Benjamin Wallace, New York Magazine,, Internazionale 27/7/2012, 27 luglio 2012
LA TRUFFA IN BOTTIGLIA
(Mancano le F)–
Perino alla festa che segnò il
debutto nel mondo del vino
di Rudy Kurniawan, nel
settembre del 2003, c’erano
alcune bottiglie sospette.
Quel venerdì una decina
dei più grandi esperti di vino californiani si
era riunita nel ristorante Melisse, a Santa
Monica, per una degustazione verticale da
4.800 dollari a testa di irresistibili rarità fornite
da Kurniawan: Pétrus in una decina di
annate diverse a partire addirittura dal
1921, in bottiglie magnum. Il Pétrus oggi è
uno dei vini più famosi del mondo, ma ha
conquistato la sua fama in tempi relativamente
recenti: prima della seconda guerra
mondiale era praticamente sconosciuto, e
aver trovato bottiglie di grande formato degli
anni venti aveva del miracoloso.
Paul Wasserman – iglio di Becky Wasserman,
una leggendaria commerciante di raggiungere la vetta assoluta dell’enologia:
la Borgogna. Gli appassionati di vino vanno
pazzi per la Borgogna. I suoi vini migliori
sono considerati espressioni supreme del
territorio. La complessità della regione
mette alla prova perino il più fanatico dei
fanatici e i vini sono prodotti in quantità così
limitate che la caccia a una particolare
bottiglia può diventare un’ossessione. Allen
Meadows – che colleziona vini di Borgogna
da 33 anni, gestisce il sito Burghound ed è
ritenuto il massimo esperto statunitense in
materia – ha detto: “Malgrado tutto quello
che so, quello che ignoro sui vini borgognoni
è dieci volte di più. Ho visto pochissime
persone imparare a conoscere i borgogna
così in fretta come Kurniawan”.
Kurniawan era diventato anche un degustatore
di talento, con un palato rainato
e una memoria prodigiosa: una vera biblioteca
del gusto. Riusciva a individuare alcuni
vini in degustazioni alla cieca, senza nemmeno
sapere che erano nella lista di quelli
serviti. E si era fatto subito un nome nelle
case d’asta, arrivando a spendere ino a un
milione di dollari al mese. “Aveva monopolizzato
buona parte del mercato di fascia
alta”, ha raccontato in seguito il banditore
John Kapon. È stato soprattutto a causa
dell’attività di Kurniawan che i prezzi dei
vini d’annata sono aumentati enormemente.
Nel 2002 una bottiglia di Domaine de la Romanée-Conti del 1945 costava 2.600
dollari. Nel 2011 ne è stata battuta una a
124mila.
La comunità dei miliardari appassionati
di vino era stregata dal nuovo arrivato. Kurniawan
vestiva alla moda e non badava a
spese: jeans irmati, abiti Hermès su misura,
orologi Patek Philippe, occhiali Chrome
Hearts, stivaletti di coccodrillo. Si apriva la
giacca per mostrare la fodera di seta stampata
con il suo nome in corsivo e si prendeva
gioco, lui che aveva una carta di credito
American Express Centurion, di chi andava
in giro solo con una Platinum. Qualche volta
arrivava con una donna sotto braccio,
magari la cameriera di uno dei suoi ristoranti
preferiti, oppure accompagnato da un
fratello in visita dall’Asia. Di regola, però, si
presentava da solo, e sempre con un’ora di
ritardo: per alcuni era semplicemente arroganza,
per altri la dimostrazione della sua
indolenza da miliardario perdigiorno. Del suo passato non lasciava trapelare quasi
niente. Era arrivato negli Stati Uniti dall’Indonesia
per frequentare la California state
university di Northridge con una borsa di
studio per il golf – ha conidato una volta a
un amico – ma aveva mollato gli studi per
aprire un negozio di sport. La sua famiglia,
di etnia cinese, aveva un’impresa di distribuzione
della birra tra le più grandi dell’Indonesia
e gli versava un cospicuo assegno
mensile pur di tenerlo fuori dai piedi.
Anche se Wasserman lo invitava spesso
a casa sua, Kurniawan aveva sempre una
scusa pronta per non ricambiare l’ospitalità.
Secondo Wasserman, dipendeva dai
suoi “disturbi ossessivo-compulsivi o dalla
sua ritrosia a superare un certo livello di intimità”.
