Antonio Pampliega, Il Fatto Quotidiano 22/7/2012, 22 luglio 2012
DA MACERATA ALL’INFERNO DI HOMS “LA MIA GUERRA CONTRO ASSAD”
Al Bueda (Siria)
Qui, in Siria, il mio cuore ha smesso di battere perché ho visto molti bambini morire davanti a me. E questo non lo potrò mai dimenticare. Stare qui, assieme ai miei fratelli, mi ha cambiato la vita. In Italia non siamo abituati a vedere queste cose, a parte nei telegiornali. Ma dal vivo è terribile”, confessa al Fatto Quotidiano Zafar Muhamed Husni. “Se sapessimo realmente quello che sta accadendo, saremmo intervenuti già da molto tempo per mettere fine a questa situazione”.
DI ASPETTO quasi infantile, 20 anni appena compiuti, si mostra molto deciso nelle sue convinzioni. E si sente figlio di questa terra, nonostante sia nato a Macerata. “Sì, sono italiano di nascita, ma siriano di cuore”, commenta. I suoi genitori emigrarono in Italia negli anni 80 dopo la brutale repressione che Hafez el Assad, padre dell’attuale presidente, realizzò nella città di Hama. “Tutte le estati venivo a Homs, per stare con i miei nonni, zii e cugini. Ho un ottimo ricordo di quegli anni. Ma ora sono venuto in Siria in cerca di vendetta . Due dei miei zii e cinque dei miei migliori amici sono stati assassinati proprio a Homs. Vengo a lottare assieme ai miei fratelli, e se trovo qui la morte sarà un onore trasformarmi in un shaheed (un martire). Non ho paura”.
Dalla sua Macerata natale, questo ragazzo manteneva un contatto quotidiano con i suoi parenti siriani distribuiti nei vari quartieri della città di Homs. “Parlavo con loro tutti i giorni e mi raccontavano qual era la situazione. Mi parlavano dei bombardamenti, delle esecuzioni sommarie, delle torture. Stentavo a credere che quello che mi dicevano fosse reale. E poco a poco cominciò a nascere in me la voglia di venire in Siria a combattere con l’esercito libero”, racconta. I genitori cercarono di dissuaderlo in tutti i modi. Ma l’impeto di questo giovane ha potuto più dei consigli del padre, della madre o dei suoi amici. “Ai miei genitori non è piaciuta per niente l’idea che venissi a lottare, perché avevano paura che mi uccidessero. E così pure i miei amici: quando gli ho detto che pensavo di venire qui si sono messi a piangere e mi hanno chiesto di restare in Italia”, ricorda. “Alla fine mio padre ha appoggiato la mia decisione, ma mia madre si è mostrata sempre contraria”.
Ma Zafar, stanco di vedere in Tv i massacri che si succedevano giorno dopo giorno nel suo paese d’origine, ha messo da parte le ultime incertezze, ha prelevato tutti i suoi risparmi dalla banca e ha comprato un biglietto per il Libano.
“QUANDO sono cominciati i bombardamenti a Baba Amr, ho cercato di venire in Siria. Ma, ancora una volta, i miei genitori mi hanno chiesto di restare. Però è arrivato un giorno in cui mi sono stancato di vedere come massacravano i miei amici. Ho fatto i bagagli e sono partito per Roma. Dall’aeroporto di Fiumicino ho chiamato i miei genitori per dire che me ne andavo in Siria. Mia mamma è scoppiata a piangere e mi ha chiesto di tornare a casa”, ricorda emozionato.
Zafar è volato da Roma fino a Beirut, dove alcuni soldati del Free Army lo hanno aiutato a passare illegalmente il confine, fino a condurlo alla città di Al Bueda, a 20 chilometri da Homs, per unirsi ai ribelli. “Mi hanno fornito un’uniforme e un kalashnikov per poter combattere contro le truppe del regime. Ancora non ho ucciso nessuno, ma se Dio vuole lo farò. Sono venuto qui a lottare per la terra dei miei padri, per stare accanto ai miei fratelli”. Il ragazzo guarda con attenzione la televisione. Un canale arabo parla dei cruenti combattimenti tra le truppe leali a Bashar e i ribelli in vari quartieri della capitale Damasco. “Darei qualunque cosa per poter essere lì in questo momento, lottando per liberare la capitale. Ma la mia unità combatte nella provincia di Homs e non posso abbandonarli, per quanto ne abbia voglia. Ci sarà tempo, comunque, per celebrare la vittoria a Damasco quando cadrà il regime”.
Tutte le notizie che arrivano a questo piccolo paesino di meno di mille abitanti parlano di combattimenti a Damasco, Aleppo, Homs. Sembra che la caduta del regime sia più palpabile ora che qualche mese fa. Per Zafar, la fine di Assad è chiara. “Deve fare la stessa fine di Gheddafi. È un assassino. Nessun essere umano sarebbe capace di fare quello che ha fatto lui contro il suo popolo. Ha ucciso donne e bambini senza alcun motivo. Ha bombardato interi centri abitati. Merita di morire, como sono morti i bambini vittime delle sue bombe”, dice deciso.
“SÌ, MERITA un castigo esemplare per tutto il danno che ha fatto ai siriani”, conclude con un enorme sorriso. “Resterò sino alla fine della rivoluzione. È per questo che sono venuto. Per vedere come cade Bashar e come ritorniamo a essere liberi e padroni del nostro destino”, dice mentre il comandante della sua unità lo reclama per un’incursione notturna contro un check-point vicino ad Al Bueda. “Ci vedremo a Damasco”, si congeda.