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 2012  luglio 22 Domenica calendario

ASPETTANDO IL FUTURO A MALULA


«Ora pro Siria», prega per la Siria, sussurra un monaco, che racconta di essere sfuggito qualche tempo fa a un bombardamento, mentre sale a passo svelto un sentiero della montagna di Malula. A un’ora da Damasco, Malula e Sednaya sono una meta storica dei pellegrinaggi dei cristiani siriani, il 10% della popolazione su 23 milioni: ogni dieci chilometri un posto di blocco e nei campi le sagome lucide dei carri armati di Bashar Assad che si erano volatilizzati durante le ispezioni dell’Onu.
Ma quelli che vedevo in quel momento, due settimane fa, erano soltanto i segnali della tempesta: qualche giorno dopo il mio passaggio su queste strade la guerriglia ha sferrato l’offensiva sulla capitale e un attentato ha decapitato i vertici militari e dei servizi segreti del regime. Con la tomba di Santa Tecla scavata nella roccia, Malula ha un’aria pittoresca e leggiadra, padre Tawik intona il padre nostro nell’antico aramaico, la lingua di Gesù. A Sednaya il monastero di Nostra Signora, circondato da un’alta muraglia, ha invece l’aspetto di una fortezza, un nido d’aquila che sovrasta la pianura.
Forse è la solidità di queste mura e l’isolamento di Sednaya che attirano qui i cristiani scappati da Hama e Homs. «Per una parola sbagliata una ragazza è stata sgozzata, un’altra è stata minacciata di morte, il caos delle bande armate che occupano la città è insostenibile», racconta Abdu, 38 anni, imprenditore edile. È sfollato con un sarto, un operaio, un pensionato di 77 anni e le loro famiglie: «Da Hama se ne vanno tutti i cristiani che hanno parenti in qualche posto più tranquillo. L’esercito entra di giorno a combattere e di notte si ritira, lasciando la città in mano agli insorti che si vendicano: o sei con loro o contro di loro».
I cristiani temono per il futuro ma secondo il nunzio apostolico, monsignor Mario Zenari: «Non c’è una persecuzione, soffrono come soffrono tutti i siriani». Alcuni giorni dopo questa dichiarazione, davanti all’escalation di violenza, è stato proprio il nunzio a lanciare un appello accorato per fermare «il bagno di sangue». Da Homs scappano anche gli sciiti, come raccontano all’associazione di soccorso Sheik Abu Jaber, descrivendo una sorta di pulizia settaria dove nel mirino ci sono anche cristiani e alauiti. Così come gli alauiti fedeli ad Assad colpiscono sistematicamente la popolazione musulmana sunnita nei villaggi e nei quartieri delle città in mano agli insorti. Anche questo fa parte della guerra civile di Siria.
«La Siria – dice il nunzio apostolico – per noi ha un’importanza storica e culturale enorme, è la culla del cristianesimo dopo Gerusalemme». E con una grande varietà confessionale: ci sono sei Chiese cattoliche (greca, siriaca, maronita, arlenam, caldea e latina), quelle ortodosse fedeli alla tradizione antiochena, una Chiesa armena che porta ancora le ferite del martirio subito durante la Prima guerra mondiale, infine alcune comunità evangeliche e la Chiesa assira d’Oriente con due ramificazioni. «Ad Antiochia di Siria abbiamo ricevuto il nome di cristiani, a Damasco c’è stato il primo califfato dell’Islam; la comunità internazionale ha il dovere di aiutare questo Paese che ha per altro un’evidente importanza geografica: senza una forte solidarietà dall’estero sarà difficile che la Siria possa uscire da sola dalla crisi».
Più politico il punto di vista di Maria Saadeh, architetto cristiano e deputato dell’opposizione: «Non si può dire che il regime abbia protetto i cristiani in quanto tali piuttosto è lo stato laico che ha garantito i loro diritti, come è accaduto pure per le altre minoranze: un cambiamento di regime deve assolutamente preservare la natura secolare della repubblica siriana». Ma queste forse sono differenze sottili che l’Occidente ha difficoltà a cogliere, nonostante l’esempio di quanto è avvenuto nel decennio scorso nel confinante Iraq. Qui i cristiani da un milione e mezzo che erano ai tempi di Saddam Hussein sono scesi a 200mila, un esodo passato quasi sotto silenzio anche da parte della Chiesa. «Se i cristiani dovranno lasciare la Siria siamo pronti ad accoglierli come profughi», è arrivato a dire nei mesi scorsi l’ex presidente francese Sarkozy al patriarca di Aleppo che non credeva alle sue orecchie.
La maggioranza dei cristiani, almeno qui a Malula e Sednaya, ha sostenuto l’alauita Assad, esponente di una setta musulmana che i sunniti considerano eretica. «Ha restaurato le chiese, è venuto a visitarci, è uno come noi», afferma un gruppo seduto davanti a una bottega che vende il vino locale. Sul distributore della Coca Cola, in bella vista per visitatori e clienti, il proprietario ha incollato, una accanto all’altra, le immagini di una curiosa cosmogonia politico-religiosa: una foto del barbuto islamico sciita Nasrallah, capo degli Hezbollah, alleati di Damasco e di Teheran, una del generale cristiano libanese Aoun, amico degli sciiti, un’altra di Bashar Assad affiancata dalla riproduzione di due icone della Vergine Maria. Una contraddizione apparente che esprime però tutta la complicazione siriana e del quadro geopolitico mediorientale.
I siriani non credono che la diplomazia fermerà i massacri. La guerriglia vuole le armi per sconfiggere il regime, Assad non cede perché pensa di farcela con una repressione brutale. «Crede che Bashar vincerà?» chiedo a Maria Saadeh: «Questo stato fa acqua da tutte le parti ma ha consacrato per decenni metà del suo bilancio all’esercito e alla sicurezza, le forze di Bashar useranno tutte le armi che hanno».
Chi spera in una riconciliazione è padre Elias Zahlaoui, 80 anni, padre greco cattolico della chiesa melchita di Notre Dame de Damasque. «Abbiamo sempre vissuto tutti insieme, cristiani e musulmani, chi vuole dividerci sono le potenze che incoraggiano i gruppi radicali islamici. Ecco, vede, questo è l’appello che sto inviando al presidente francese Francois Hollande».
Nel 2001, dopo l’11 settembre, padre Elias ha fondato un coro di 650 giovani cristiani e musulmani diventato famoso fuori e dentro la Siria. Lo sguardo si commuove quando mostra la foto di uno spettacolo dell’Opera di Damasco con Bashar al comando e la moglie Asma sorridente in mezzo alla corale: è il Natale 2010 ma sembra un secolo fa.