In un ambiente di ricchi e privilegiati,
però, le stranezze e i misteri di Kurniawan
erano molto meno rilevanti della sua
generosità. Dopo una degustazione, Wasserman
lo elogiò pubblicamente per aver
servito la miglior batteria di vini che avesse
“mai assaggiato in una singola sera” e gli
disse: “Lo scettro e la corona sono tuoi”.
Anche Meadows cominciò ad approittare
della generosità di Kurniawan, grazie al
quale assaggiava vini mai provati prima.
Riconoscente, si sforzava di rispondere a
tutte le bizzarre domande di Rudy su etichette,
tappi e capsule. Ben presto Meadows
cominciò a pubblicare appunti di degustazione
basati sulle bottiglie di Kurniawan,
dando il suo preziosissimo imprimatur
alla carriera del giovane appassionato. Anche
Robert Parker, il critico di vini più potente
del mondo, ha assaggiato le bottiglie
di Kurniawan e lo ha deinito “un uomo dolce
e generoso”.
Ma il rapporto più importante per Kurniawan
è stato quello con John Kapon, che
stava trasformando Acker Merrall & Condit,
il negozio di vini della sua famiglia
nell’Upper West Side di New York, in un
promotore di grandi aste di vini. Kapon, che
all’epoca dell’incontro con Kurniawan aveva
32 anni, era molto diverso dai tradizionali
e rigidi battitori britannici. Prima di dedicarsi
all’azienda di famiglia, aveva provato
a diventare produttore di hip-hop, e aveva
curato un blog in cui pubblicava i suoi appunti
di degustazione piuttosto singolari,
con tanto di confronti tra vini, cocaina,
hashish e “sesso al cioccolato”. Kapon presentò
Kurniawan a una cerchia di collezionisti
newyorchesi appena arrivati sul mercato
che si deinivano i 12 Arrabbiati, avevano
soprannomi roboanti come il Castigamatti
o Re Furioso e si vantavano di aprire
bottiglie rare e costosissime alle loro degustazioni.
Kurniawan cominciò ad andare etichetspesso
a New York per stupirli con le sue
bottiglie. Grazie alla sua passione per la
vendemmia del 1947 e il Romanée-Conti,
si guadagnò anche lui un paio di soprannomi:
mister 47 e doctor Conti.
Nell’ottobre del 2004 Kurniawan pubblicò
un post sul sito di Parker intitolato “Il
weekend in cui ho cercato di uccidere John
Kapon con vini leggendari”, raccontando di
una costosissima corvée di quattro giorni a
New York in cui lui e un gruppo di appassionati
si erano ingozzati di inestimabili bordeaux
e borgogna. In quell’occasione Kurniawan
aveva portato con sé un’inesauribile
riserva di rarità provenienti da una “cantina
magica” – comprese due cassette del rarissimo
Romanée-Conti del 1945 – che, a suo
dire, aveva comprato da un collezionista
asiatico per due milioni di dollari. Ogni sera
il gruppo attingeva alla scorta segreta di
Kurniawan per poi inire la serata al Cru –
un ristorante del Greenwich Village aperto
ino alle tre del mattino, con una carta dei
vini da 150mila bottiglie – dove Rudy ordinava
un vino dopo l’altro.
Una vendita prodigiosa
I forum dedicati al vino sono frequentati da
persone particolari, estremamente volubili
negli entusiasmi, proprio come i 12 Arrabbiati,
ma con molti meno soldi. Dopo la
pubblicazione dei suoi appunti, Kurniawan
diventò la “rock star delle degustazioni”,
capace di “un’incredibile generosità” nel
condividere le sue note, che si leggevano
“come un romanzo porno”. Certo, anche
nei forum qualcuno era più scettico e non
apprezzava la sua arroganza. Ma la maggioranza
degli appassionati era con lui. Da parte sua, Kurniawan in pubblico
non faceva mai riferimento ai cinque pacchi
che quell’anno aveva ricevuto dal Cru, contenenti
le bottiglie vuote delle folli notti
trascorse al ristorante. Non era insolito che
un cliente si portasse a casa una bottiglia
memorabile dopo averla bevuta. Ma nei sei
anni di vita del Cru, ino alla sua chiusura
nel 2010, nessun altro cliente aveva mai ordinato
tante bottiglie per poi richiederne
sistematicamente i vuoti. Kurniawan spiegò
al sommelier che gli servivano per costruire
un museo di bottiglie di pregio nel
suo garage.
