Rahul Bhattacharya, Intelligent Life, Internazionale 27/7/2012, 27 luglio 2012
MARY KOM PUGNI
D’ORO(Mancano le F) –
Mary Kom preferisce il verbo giocare, o il
suo equivalente in hindi, khel. Lo usa
quando si riferisce a un torneo (“giocavo
per un titolo nazionale”), alla sua
guardia (“gioco mancina”) o alla categoria
di peso (“alle Olimpiadi dovrò giocare nei
51 chili”). La scelta del verbo non è casuale.
La vita è partorire e allevare un iglio. La
vita è tirarsi fuori dalla povertà ed essere
una iglia, una moglie e una sorella maggiore.
La boxe è un’altra cosa. È importante,
ma è solo un gioco.
Ora Mary Kom è sul ring. Osservandola
da vicino percepisco il calore cinetico della
boxe, molecola per molecola. L’uomo con
cui si sta allenando cerca di far innervosire
Mary, la incita con le parole e con i jab in
faccia. Le loro teste si siorano, la saliva e il
sudore si mescolano, e il bianco rovente dei
loro occhi quasi si confonde. Uicialmente
Mary è alta 1,57 (lei sostiene 1,62), e sul ring,
con indosso il caschetto protettivo, sembra
ancora più bassa. Ma il suo corpo minuto è
tirato come una corda: un concentrato di
forza elastica.
Deve avere i muscoli in iamme. Contando
i round contro il sacco, quelli contro
lo specchio e quelli contro altre donne della
palestra ha già completato l’equivalente di
due incontri. Le ragazze che ha afrontato
erano tutte più alte e pesanti di lei. Meglio
così, perché ora che la boxe femminile debutta
alle Olimpiadi 2012 Mary si troverà
ad afrontare avversarie più alte e con un
allungo maggiore. Quasi tutte le sue vittorie
sono arrivate nella categoria pinweight
e mosca leggeri (46 e 48 chili) mentre a
Londra si parte dai pesi mosca (51 chili).
Paragonate a Mary, le altre ragazze della
palestra mi sono sembrate lente e impacciate.
I piedi pigri, la posizione imperfetta.
Mary le ha afrontate con la guardia abbassata
per mettere alla prova i suoi rilessi. Ha
scoperto il mento per contrattaccare da angoli
poco familiari per chi combatte con la
guardia classica. Quando Mary è sul ring le
altre la osservano furtivamente. Le invidiano
l’agilità scattante, l’esplosività. L’aggressività
è il marchio di fabbrica di Mary, ciò
che rende i suoi incontri entusiasmanti.
“Yeh leh Mary”, la sprona Bashkar Bhatt.
“Prendi questo! E questo!”. La boxe è anche
guerra di nervi. “Prova a farmi infuriare”,
mi spiega Kom, “ma io devo mantenere
la calma”. Il paradenti nasconde una smoria.
Si allena ormai da 80 minuti, posso quasi
sentirla bruciare. “Aaja Mary, sha-baash,
vieni Mary, fatti avanti”. L’allenamento di
oggi è dedicato alle inte e alle combinazioni.
Mary rincorre lo sparring e scarica sui
colpitori una serie dopo l’altra, accompagnando
i pugni con respiri violenti e ailati.
“Phom”. Questo è il rumore che vuole dai
suoi pugni. “Quando è tac tac è ok, ma non
è potente”, mi spiega tirandomi un pugno
scarico. “Phom! Questo si che è potente”.
L’allenamento è inito. “60 per cento”,
dice Bhatt. Ha inforcato di nuovo gli occhiali
e sta analizzando i progressi nello
stato di forma di Mary dopo due settimane
di esercizi. “Non è ancora al massimo.
Quando avrà recuperato tutti gli automatismi
nessuno potrà fermarla. Sul ring Mary
non è mai confusa. Ha l’istinto del killer”.
Per rafreddarsi comincia a fare ruote e
capriole. Ha 29 anni e due igli, ma in questo
momento, con i rilessi di rame nei capelli
e i lacci delle scarpe luorescenti, Mary
Kom sembra un’adolescente.
