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 2012  luglio 26 Giovedì calendario

Pessima fama non meritata– L’Italia paga a caro prezzo il costo di stare in un euro dal futuro tremendamente incerto

Pessima fama non meritata– L’Italia paga a caro prezzo il costo di stare in un euro dal futuro tremendamente incerto. Indubbiamente siamo penalizzati anche dalla confusione del nostro quadro politico e dalla sua scarsa affidabilità. Occorrerebbe un forte ricambio della classe che ci governa. Marco Fortis I l livello medio di competenza e serietà della classe che ci governa dovrebbe avvicinarsi a quello dei tecnici e non viceversa. In più sarebbe opportuno un netto ridimensionamento dei costi della politica stessa. Ma ciò non spiega tutto, bensì solo una minima parte, del problema finanziario che l’Italia sta vivendo in questo momento. Infatti, anche in altri Paesi che godono di un’aura di serietà ben superiore alla nostra vi sono dei politici "spendaccioni": altrimenti non si capirebbe come mai il debito pubblico americano sia salito dal 66% del 2006 al 111% del 2013, cioè quasi al livello dell’Italia ma con in più un debito delle famiglie che in America è circa due volte superiore a quello del nostro Paese. La realtà è che la moneta unica si è trasformata, soprattutto per noi italiani, in una sorta di vergine di Norimberga, in altre parole in uno strumento di tortura. Sapere che l’euro, che questo euro, è "irreversibile" non consola affatto. Perché la moneta unica di oggi non è più quel nobile progetto in cui gli europeisti italiani hanno sempre creduto, ma una miserabile versione dello stesso, completamente snaturata dalla miope ed egoistica strategia politico-finanziaria della Germania. L’euro si è rivelato in questa crisi un disegno molto debole, che non prevede una reale capacità di mutuo soccorso tra i Paesi in caso di necessità. In più, le rigidità politiche del nord dell’Europa e le incertezze alimentate in continuazione dalle dichiarazioni o dalle contro-dichiarazioni di quel leader o di quel ministro, che regolarmente tolgono forza alle decisioni annunciate solennemente nei summit, confondono i mercati. Questo insieme di fattori negativi sta determinando gravi conseguenze sulla stabilità del nostro debito sovrano, che soffre purtroppo di una pessima fama a livello internazionale, anche se si tratta di una fama ormai ingiusta, visto che i debiti ormai li hanno tutti. Il lettore non rimanga stupito da questa affermazione, magari confrontandola con i titoli delle prime pagine di questi giorni che parlano di debito pubblico italiano a livelli record. Infatti, non solo il nostro ma tutti i debiti pubblici sono a livelli record, compreso quello tedesco. Tuttavia, il nostro debito pubblico è quello cresciuto di meno negli ultimi anni. Inoltre, abbiamo oggi un bilancio sia primario sia strutturale dello Stato migliore persino di quello della Germania. Nonostante tutto ciò, il rating sovrano italiano è continuamente declassato e i titoli di Stato italiani restano sotto attacco della speculazione: il che ha davvero poco senso, considerando che il nostro Paese non solo ha una grande forza industriale ma non presenta nemmeno lontanamente i buchi finanziari pubblici e privati che hanno portato al fallimento o al semi-commissariamento di Grecia, Irlanda, Portogallo ed ora della Spagna e delle sue regioni. I numeri parlano più delle opinioni. Nel 2000 l’Italia aveva un debito pubblico per adulto che svettava su tutti gli altri, pari a 39.400 dollari contro un analogo valore di 27.500 dollari per gli Stati Uniti, di 26.500 dollari per la Germania, di 26.100 dollari per la Francia e di soli 14.600 dollari per la Gran Bretagna (dati calcolati al cambio medio costante euro/dollaro/sterlina del 2011). Nel 2013, invece, il debito pubblico statunitense sarà salito a 74.900 dollari per adulto, mentre quello italiano sarà di 56.600 dollari, un valore inferiore anche a quello francese, pari a 56.800 dollari, e non molto superiore a quello inglese, pari a 51.700 dollari. Nel frattempo, anche il debito pubblico per adulto della "virtuosa" Germania sarà salito a 45.700 dollari, cioè un livello di quasi 20.000 dollari superiore a quello del 2000. L’Italia, dunque, non è certamente più la pecora nera del debito pubblico: ormai si può ben dire che le pecore sono tutte indistintamente nere. Se a questi dati, poi, aggiungiamo anche il debito delle famiglie per adulto stimato dai professori Shorrocks, Davies e Lluberas per il Credit Suisse, l’Italia avrebbe un debito totale (pubblico e privato) a carico di ogni adulto di circa 81.000 dollari, valore non molto superiore a quello della Germania (79.000 dollari) e nettamente inferiore a quelli di Francia (97.700 dollari), Gran Bretagna (105.400 dollari) e Stati Uniti (134.400 dollari). Ciò detto, è importante soppesare questi livelli di debito aggregato a carico di ogni adulto non in rapporto al Pil (il che ha sempre meno significato nell’attuale crisi, visto che i Pil vengono continuamente gonfiati da nuovi debiti) bensì in rapporto alla ricchezza finanziaria delle famiglie, che è la polpa del patrimonio nazionale. Infatti, è proprio da questo confronto che emerge la posizione comparativamente sostenibile del debito pubblico e privato italiano perché tale debito aggregato nel nostro Paese è pari al 75% della ricchezza finanziaria lorda di ogni adulto. Si tratta di un valore perfettamente in linea con quelli di Paesi dell’Eurozona ritenuti solidi come Germania ed Olanda (in entrambi tale rapporto è del 73%) ed inferiore a quello della Francia (83%). Mentre in altri Paesi della moneta unica in cui i debiti privati e pubblici hanno portato le finanze allo stremo, come Spagna, Irlanda e Grecia, la ricchezza per adulto ormai non è più sufficiente nemmeno per pareggiare il debito aggregato. Per farlo le famiglie di tali Paesi dovrebbero intaccare persino il loro patrimonio immobiliare. In Spagna, infatti, la somma del debito pubblico e del debito delle famiglie a carico di ogni adulto è pari al 103% delle attività finanziarie per adulto. In Irlanda tale rapporto arriva al 132% ed in Grecia addirittura al 183%. Di fronte a queste cifre, lo spread italiano agli attuali livelli non ha evidentemente nessuna motivazione razionale. Ciò è stato recentemente sostenuto, con differenti argomentazioni, anche dal Governatore della Banca d’Italia, da autorevoli personalità del Fmi e dal Centro Studi Confindustria. A questo punto, con lo scudo anti-spread che fatica a decollare, solo la Bce può dare un contributo decisivo per respingere la speculazione, intervenendo sui mercati non per salvare l’Italia - che in base ai fondamentali se fosse fuori dall’euro starebbe meglio della Gran Bretagna - ma per salvare l’euro stesso; sempre che esista ancora quel nobile progetto di moneta e di un’Europa unica in cui tanti hanno creduto e vogliono continuare a credere.