Anche se in pubblico si presentava come
un semplice esperto di vini, quando il suo
nome diventò noto tra gli appassionati Kurniawan
aveva già cominciato a rifornire le
case d’asta. In quel momento emersero i
primi problemi. Nel 2003 l’imprenditore
Eric Greenberg minacciò di querelare il sito
di aste online Winebid per alcune trufe,
scrivendo: “Il mio obiettivo è distruggere la
reputazione del fornitore (cioè Kurniawan)”.
Poco dopo, però, Greenberg disse di
aver parlato con Kurniawan e di essersi convinto
che anche lui era stato imbrogliato da
chi gli aveva venduto il vino.
In un weekend di degustazioni da 17.500
dollari a testa, organizzato da Kapon nel
2005 e dedicato ai cento migliori vini del
secolo, tra le etichette c’erano due Romanée-
Conti del 1937 e due del 1945. Mentre
degustavano il vino, Doug Barzelay, un
avvocato e collezionista newyorchese, e il
suo amico Meadows continuavano a scambiarsi
occhiate. Non avevano mai assaggiato
l’annata 1945, ma avevano la sensazione
che qualcosa non andasse. Entrambe le
bottiglie erano state vendute a Kapon da
Kurniawan. Al momento di andare a cena,
Meadows fece una battuta sul Romanée-
Conti del 1945: “Ne sono state prodotte solo
608 bottiglie, ma probabilmente ne sono
state consumate più di diecimila”. Gli altri
risero con l’aria di saperla lunga. Ma nessuno
puntò il dito contro Kurniawan. Barzelay
e Meadows sapevano bene che chi comprava
vini così rari rischiava di ritrovarsi con
qualche bottiglia contrafatta.
Ma l’incredibile quantità di vino comprata
da Kurniawan fu evidente solo nel
gennaio successivo, quando Kapon organizzò
l’asta di quella che sfacciatamente
deinì nel catalogo la “più grande cantina
d’America”. L’anonimo fornitore – negli
ambienti dei conoscitori si dava per scontato
che fosse Kurniawan – era uno dei “collezionisti
più esperti” che Kapon avesse conosciuto,
“ossessionato dai minimi dettagli
sulla provenienza, le condizioni, le etichette te e ovviamente la conservazione dei vini”.
Per Kapon era un’occasione importante. La
Acker era una casa d’aste di secondo piano:
era la prima volta che organizzava la vendita
di un’intera cantina. Meadows scrisse
una nota introduttiva per il catalogo, celebrando
“l’impareggiabile generosità” di
Kurniawan e la sua “tenace perseveranza”
nel ricercare “alcuni pezzi davvero stupefacenti”.
In due giorni al ristorante Cru furono
battuti 1.742 lotti per un totale di 10,6
milioni di dollari. Nove mesi dopo, sempre
a New York, al Café Gray del Time Warner
Center, la Acker organizzò un’asta ancora
più grande. Con 2.310 lotti battuti e 24,7 milioni
di dollari di incasso la vendita stracciò
il record stabilito da Sotheby’s nel 1999. In
un colpo solo la Acker diventò il numero
uno nelle aste di vino.
Kapon aveva fatto bingo. E su Rudy erano
piovuti 35 milioni di dollari. Per tutto il
2006 si dette alla pazza gioia, comprando
pezzi d’arte contemporanea, auto e una villa
da otto milioni di dollari a Bel Air. Il Los
Angeles Times gli dedicò un articolo in cui
lo paragonava a “un cattivo dei ilm di James
Bond, con il cappotto di pelle bianca e
un barboncino di nome Chloe sempre al
guinzaglio”. Parlando con il giornalista,
Kurniawan osservò che le contraffazioni
erano una trappola pericolosa per i collezionisti,
e spiegò di aver imparato a evitarle
solo dopo aver assaggiato “centinaia di bottiglie”
ed essersi impadronito di tutti i segreti
del mestiere. Nei giorni precedenti
alla prima asta, tuttavia, alcuni appassionati
particolarmente scettici – tra cui Troy,
Barzelay e l’avvocato di Los Angeles Don
Cornwell – avevano cominciato a scambiarsi
appunti e impressioni sui vini di Kurniawan.