La palestra si trova in un antico palazzo
di Patiala, nel Punjab, dove oggi si trova
l’istituto nazionale dello sport. Attorno
all’ediicio ci sono siepi potate accuratamente,
alberi con etichette numerate e
marciapiedi dipinti a motivi zebrati. Ma
dietro l’ordine apparente questa resta sempre
l’India, di sicuro non un paese per atleti.
Dopo gli allenamenti Kom va a dormire in
un ostello, e utilizza un fornello portatile
per cucinare verdure bollite e pesce fermentato.
Lava i suoi vestiti a mano e gratta
via il sangue dai calzettoni. L’ostello, che
ospita quasi esclusivamente atleti, ha una
sola lavatrice. Due anni fa, due pugili (e una
aveva vinto una medaglia ai campionati del
mondo) sono state pregate di servire il tè ai
visitatori e di lasciare pulito.
Striscia di sabbia
Imphal è una città molto lontana dalla favola
dell’India in forte crescita. Tra le sue
strade si ha una sensazione di vecchio: non
per la presenza della storia, ma per l’assenza
di rinnovamento. Da queste parti un’auto nuova è una rarità; è più facile incontrare
una jeep delle forze di sicurezza indiane
presenti per reprimere l’insurrezione che
nel Manipur va avanti da decenni.
A Imphal West c’è una strada lunga più
di un chilometro. Un’orrenda striscia di
sabbia e pietre iancheggiata da paludi impossibili
da coltivare che termina in una
gigantesca discarica a cielo aperto. Il suo
nome uiciale è Mary Kom road, ma lungo
la strada non c’è nemmeno un cartello a segnalarlo.
E Mary è contenta che sia così.
Vive nel Manipur da sempre, iglia di
agricoltori senza terra. Da adolescente si è
trasferita a Imphal per farsi strada nell’atletica.
Poi un giorno un pugile del Manipur,
chiamato Dingko Singh, ha vinto la medaglia
d’oro ai giochi asiatici, e quando è tornato
a casa è stato accolto come un eroe.
Mary ha scoperto che nello stato si praticava
da poco la boxe femminile e ha contattato
l’allenatore della sede locale della Sports
autority of India, Ibomcha Singh. L’uomo
ricorda di averla allontanata perché gli
sembrava troppo giovane e gracile. Lei ha
insistito e quando l’ha vista sul ring, Singh
si è accorto che quella ragazza combatteva
“ino alla morte”.
Da allora Mary ha vinto cinque campionati
mondiali. Cinque trioni consecutivi,
come Roger Federer e Björn Borg a Wimbledon.
Ma la maggior parte degli indiani
non ha mai sentito parlare di lei. “Mary
chi?”, mi domandano.
“Quando ho cominciato dicevano che
la boxe non era per le donne. Poi mi sono
sposata e hanno detto che non potevo vincere
dopo il matrimonio, e quando ho avuto
i gemelli hanno detto che non avrei vinto
dopo il parto. Io volevo dimostrare che avevano
torto”.
Vado a trovarla nella sua casa su Mary
Kom road. Indossa una maglietta e un phanek,
la tipica gonna del Manipur. La casa,
fornita dallo stato, ha una base in cemento,
una facciata di cemento e mura di cemento
piene di scarabocchi dei gemelli. È una delle
poche abitazioni di Imphal dove la corrente
elettrica non va a singhiozzo (la media
è di quattro ore di fornitura al giorno).
Nel cortile di casa, sotto un albero di tamarindo,
c’è una piccola stanza costruita
con bambù e lamiere di amianto. Ci vivono
cinque ragazze, studentesse della M.C.
Mary Kom boxing academy, una scuola
gratuita aperta sia ai ragazzi sia alle ragazze.
La concessione del terreno statale è
bloccata da cinque anni, così Mary Kom ha
una scuola di boxe senza un ring. I giovani
atleti però non si perdono d’animo. Agli ultimi
campionati statali 21 di loro (sui circa
30 totali) hanno vinto una medaglia.
Onler, il marito di Mary, gestisce sia
l’accademia sia la carriera della moglie. Anche
lui è piccolo di statura, e ha un isico da
peso gallo. Lui e Mary si sono incontrati a
New Delhi quando lei era ancora una giovane
atleta in visita nella grande città e lui
presidente del Kom community club di
Delhi. Onler, che ha nove anni più di lei,
l’ha presa sotto la sua ala protettrice, e con
il tempo è diventato per lei una sorta di
mentore, motivatore e manager.
