa anche della magnifica Londra, cuore e patria della irruenza economica nelle sue infinite declinazioni. Il caso ha voluto che la torcia ritornasse proprio sul luogo del «delitto». Forse, se avesse potuto scrutare nella sfera di cristallo e vedere il caos di questi anni Londra si sarebbe chiamata fuori. Ma non lo confesserà mai. Magie e ipocrisie dei cinque cerchi: bellissima ma Olimpiade ricca di finzioni.
Fabio Cavalera