L’incredibile concentrazione di preziosissime
rarità sembrava sospetta.
“Quando vedi arrivare sul mercato casse di
un vino rarissimo come il Roumier Musigny
del 1959, non puoi non stupirti”, ricorda
Barzelay. Ancora più stupefacenti erano le
bottiglie di Roumier Bonnes-Mares del
1923, considerato che il Domaine era stato
fondato nel 1924. Ma la Borgogna è un luogo
dove tutto può succedere: forse la famiglia
proprietaria della vigna l’aveva venduta
a Roumier insieme alla vendemmia dell’anno
prima, che quindi era stata imbottigliata
con l’etichetta Roumier Musigny.
Nel gennaio del 2007 Don Stott, un ex
pezzo grosso di Wall street e collezionista di
vini di Borgogna, ospitò una degustazione
nella sua casa di Summit, in New Jersey, per
assaggiare quei capolavori con il loro creatore,
Christoph Roumier, arrivato per l’occasione
dalla Francia. Erano presenti sia
Barzelay sia Meadows. Uno degli ospiti, un
collezionista di dischi in vinile che andava
in giro con una lente d’ingrandimento, la
tirò fuori per esaminare una bottiglia. Tutti
i dettagli dell’etichetta erano corretti, ma
invertiti: doveva essere una fotocopia di eccellente
qualità. Degli undici vini di Kurniawan
stappati, sei erano contrafatti.
Con il tempo Barzelay aveva smesso di
credere che Kurniawan fosse un ingenuo, e
si era convinto che si stava deliberatamente
sbarazzando dei falsi comprati per errore.
Poi cominciò a chiedersi se anche lui fosse
coinvolto attivamente nella trufa. La degustazione
di Stott lo convinse che Kurniawan
era complice dell’imbroglio. “A quel punto
era chiaro”, spiega Barzelay, “che Kurniawan
doveva saperne molto di più”. Stott
decise di restituire parecchie delle bottiglie
comprate dalla Acker e il Cru decise di distruggere
tutte le bottiglie vuote.
I primi problemi
Intanto, a Palm Beach, anche un altro importante
collezionista (Bill Koch, il fratello
dei promotori del Tea party, Charles e David)
aveva dei dubbi sui vini di Kurniawan.
Nel 2005 Koch aveva cominciato a passare
in rassegna le 43mila bottiglie della sua cantina
alla ricerca di vini contrafatti e aveva
già intentato diverse querele contro case
d’asta e altri collezionisti. Nel 2007 i suoi investigatori fecero analizzare tre bottiglie
procurate da Kurniawan con uno spettrometro
a raggi gamma, spedendone altre
quattro negli châteaux francesi di origine
per veriicarne l’autenticità. La risposta fu
che molto probabilmente erano false.
La capacità di Kurniawan di trovare inanziamenti
era sempre stata avvolta nel
mistero e all’improvviso sembrò esaurirsi,
proprio nel momento più critico: la ristrutturazione
della villa di Bel Air era un pozzo
senza fondo e gli stava dando diversi problemi
legali. Inoltre, dopo la degustazione
di Stott, nonostante il proitto ricavato dalle
aste, la Acker fece causa a Kurniawan chiedendo
un milione di dollari di risarcimento.
A detta di Kapon, il debito – che continuava
a crescere – era dovuto a un anticipo versato
a Rudy, invece, secondo altri esperti di vino,
dietro c’era il fatto che alcuni collezionisti
stavano restituendo le bottiglie sospette.
Alla ine dell’anno Kurniawan doveva alla
Acker sette milioni di dollari.
Quando Rudy si mise a cercare nuovi
contatti, gli amici del mondo del vino accorsero
in suo aiuto. Nel 2007 chiese a un
suo amico collezionista un prestito da un
milione di dollari. “Questa settimana solo
850mila”, rispose quello. Nel giro di qualche
mese, però, i debiti raggiunsero gli 11,5
milioni di dollari e Kurniawan cominciò a
esporsi, ipotecando due volte lo stesso bene
e occultando i debiti per ottenere altri prestiti.
Nel frattempo stava anche cercando
nuovi canali per vendere le sue bottiglie.
Nell’aprile del 2007, in occasione di un’asta,
la iliale di Christie’s di Los Angeles pubblicò
un catalogo che sulla copertina aveva sei
bottiglie magnum di Le Pin Pomerol del
1982, un vino di culto prodotto in quantità
limitata. Le bottiglie erano di Kurniawan.