Nel Natale del 2006, appena tornati da
una visita a casa di Onler, seppero che il padre
di lui era stato preso da un gruppo di
uomini e ucciso con un colpo di pistola alla
tempia. Era un pastore anglicano e capo del
villaggio. L’hanno ucciso senza un motivo
apparente. Meno di due anni dopo l’assassinio
del suocero (fatto che l’aveva spinta a
pensare al ritiro) e quindici mesi dopo la
nascita dei due gemelli, Mary ha vinto il
suo quarto titolo mondiale.
“Sangue del mio sangue”
È l’inizio di febbraio, e la stagione è fredda
e secca. Durante il giorno i campi sono senza
colore, fatta eccezione per gli scialli variopinti
e i phanek delle ragazze che passeggiano
o vanno in bicicletta. Nel villaggio di
Kangathei, di fronte alla casa dove Mary è
cresciuta, ci sono cactus, felci e croton, insieme
a canneti di bambù alti e itti tra i terreni
incolti. Mangte Akham Kom, la madre
di Mary, è una donna ben proporzionata e
una volta, quando ha accompagnato la iglia
in Birmania, è stata lei, non Mary, a ritrovarsi
subito una ghirlanda al collo. Suo
marito, Mangte Tonpa Kom, è incredibilmente
simile a Mary: stesso corpo minuto
ma potente e teso; stesse braccia muscolose;
stessa schiena dritta. Stessa espressione
di riserbo e stessi lineamenti del viso. “Sì,
quando la osservo mi accorgo subito che è
sangue del mio sangue”, ammette l’uomo.
Campione di lotta del villaggio e ottimo tiratore
da giovane, Tonpa Kom lavora la terra
da quando aveva 15 anni.
Un giorno, quando Mary si era già trasferita
a Imphal, Tonpa Kom lesse un articolo
che parlava di una giovane campionessa
di boxe. Il nome della ragazza era una
versione storpiata di quello di Mary, e la
donna della foto aveva chiaramente l’aspetto
di una della tribù Kom. In più sembrava
avere circa la stessa età di sua iglia. Era
davvero lei? Tonpa Kom non era entusiasta
all’idea: la boxe non era uno sport per ragazze,
e con tracce di lividi sul volto trovare
un buon marito sarebbe stato diicile. Preoccupato,
l’uomo mandò Akham Kom a
Imphal per indagare. Lungo il cammino la
donna incontrò Mary che tornava a casa
trionfante con la sua medaglia d’oro.
Mentre Akham Kom ha approvato da
subito la scelta della iglia, Tonpa Kom ci ha
pensato per alcuni giorni ma alla ine anche
lui ha deciso di sostenerla. Per pagare gli
allenamenti, le attrezzature e i viaggi della
iglia ha venduto la mucca di famiglia per
14mila rupie e ha chiesto altro denaro in
prestito. Quando Mary ha cominciato a
vincere e a incassare gli incentivi, il padre
ha potuto saldare i debiti.
La maggior parte degli indiani non è
mai stata all’estero. Mary invece ha combattuto
in luoghi che i suoi connazionali riescono
a stento a immaginare: Astana in
Kazakistan, Pécs in Ungheria, Tønsberg in
Norvegia, Hanoi in Vietnam e Antalya in
Turchia.
A marzo gioca a Ulan Bator, in Mongolia,
per i campionati asiatici. La sua sidante
nella inale è la cinese Ren Cancan. “È una
donna molto intelligente”, mi spiega Mary:
per lei è il miglior complimento che si possa
fare a un pugile. Tuttavia la cinese ha anche
un vantaggio isico oggettivo: è alta 1,70 ed
è l’attuale campionessa mondiale della categoria
51 chili. La prima volta che Mary ha
combattuto tra i pesi mosca ha afrontato
Cancan nella semiinale dei giochi asiatici
di Guangzhou del 2010. Perse 11 a 7 e, furiosa
per la sconitta, accusò gli arbitri di non
aver sanzionato il comportamento scorretto
della rivale. Dopo quell’incontro in molti
si sono chiesti se Mary sarebbe mai riuscita
ad adattarsi alla nuova categoria di peso.
