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 2012  luglio 26 Giovedì calendario

I giochi EMANUELA AUDISIO Sono Giochi di contropotere. Risistemano geografie, sconvolgono supremazie, lucidano comandi

I giochi EMANUELA AUDISIO Sono Giochi di contropotere. Risistemano geografie, sconvolgono supremazie, lucidano comandi. Una volta si andava nello spazio e sulla luna, oggi si va alla conquista dei Giochi. Il tempo dei Cinque Cerchi arriva ogni quattro anni e non è uguale a niente: è molto di più, per via dell’attesa e del lungo desiderio. È una lenta semina, dal raccolto non stagionale. Ma il pil dello sport non funziona come quello economico, ha altre gerarchie: capita che le grandi potenze cedano alle minoranze, ai paesi che contano poco, dalla moneta debole e dagli armamenti scarsi. Gli schiavi che schiaffeggiano i padroni. I Caraibi vanno più forte della Germania, il Kenya della corsa strabatte l’America, l’Etiopia sulla distanza surclassa la Svizzera. È più efficace un’Olimpiade di venti anni di politica estera, perché in un attimo dimostra che il tuo paese con Mandela non è più nel Medioevo e che il Sudafrica da nazione ultima per i diritti civili diventa il faro delle libertà e dei diversi, facendo portare la sua bandiera a un ermafrodita, facendo correre un uomo con doppie protesi e nuotare una ragazza senza gamba. Il nero Kenya che vince con i suoi scheletrici mezzofondisti ha deciso che il suo portabandiera non sarà un Masai, ma il nuotatore bianco Jason Dunford, in rappresentanza della mia Africa. E per salvare una decente faccia organizzativa la Gran Bretagna fa occupare Londra da 18.200 soldati, il doppio delle sue forze militari presenti in Afghanistan. Non ci vogliono Marx ed Engels per capire che la merce sport ogni quattro anni alza il prezzo del suo capitale. E che non è più il reparto giochi della società. I Cinque Cerchi sono il brand mondiale più importante dopo la Apple. Vengono stimati 47.6 miliardi di dollari e come prodotto originale ellenico (nacquero ad Atene nel 1896) valgono 134 volte più della Banca di Grecia. Per questo i Paperoni dello sport, quelli che come Kobe Bryant vanno all’allenamento con l’elicottero personale, vengono qui a fare canestro e a ripulirsi la faccia e la fama. Un lifting morale per tornare vergini. Vogliono far vedere al mondo che sanno ancora giocare per gioco e non per la cassaforte. La chiamano Medal Mania. La voglia di stare in cima, di far vedere che non sei un punto nel mondo, ma un pezzo di geografia importante. Una volta bastava un oro per essere felici, ora se vinci solo una medaglia sei un pezzente, tutti sono malati di bulimia: c’è chi ne vuole 5 o 6. Non bastano gli eroi ci vogliono i Supereroi. Lo squalo Phelps dopo gli 8 ori di Pechino, da solo ha vinto quanto l’Italia, stavolta si accontenterebbe di 7, ma in tutto ne ha già 16 e con altre tre diventerà l’atleta più premiato della storia. Ci sono voluti dieci ore di lavoro per forgiare i 412 grammi della medaglia olimpica di Londra, ma servono anni per costruire un atleta. L’America sui Giochi ci ha sempre contato: 2.302 medaglie nella sua storia, 1.200 più della nemica Urss, ormai defunta. La Cina, arrivata in ritardo, viaggia veloce, ma con 385 medaglie è ancora molto lontana. Anche se a Pechino 2008 ha battuto gli Usa per ori (51 a 36), ma è rimasta sotto di dieci (100 a 110) nel totale. L’Italia è a 522. Ci si scontra e ci si combatte in nome dello sport, non ci sono sottomarini da affondare, ma bisogna avere programmi, fede, tecnologia umana. Le armi sono muscoli, fiato, polmoni. Freschezza mentale e cuore leggero. Con un fucile ad aria compressa quasi da bambini c’è chi ci ha mirato meglio di chi contava su una sofisticata tecnica. Se alzi la testa (o il pugno) ai Giochi sei più visibile di un premio Nobel. Ti vedono e ti riconoscono ovunque. Alzi la mano chi ricorda che Murray Gell-Mann nel ‘69 ha vinto il Nobel della fisica per la teoria sulle particelle elementari (quark) mentre il 10 preso da Nadia Comaneci nel ‘76 o gli 8.90 metri di Beamon nel ‘68 sono indelebili come il nostro voto alla maturità. Per questo il ricco uomo d’affari Gagik Tsarukyan, presidente del comitato olimpico armeno, ha offerto un premio di 700 mila dollari per l’oro che manca dal ‘96. Non basta la ricchezza, la Mercedes, la cancelliera Merkel, il territorio vasto, i grandi numeri. Il Terzo Mondo ai Giochi si prende rivincite. Chi ha il petrolio non ha i campioni, chi ha finanze forti ha gambe deboli. Nel fango finiscono paesi obesi di troppi desideri, offesi dalla propria opulenza. La classifica secondo il Pil (prodotto interno lordo) ribalta gerarchie sicure: prima Cuba, seguita da Giamaica e Lettonia. Quella per numero di medaglie ogni milione di abitanti vede avanti Bahamas e Australia, Cuba. Quella per ogni milione di chilometri quadrati ha per leader Olanda, Giamaica, Corea del sud. Quattro anni da attraversare sono record da ritoccare, gare da rivedere, esercizi da rifare. Ma certi tatuaggi anche se lontani dal Dow Jones fanno fatica ad andare via. Un piccolo paese come la Giamaica, con meno abitanti di Roma, nella velocità tiene in scacco il mondo e si permette di guardare dall’alto in basso l’America. Se la regina Elisabetta, come suo padre e suo nonno, si scomoderà per dichiarare aperti i Giochi, lei che secondo il protocollo «She doesn’t mix», non si mischia, vuol dire che anche un’antica monarchia ammette che altri re e regine, non di sangue, ma di muscoli blu, hanno diritto a regno e corona. I Giochi hanno la capacità di licenziare vecchi padroni, di scegliersi nuovi compagni di strada, sono new economy che viene da lontano. Nelle piste, nelle piscine, su quadrati e rettangoli olimpici nasce sempre un nuovo mondo. Magari squattrinato e bastardo, ma affamato di domani.