Ma il produttore, avvisato da alcuni increduli
appassionati, dichiarò che dovevano
essere false e pretese che fossero ritirate.
Christie’s ubbidì. In seguito Kurniawan riuscì
privatamente a vendere vino per 2,2 milioni
di dollari ad Andy Gordon, partner
della Goldman Sachs e presidente del Los
Angeles County museum of art.
A questo punto la persona che aveva più
motivi per dubitare di Kurniawan era Kapon,
che però era assolutamente convinto
dell’innocenza del suo amico. La Acker stava
progettando una grande asta della cantina
del collezionista Rob Rosania per l’aprile
del 2008, e Kapon fece in modo che ci fossero
anche dei vini di Rudy.
Negli acquisti fatti da Kurniawan, però,
c’era una stranezza che attirò l’attenzione
di alcuni operatori: il suo interesse per vini
di qualità inferiore. “Roba di terza scelta, le accetpeggiori
vendemmie di vecchi borgogna”,
racconta un commerciante. “Perché diavolo
Kurniawan avrebbe dovuto comprarli?”.
Ma come si fa a contrafare il vino? Una
possibilità è mescolare due annate diverse
– per esempio un Pétrus del 1981 (del valore
di 1.194 dollari) con uno del 1983 (1.288 dollari)
– per ottenere due bottiglie di Pétrus
del 1982, che vale 4.763 dollari. Il sapore
non è lo stesso, ma la diferenza non è eccessiva.
Con i vini meno importanti si possono
semplicemente rietichettare le bottiglie
e spacciarle per vini molto più costosi,
stampando una nuova etichetta o usandone
una staccata da una bottiglia vuota. Correndo
un rischio maggiore, si può anche
falsiicare un tappo senza timbri imprimendovi
un nome o un’annata particolari.
I falsi Clos St. Denis
La cosa particolare delle trufe sui vini antichi
è che è quasi impossibile arrivare a delle
certezze. Basta andare indietro di qualche
decennio, soprattutto a prima della seconda
guerra mondiale, e le informazioni sono
quasi inesistenti: non si sa quante bottiglie
di un certo vino siano state prodotte, in quali
formati, con quali etichette. Inoltre, più
un vino è vecchio e raro, meno è conosciuto.
Spesso i sommelier sono in disaccordo sulla
valutazione e anche quando una bottiglia
ha un gusto insolito la diagnosi è un campo
minato. Perino la datazione con radioisotopi
ha margini di errore enormi per i vini
più vecchi. Consapevoli di questa incertezza,
diicilmente i produttori si fanno avanti
per dichiarare che una bottiglia è falsa. Una
casa d’aste può anche nutrire dei dubbi sulle
origini di un vino, e quando i venditori si
decidono a pronunciarsi preferiscono ricorrere
a degli eufemismi, limitandosi a parlare
di “incompatibilità”.
Proprio per questo motivo quello che
avvenne il 25 aprile 2008 non aveva precedenti.
A dieci minuti dall’inizio dell’asta
della cantina di Rosania, specializzata in
champagne, un uomo entrò al Cru e si sedette
vicino all’uscita. Era Laurent Ponsot,
il produttore borgognone i cui vini erano
presenti in 22 lotti. Il Domaine Ponsot aveva
cominciato a produrre il Clos St. Denis solo
nel 1982, ma nel catalogo iguravano annate
del 1945 e del 1959 depositate da Kurniawan. Barzelay aveva avvertito Ponsot, spiegando
a Kapon che bisognava ritirare i lotti.
Ponsot era presente per accertarsi che i falsi
dei suoi vini non fossero messi in vendita.
Quella sera i 12 Arrabbiati si scatenarono.
Negli appunti sui vini bevuti durante
l’asta, stando a quanto ha riferito in seguito
lo scrittore e appassionato di enologia Jay
McInerney, apparivano espressioni come
“un vino più chiuso di una vergine quattordicenne”
e “fetido come l’ano di una monaca
novantenne”. A un certo punto, alzandosi
in piedi Rosania stappò rumorosamente
un jéroboam di Bollinger del 1945 da diecimila
dollari. “Chiudi la bocca e scoliamoci
questa”, disse Kapon, altrettanto di buon
umore. Quando annunciò il ritiro dei lotti di
Ponsot – “su richiesta del produttore e con il
consenso del fornitore” – i presenti protestarono,
come se volessero comunque acquistare
le bottiglie. “È la Borgogna”, dichiarò
più tardi Kurniawan a un giornalista.