Non è una questione da poco. Kom ha lavorato
duramente per salire di due categorie
(quella dei 48 e dei 51 chili) in tre anni. Ha
dovuto mettere su massa muscolare senza
perdere in rapidità, e studiare una guardia
più chiusa da utilizzare contro atlete alte e
potenti. Prima di Ulan Bator si è allenata a
Pune con il britannico Charles Atkinson.
Mary è stata la prima donna che Atkinson
abbia mai accettato di allenare, e a Pune i
suoi sparring partner erano tutti uomini.
In inale Kom utilizza la sua guardia perfezionata
nel frattempo per rispondere al
maggiore allungo di Cancan. Scarica
sull’avversaria combinazioni alle quali la
cinese non è abituata, aprendosi la via con i
jab e il destro per poi sferrare il suo colpo
migliore, un potente gancio sinistro. Vince
14-8. Come preparazione per le qualiicazioni
olimpiche di maggio, la inale contro
Cancan è un ottimo allenamento, però non
è abbastanza: ino a quel momento, nella
nuova categoria di peso Mary ha afrontato
le asiatiche, ma non ancora le europee.
Durante le qualiicazioni per i mondiali
di Qinhuangdao, in Cina, Mary è testa di
serie numero 7. Ai quarti di inale l’attende
la numero 2: Nicola Adams, da Leeds. L’incontro
è combattutissimo, e inisce con il
punteggio di 13 a 11 per l’inglese. Per la prima
volta nella storia dei campionati mondiali
di pugilato femminile Mary Kom non
vince nessuna medaglia. Ma il vero problema
è un altro: la sua qualiicazione per Londra
è a rischio, e non dipende più da lei. In
base al regolamento, per andare alle Olimpiadi,
Mary ha bisogno che la Adams vinca
la sua semiinale contro una russa: alla ine
l’inglese ce la fa, prima di essere sconitta
in inale dalla Cancan.
Mary dichiara di non aver mai avuto
dubbi. “Sapevo che la russa non era un
granché e che avrebbe perso contro Nicola”.
Poi le chiedono un parere sull’inglese.
“Lei è brava. Ha uno stile molto difensivo e
un jab veloce. Ma le europee sono meno intelligenti
delle asiatiche, e credo che la batterò.
Ormai ce l’ho in testa”.
Aggressività istintiva
Pochi indiani hanno visto Mary combattere,
perché generalmente i tornei non sono
trasmessi in televisione e nemmeno in
strea ming su internet. I suoi successi sono
stati sepolti nelle ultime pagine dei giornali,
di solito tra le notizie brevi di sport. Ma
quando è tornata da Qinhuangdao come
prima e unica donna indiana nella storia a
qualiicarsi per un’Olimpiade, la stampa ha
inalmente cominciato a interessarsi a lei.
Per Mary inoltre queste Olimpiadi sono la
prima e ultima occasione. Nel 2016, quando
la iaccola olimpica arriverà a Rio de Janeiro,
avrà 33 anni, troppi per competere ad
alto livello.
Trovare ilmati degli incontri di Kom è
un’impresa. Nessuno sembra averne una
copia: né l’emittente nazionale Doordarshan,
né i canali sportivi privati, né i suoi
agenti. Dopo due settimane di ricerche sono
riuscito a rintracciare il video di un unico
incontro masterizzato su un cd senza etichetta,
conservato nell’uicio della federazione
pugilistica e in seguito ho trovato un
altro match nell’hard disk di Jimmy, l’assistente
di Onler. Gli incontri risalgono a due
campionati del mondo: il primo a Podolsk,
in Russia, nel 2005, e il secondo alle Barbados
nel 2010. Le immagini sono girate con
una telecamera a mano, senza commento.
Sembrano testimonianze di un’attività
clandestina, come gli incontri professionistici
dell’ottocento.
Ma la boxe dilettantesca – o olimpica,
come viene chiamata sempre più spesso – è
sempre stata qualcosa di molto diverso dal
pugilato professionistico. Non ci sono premi
in denaro, accompagnamento musicale
o cerimonieri che fomentano il pubblico.
