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 2012  luglio 27 Venerdì calendario

SE IL CALCIO MARCIO NON FA SCANDALO


Tutto come previsto. Tutto come sempre. Ormai facciamo fatica a scandalizzarci degli scandali del calcio. Antonio Conte rischia di non andare in panchina per qualche mese, Leonardo Bonucci potrebbe essere squalificato per qualche anno, parecchie squadre dovrebbero essere penalizzate (cinque di serie A) o addirittura retrocesse. L’accusa è forte: giocatori e squadre sapevano di partite truccate, di campionati falsati, di scommesse. In una parola erano consapevoli di prendere in giro i tifosi. Calciopoli insomma non ha insegnato niente. Così come il casino del totonero degli anni ’80. È una rogna ciclica che il calcio italiano vive come le crisi del capitalismo: prima o poi accadono e non puoi farci niente. Siamo assuefatti alla corruzione. Tant’è che non è solo il pallone nella cacca. Spuntano inquietanti intercettazioni anche nel basket: gli arbitri avrebbero favorito l’assegnazione dello scudetto. E ricordate la retata nel rugby? Si parlò anche di droga. Ovvio che non dobbiamo fare di tutta un’erba un fascio: si sa che fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. Il fatto è che in Italia abbiamo troppi cattivi esempi per gridare allo scandalo.
Tra banche, politica, evasione e chi più ne ha più ne metta, il calcio è solo un corollario. È parte di un sistema che è bocciato a livello globale. Quando le agenzie di rating declassano l’Italia non è solo una questione di conti pubblici. C’è un problema di affidabilità. Chi si fida a comprare titoli di Stato a 10 anni? Ovvero, fra un decennio, il Belpaese sarà migliore o peggiore? Stessa cosa accade nello sport più amato dagli italiani: chi è pronto a investire (soprattutto stranieri) su un sistema che conta stadi da buttare, di cui solo uno privato (quello della Juve)? Non c’è stata una modernizzazione, com’è avvenuta in Inghilterra. Da noi i tifosi sono in campo a chiedere di togliere la maglia ai giocatori, magari gli stessi tifosi che provano a pilotare le partite, e che poi si indignano se c’è stato un accordo su un derby.
E la corruzione non abita solo nelle grandi città o in certe zone del Paese più esposte alla mala- vita organizzata. Albinoleffe, Novara, Varese, Grosseto, Siena, Portogruaro: la provincia, quella comunità dove fino a qualche anno fa si respirava la cosiddetta «aria buona», ora è intossicata come certe stanze di Wall Street. La grande crisi che ha portato al mal di spread è figlio di quel moral hazard, l’azzardo morale, che ha spinto i big della finanza a inventarsi di tutto e a passare sopra a tutti pur di guadagnare. Ecco, in piccolo, il moral hazard è una costante dell’Italia perché c’è troppa burocrazia, troppe tasse, troppi politici e per farsi largo si cerca sempre la scorciatoia. Tanto, questo è il pensiero dominante, se ci beccano poi si trova sempre il modo per pagare poco o, addirittura, scamparla. Questo in fondo è il Paese delle Parmalat e delle Cirio, i cui patron portarono Parma e Lazio ai vertici del calcio europeo. Poi scoprimmo che tutto era gonfiato con i soldi dei risparmiatori. Tanto alla fine pagano sempre loro.

Giuliano Zulin