“Qualche casino può sempre succedere”.
La sua disinvoltura, però, non poteva
mascherare il fatto che questa volta le prove
contro di lui erano schiaccianti. Per alcune
bottiglie false poteva anche esserci una
spiegazione, ma era evidente che troppi vini
del lotto erano contrafatti. Secondo il consulente
Brian Orcutt, presente all’asta, “fu
quello il momento cruciale”. Fu un colpo
grave anche per la Acker. “Era evidente che
Kapon non aveva esercitato i dovuti controlli”,
ha commentato un esperto.
Il giorno dopo l’asta, Kapon e Kurniawan
andarono a pranzo con Ponsot e Barzelay
al ristorante Nougatine, in Central park.
“Sui vini del Domaine Ponsot esclusi
dall’asta Rudy fu evasivo”, ricorda Barzelay.
“Disse qualcosa tipo: ‘Devo controllare le
mie carte e vedere dove me li sono procurati’”.
A giugno Kurniawan scrisse un’email a
Ponsot spiegando di aver comprato le bottiglie
“da una cantina di Pak Hendra, in Asia”
e il mese seguente, durante una cena al Cut
di Los Angeles, scarabocchiò due numeri di
telefono. Ma erano quelli di una linea aerea
regionale indonesiana e di un centro commerciale
di Jakarta. “Pak Hendra”, scoprì
Ponsot, voleva dire “mister Smith”.
Poco dopo il fallimento della trufa del
Domaine Ponsot, Kapon decise di non accettare
più vini da Kurniawan. “I nostri rapporti
cambiarono improvvisamente”, racconta
Kapon. Anche Meadows non sapeva
cosa pensare. Forse per difendere la sua reputazione,
ipotizzò che Kurniawan aprisse
i vini veri alle degustazioni per poi vendere
quelli contrafatti alle aste. Tuttavia, anche
dopo il caso del Domaine Ponsot c’erano
ancora delle case d’aste disposte ad peggiori tare le bottiglie di Kurniawan. Quando ne
apparvero alcune nel catalogo di una vendita
organizzata da Christie’s a New York nel
settembre 2009, un collezionista scrisse a
Charles Curtis, responsabile delle vendite
di vino in Nordamerica per la casa d’aste,
per esprimere il suo stupore. “Abbiamo
controllato la cantina. È meravigliosa”, pare
gli abbia risposto Curtis.
Nonostante gli avvertimenti, Christie’s
confermò l’asta e mise in vendita le bottiglie
di Kurniawan in almeno altre due occasioni.
“Non si fecero troppi problemi”, spiega
un collezionista. “Il dipartimento vini di
Christie’s stava perdendo colpi sul mercato.
Avevano bisogno di prodotti e grazie a Kurniawan
riuscivano a procurarseli”.
Fiducia o ingenuità?
Le cose sarebbero andate avanti così – con il
vino di Kurniawan che spuntava clandestinamente
sui mercati e qualche volta veniva
ritirato – se nei primi mesi del 2012 non si
fossero veriicati due nuovi eventi. Il primo
è stato una sorta di rivoluzione nel mondo
del vino: venuto a sapere che Kurniawan
era il fornitore di bottiglie sospette in un’imminente
asta londinese, e ancora indignato
perché i suoi avvertimenti erano stati ignorati
da Christie’s, l’8 febbraio l’avvocato
Cornwell ha scritto un post su un popolare
forum sul vino, Wine Berserkers: “Avviso
urgente: Rudy Kurniawan sta tentando di
mettere all’asta altri vini”. Il presidente di
una delle due piccole case d’asta che stavano
organizzando la vendita ha risposto alle
accuse afermando che era stata fatta una
“indagine approfondita”. La risposta è servita
solo a far infuriare la comunità del forum.
La mobilitazione online – seguita da diversi comunicati stampa di grandi distributori
di vino – ha suscitato un tale scalpore
sui siti britannici da convincere i banditori a
ritirare dodici lotti di Romanée-Conti per
un valore di centinaia di migliaia di dollari.