Non è una macchina da soldi che ruota attorno
al fascino ancestrale del sangue. Nessuno
muore durante gli incontri, ed è molto
raro che un pugile inisca al tappeto.
Specialmente nelle categorie di peso
inferiori, i pugili danzano sulla sottile linea
che separa la scazzottata dalla scherma.
Saltano, intano i colpi e scattano per trovare
un varco e segnare un punto. La conta dei
colpi è soggettiva, e spesso dà luogo a contestazioni:
almeno tre dei cinque giudici
presenti devono segnalare istantaneamente
che un pugno è stato abbastanza consistente
e sferrato con la “zona delle nocche”
di un “guantone perfettamente chiuso” su
un bersaglio legittimo, ovvero tra lo stomaco
e la testa e nella zona frontale o laterale
del corpo. Senza un tabellone elettronico il
pubblico non avrebbe idea di quale sia il
punteggio. A volte Mary è troppo veloce
perino per gli standard della categoria pinweight,
e per i giudici i suoi incontri sono i
più diicili da gestire.
A Podolsk la sua avversaria è una coreana.
Mary, 22 anni e 46 chili di peso, combatte
e si muove come una spadaccina. Mentre
l’incontro va avanti, nel leggiadro movimento
browniano irrompe qualcosa di crudo:
grugniti, assalti, pugni violenti e selvaggi.
È l’essenza della boxe, dove la metafora
non ha senso, perché sul ring le cose sono
quello che sono. All’inizio dell’ultimo
round Mary tira un potente destro fuori equilibrio al volto della coreana, costringendola
a un conteggio in piedi agli otto
secondi. La vulnerabilità della sua avversaria
accende una sorta di rabbia nei movimenti
di Kom. Comincia a dare la caccia
alla sua preda nervosa, mostrando l’istinto
del killer che l’ha resa celebre. Dopo la vittoria
fa un profondo inchino ed è portata in
trionfo sulle spalle di Anoop, l’allenatrice.
L’incontro delle Barbados avviene cinque
anni dopo, quando il pugilato femminile
è ormai una realtà in crescita. Anche l’arbitro
è una donna. Il numero delle riprese è
passato da tre a quattro, e Mary è passata
alla categoria pesi mosca leggeri. Per una
volta è più alta della sua avversaria, una romena
che aveva sconfitto già due volte.
Mentre osservo le immagini mi spiega che
ormai era diventata una pugile sveglia,
completa, in grado di danzare attorno
all’avversaria e studiarne lo stile per un’intera
ripresa se lo riteneva necessario. Poteva
inire un incontro per il titolo senza stancarsi
troppo.
Alle Barbados entrambe le atlete hanno
indossato una gonna, una novità che ha fatto
il suo esordio proprio in quel torneo.
Quando la Boxing association ne ha raccomandato
l’uso anche alle Olimpiadi ci sono
state reazioni sdegnate. A Mary però la
gonna non dispiace, e se sapesse che la federazione
indiana ne ha preparata una per
Londra non avrà problemi a indossarla.
“Gli uomini combattono per dimostrare
il loro valore (ovvero la loro mascolinità), e
questo esclude le donne tanto quanto
l’esperienza femminile del parto esclude
gli uomini”, ha scritto Joyce Carol Oates.
“Si pensa che l’aggressività istintiva sia territorio
esclusivo degli uomini, come l’allevamento
per le donne (la pugile però viola
questo stereotipo e non può essere presa
sul serio. Dunque diventa una parodia, una
caricatura, un essere mostruoso)”. Mary
Kom vìola qualunque stereotipo. Questa è
la sua più grande conquista. Aggressività
istintiva, parto, insegnamento: sono tutti
territori che le appartengono. Le piace curare
le sue unghie e visitare i saloni di bellezza,
ama crescere i suoi igli e sì, è pronta
a combattere indossando una gonna.
Anche l’incontro delle Barbados si conclude
con una vittoria. Di nuovo Anoop la
porta a spalla in trionfo, mentre lei con una
mano aperta celebra il suo quinto titolo
mondiale.
Se chiedete alla fenomenale Mary Kom
cosa serve per diventare campioni del mondo,
vi risponderà senza esitare: “Un pugile
dev’essere intelligente e forte. Ma la cosa
più importante è la volontà”.