Georges Malbrunot, Le Figaro, Internazionale 27/7/2012, 27 luglio 2012
PREPARATIVI IN CORSO PER IL DOPO ASSAD
(mancano le "f")–
Dietro le quinte si intensificano le manovre in vista del dopo Assad. “Anche se il regime è ancora pericoloso”, ammette un diplomatico francese, “l’attentato a Damasco del 18 luglio (in cui sono rimasti uccisi
alcuni alti funzionari degli apparati di
sicurezza) ci costringe a pensare al futuro.
Temiamo che si veriichi uno scenario come
quello libico, dominato dai signori della
guerra, o come quello iracheno, con un deserto
istituzionale”.
Nelle cancellerie si studiano due soluzioni
per scongiurare il vuoto politico e i
problemi di sicurezza. Innanzitutto, prendendo
spunto dal modello di transizione
egiziano, si pensa alla creazione di una specie
di consiglio supremo delle forze armate,
che raggruppi i generali disertori e quelli
ancora in servizio. Il consiglio dovrebbe gestire
il periodo della transizione, circa nove
mesi, in vista delle elezioni e della redazione
di una nuova costituzione. Questa prima
soluzione s’ispira alla linea adottata da Koi
Annan nel suo lavoro di mediazione tra
regime e ribelli, e alle raccomandazioni approvate
dall’opposizione siriana durante
l’ultima riu nione al Cairo, all’inizio di luglio.
Se le cose andassero così, potrebbe
avere un ruolo cruciale il generale Manaf
Tlass, l’alto uiciale della guardia repubblicana
di Damasco che tre settimane fa ha
disertato. Da allora Tlass, amico d’infanzia
del presidente siriano Bashar al Assad, ha
dichiarato di sostenere “un’opposizione
costruttiva”.
Secondo alcuni il generale – sunnita come
i ribelli e originario di Rastan, uno dei
bastioni della rivolta – sta lavorando alla
creazione di un “comando militare raforzato”
dell’Esercito siriano libero (Esl), dove
integrare i generali disertori. Si dice anche
che abbia contattato vari dissidenti sul
campo, tra cui suo cugino Abderazzak
Tlass, comandante della brigata Al Faruq,
attiva a Homs e nella regione di Rastan.
Nonostante i recenti progressi, l’Esl non
è ancora in grado di prendere in mano la
situazione dopo la caduta di Assad, quindi
bisognerà aidarsi all’esercito regolare. “Il
generale Tlass potrebbe annunciare la
crea zione di un consiglio supremo delle
forze armate e chiedere ad Assad di cedere
il potere”, ipotizza un diplomatico che lavora
con Koi Annan. Secondo la stessa fonte,
Assad avrebbe chiesto agli alleati russi e cinesi
la garanzia di non comparire davanti
alla giustizia internazionale. Il 22 luglio, durante
un vertice in Qatar, i paesi della Lega
araba hanno offerto ad Assad una “via
d’uscita sicura” per lui e la sua famiglia, a
Dubai o ad Abu Dhabi.
Evitare le vendette
Il capo della diplomazia qatariota, lo sceicco
Hamad bin Jassim, ha invitato “l’opposizione
e l’Esl a formare un governo di unità
nazionale”. È la seconda soluzione proposta
per la transizione. Lo sceicco spera di
vedere l’opposizione “serrare i ranghi” per
formare un governo di transizione che
comprenda il Consiglio nazionale siriano
(la principale componente dell’opposizione
in esilio), ma anche “l’Esl, gli oppositori in
patria e le grandi famiglie sunnite borghesi
di Damasco”. Rispetto a questa ipotesi, che
piace anche alla Francia, gli Stati Uniti preferiscono
che si insedi prima un consiglio
militare per “non concedere troppi spazi
agli islamisti”, sottolinea il diplomatico vicino
ad Annan. Oggi i gruppi jihadisti sul
campo si stanno afrancando sempre di più
dall’Esl.
Una volta caduto il regime, un altro problema
sarà limitare i regolamenti di conti e
le vendette contro la minoranza alawita, di
cui fa parte il clan Assad. Negli ultimi giorni
si stanno moltiplicando le iniziative per evitare
gli scontri tra comunità, e Parigi ha
chiesto alle sue ambasciate di prendere
contatto con le organizzazioni sunnite per
convincere i capi della ribellione a tenere
“un comportamento responsabile”. Sul
fronte opposto è stato contattato Rifaat al
Assad, lo zio di Bashar in esilio a Parigi, per
trasmettere un messaggio rassicurante agli
alawiti. Ma “non è facile costrui re una
struttura politica e militare dopo mesi di
scontri armati, in un contesto con troppi
protettori: il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia,
la Francia…”, ammette Samir Aita,
uno dei responsabile dell’opposizione a Parigi.