A marzo, poi, una causa civile intentata
contro Kurniawan nel 2009 è arrivata a un
punto di svolta: dopo anni di battibecchi
procedurali, il giudice ha deciso che si poteva
procedere. Intanto anche l’Fbi aveva accumulato
prove contro Kurniawan, scoprendo
che viveva illegalmente nel paese
dal 2003, quando la sua domanda d’asilo
era stata respinta. Preoccupati per il rischio
di fuga, i federali hanno chiesto un mandato
d’arresto. All’alba dell’8 marzo un gruppo
di agenti si è presentato alla sua villa.
Kurniawan ha aperto la porta in pigiama.
Oltre a lui, in casa c’era la madre anziana.
Perquisendo la casa gli agenti hanno
scoperto migliaia di etichette di vini di pregio,
tra cui Pétrus del 1950 e Lafleur del
1947, Laite e Romanée-Conti. C’erano anche
centinaia di tappi vecchi e nuovi e una
macchina per applicarli alle bottiglie. C’erano
capsule di piombo, sigilli di cera e timbri
di gomma con l’annata e il nome dei produttori.
E poi colla, mascherine, forbici e
carta da disegno. E appunti dettagliati su
come fabbricare etichette per il Domaine
Ponsot Clos de la Roche 1962. C’erano inoltre
bottiglie di vini economici della Napa
valley marcate con i nomi dei vecchi vini
borgognoni e altre bottiglie a mollo nel lavandino
della cucina, con l’etichetta pronta
per essere staccata.
Messo di fronte a quest’abbondanza di
prove, il mondo del vino si è trovato a dover
fare i conti con gli abbagli presi. Paul Wasserman,
che era in afari con Kurniawan, si è scusato con Don Cornwell per averlo criticato.
Secondo alcuni non poteva non sapere,
altri credono nella sua buona fede. “A
posteriori, non capisco come posso aver accordato
a Kurniawan tanta fiducia”, ammette
lui stesso, che ormai dubita della sua
stessa competenza e teme per la sua reputazione.
Per anni aveva pubblicato appunti di
degustazione basati su vini contrafatti.
Dopo tutto, Rudy non aveva solo monopolizzato
il mercato di alcuni vini: aveva
monopolizzato anche la loro conoscenza.
Kapon aveva pubblicato innumerevoli appunti
di degustazione basati sui vini di Kurniawan,
e Meadows aveva scritto critiche su
alcuni vini rarissimi basandosi sulle sue
bottiglie. “Rudy era molto generoso e sembrava
un vero amante del vino”, ha detto
Meadows. “Per questo gli ho concesso il beneficio
del dubbio più a lungo di quanto
avrei dovuto”.
Wasserman e molti altri oggi vogliono
sapere chi sia davvero Kurniawan. “E capire
ino a che punto sia un mascalzone”, sottolinea
l’importatore. Forse Kurniawan è stato
spinto a organizzare le frodi da improvvise
diicoltà inanziarie. “Ma se fosse stato
tutto freddamente calcolato in dall’inizio?
Chissà...”, dice Wasserman.
Tutti hanno delle domande. Kurniawan
ha potuto disporre di un capitale iniziale.
Ma da dove viene la sua famiglia? Si è davvero
arricchita distribuendo birra in Asia? E
lui ha cominciato a occuparsi di vino spinto
da un sincero entusiasmo, come spera Wasserman,
oppure è sempre stato un trufatore?
Ha agito da solo o ha avuto rapporti con
la criminalità organizzata? O forse – ipotesi
ancora più inquietante – è un imbroglione
sociopatico e solitario che ha sfruttato il suo
straordinario palato per il brivido di superare,
e non solo in termini di denaro, i suoi
colleghi più anziani?
A maggio Kurniawan è stato incriminato
da un tribunale di New York. Deve afrontare
quattro imputazioni per frode e contrafazione
di vini e rischia una condanna a
cento anni di carcere. Il mondo del vino attende
con impazienza, ma anche con terrore,
le sue rivelazioni. Se la sua ascesa ha dimostrato
qualcosa, è con quanta facilità il
desiderio di sapere di più può essere sopraffatto
dalla tentazione di sapere di meno.
