Sara Nicoli, il Fatto Quotidiano 21/7/2012, 21 luglio 2012
VIA LE PROVINCE, SÌ MA (FORSE) FRA DUE ANNI
Sarà dura da far digerire ai pisani. Ma forse ancor più ai livornesi. Così come sarà un vero problema mettere insieme Latina, Viterbo e Rieti oppure accorpare tutte le città romagnole sotto un’unica bandiera. O far finire Pordenone “sotto” Udine. Eppure, succederà. Il governo ha deciso. Nel nome della spending rewiev, ma con tempi assai incerti. Si tratta di una decisione che non riordina, non è di rigore economico. Per risparmiare (poco), insomma, si accorperanno le province italiane. Ma non subito. Dal momento dell’approvazione della spending, come ha spiegato il ministro della Pubblica amministrazione, Patroni Griffi, ci vorrà poi una legge ad hoc (che il governo conta di varare entro il 2012, dopo aver sentito la conferenza delle Regioni) per ridisegnare definitivamente la mappa geografica della pubblica amministrazione italiana. Nulla sarà pronto, insomma, prima del 1° gennaio del 2014.
PERÒ È PARTITA anche un’altra battaglia. Politica, di campanili e di collegi elettorali; nessuno ci sta a farsi scippare il bacino elettorale con un semplice tratto di penna. In base ai nuovi criteri, i nuovi enti dovranno avere almeno 350mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati. Saranno quindi 64 su 107 le province da accorpare, di cui 50 in regioni a statuto ordinario e 14 in regioni a statuto speciale. Le province salve sarebbero dunque 43 su 107 di cui: 10 metropolitane, 26 in regioni a statuto ordinario e 7 in regioni a statuto speciale. Va ricordato che nelle regioni a statuto speciale varranno le prerogative previste dai rispettivi statuti. In Sardegna, per esempio, la legge costituzionale dell’Isola prevede tre province: Cagliari, Sassari e Nuoro. In Friuli Venezia Giulia, è il presidente della provincia di Udine, Pietro Fontanini, a ricordare che “è la Regione che deve decidere sia per quanto riguarda l’estensione sia per ciò che attiene al numero di abitanti”. In ogni modo, la riforma è destinata a comportare un cambio storico della cartina amministrativa italiana. Basti pensare che tra quelle che potrebbero nascere dall’accorpamento c’è la ‘provincia romagnola’ che riunirebbe Cesena, Forlì , Rimini e Ravenna. Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia, invece, potrebbero far parte di una sorta di ‘provincia del buon gusto’ capace di riunire tutte le migliori Indicazioni geografiche protette (Igp) del Paese, dal parmigiano al prosciutto, all’aceto. In alcuni territori il taglio delle attuali province sarà drastico. Salva Ferrara la città di Dario Franceschini come Caserta, governata dal casiniano Zinzi. In Toscana, delle attuali 10 Province, solo Firenze ha i requisiti non solo per rimanere, ma per trasformarsi in città metropolitana.
LE ALTRE 9 dovranno accorparsi per dare vita - è probabile - a due nuove amministrazioni provinciali; in Toscana, più che altrove, scorrerà il sangue. Ma non sarà morbida neppure in Lombardia, dove su 12 province attuali, solo 4 (Milano, Brescia, Bergamo e Pavia) hanno i requisiti per rimanere in vita (Milano si trasformerà in città metropolitana), le altre si accorperanno. Quindi in Piemonte, delle otto province attuali, sparirebbero quelle di Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio e Novara, nel Veneto rimarrebbero in vita Venezia Verona e Vicenza. Eppoi insieme Rovigo, Belluno, Padova, Treviso. In Liguria su quattro province attuali sparirebbero Savona e Imperia, in Umbria rimarrà solo Perugia, nelle Marche "salve" Ancona Pesaro e Urbino, nel La-zio Roma e Frosinone, in Abruzzo L’Aquila e Chieti, in Molise Campobasso, in Campania salve tutte tranne Benevento, in Basilicata sopravviverà Potenza, in Puglia Bari, Foggia e Lecce. Infine in Calabria, insieme Crotone e Vibo Valentia. Un bel terremoto. Con conseguenze nette sul tessuto sociale. Ma alla fine, quanto sarà il risparmio? Quando ne parlò Tremonti, circa un anno fa, il governo Berlusconi sparò un risparmio di 2 miliardi di euro. Niente di vero. Se il governo Monti avesse deciso di cancellarle del tutto, il risparmio di spesa annuo sarebbe stato di circa 510 milioni di euro. Le province, infatti, costano circa 13 miliardi di euro e il risparmio annuo sarebbe stato del 3,9% del totale della spesa. Questo perchè, a fronte del taglio, le competenze oggi in capo alle province (e i costi di gestione e del personale) si spalmeranno su regioni e comuni che si accolleranno le funzioni delle amministrazioni cancellate.