In una recente intervista telefonica Rob
Rosania – uno dei più tenaci sostenitori di
Rudy Kurniawan– ha accennato vagamente
alla sua “delusione” per “quanto complessivamente
è emerso”. Ma poi ha parlato di
“prove solo presunte”, come se volesse
mettere in dubbio quello che aveva visto
con i suoi stessi occhi.
vini statunitense che vive in Borgogna – è
una sorta di guru del vino ma, prima di quella
serata, non aveva mai assaggiato un
Pétrus più vecchio del 1975. Eppure due
bottiglie lo lasciavano perplesso. Quella del
1947 non aveva l’untuosità tipica di
quell’annata leggendaria dei bordeaux della
riva destra della Gironda, e quella del
1961 gli sembrava “molto giovane”. Valutò
brevemente la possibilità che fossero dei
falsi – il Pétrus del 1961 in bottiglia magnum
all’asta aveva raggiunto i 28.440 dollari – e
nei suoi appunti scarabocchiò: “Se stasera
c’è una bottiglia su cui nutro seri dubbi, è
quella del 1947”. Ma nel mondo dei vini rari
i dubbi sono endemici: l’incertezza è una
componente inevitabile di un prodotto confezionato
in vetro colorato e cassette di legno,
di provenienza misteriosa e avvolto
nella nebbia della storia. E poi il mercato
dei vini rari non fa che dare a questi dubbi
un alone di fascino misterioso. La maggior
parte dei collezionisti vuole spendere molto
e bere etichette famose, non necessariamente
fare domande e ascoltare risposte.
Gli ospiti delle degustazioni non vogliono
essere ingrati verso chi gli dà da bere, i banditori
delle aste non vogliono correre il rischio
di perdere potenziali fornitori cavillando
sulle bottiglie sospette e i produttori
non vogliono parlare di contrafazione per
paura di rovinarsi la reputazione. Inoltre, il
problema di qualche miliardario che si fa
fregare da falsari di vino non è in cima alle
preoccupazioni dell’Fbi. È chiaro che in
questo ambiente tutti sanno che le frodi sono
molto difuse. Ma è altrettanto chiaro
che solo pochi sentono la necessità di combatterle.
Alla ine Wasserman si convinse che i
vini erano autentici. Un altro ospite che
aveva assaggiato più volte l’annata del 1961
sostenne che la bottiglia di Kurniawan era
“assolutamente compatibile” con la sua
esperienza. E non c’era niente di allarmante
nemmeno nell’aspetto dei vini. I colori
erano quelli giusti e i tappi, anche quelli che
sembravano più nuovi, potevano essere originali
(per certi vini è prassi comune sostituirli).
Quanto al guazzabuglio di inchiostri
e di carte usati per le etichette, Wasserman
non era abbastanza esperto per giudicare.
Ma Kurniawan, di solito gentile e riservato,
pontiicò con grande sicurezza, nel suo inglese
dal lieve accento straniero, sulle etichette
dei vecchi Pétrus. “Rudy è diventato
un vero esperto sull’argomento”, commentò
qualche giorno dopo Wasserman su un
popolare sito di enologia.
Dall’Indonesia a Los Angeles
Il fatto che nel 2003 Kurniawan avesse accumulato
tanti vini – e tanti clienti – e fosse
considerato un vero esperto era straordinario,
considerato che aveva cominciato a occuparsi
della materia solo da due anni. Ma
nella danarosa cerchia dei collezionisti di
vino, già solo aprire il portafoglio è ritenuto
un atto di coraggio e di virtù.
L’illuminazione enologica di Kurniawan
risale al 2001, quando, festeggiando il compleanno
del padre in un ristorante di San
Francisco, Rudy bevve per la prima volta un
Opus One del 1996. All’epoca aveva 25 anni
e viveva ad Arcadia, un sobborgo di Los Angeles.
Totalmente conquistato, si mise alla
ricerca di questo vino, riuscendo ad accumularne
200 bottiglie. Poi cominciò a frequentare
le degustazioni settimanali organizzate
da Red Carpet, un negozio di vini di
Glendale. Nel 2002, a un’asta di beneicenza
nella città di Paso Robles, dopo diversi
rilanci riuscì ad aggiudicarsi una partita
molto ambita di syrah Sine Qua Non, un vino
di culto della California.
Alla fine del 2002 Kurniawan aveva
completato il percorso classico di tutti gli
esperti di vino, passando dalle bottiglie californiane
ai premier cru di Bordeaux ino a