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 2012  luglio 25 Mercoledì calendario

GIANFRANCO FINI OGGI È QUALCUNO SOLTANTO A MONTECARLO


«Agghiacciante», dice Pier Luigi Bersani (corrugando l’ampia stempiatura) del Grande ritorno. Agghiacciante e basta, agghiacciante e punto. Tutto lì. Non gli è venuta nemmeno una metafora. Eppure l’occasione si prestava a una battuta spiritosa. Invece nelle sue parole (anzi, nella sua unica parola) è corso un brivido. Per un momento (metafora macabra, però appropriata) dev’essergli sembrato che qualcuno stesse camminando sulla sua tomba.
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Non ha detto «agghiacciante» ma più o meno anche Gianni Alemanno. Forse il primo cittadino dell’Urbe pensava che (passato al nemico il leader dell’Udc, ma soprattutto tramontato l’astro dell’ultimo imperatore romanista, Gianfranco Fini, che oggi è qualcuno soltanto a Montecarlo) il testimone del centrodestra sarebbe passato a lui, il più fotogenico dei postfascistoni.
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Fatto sta che il sindaco dei cives romani è scontento. Di che cosa s’impiccia il Redivivo? Che cos’ha lui che non ho anch’io, a parte la facoltà di resuscitare dai morti, di camminare sulle acque, per non parlare di quei bei capelli corvini e d’un intero harem in Via Olgetta, a Segrate, Milano, naturalmente, mentre io non ho neppure un pied-à-terre di trentacinque metri quadri in multiproprietà all’Eur, altrimenti chi la sente mia moglie?
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«Contrariamente all’opinione comune, scrive Alexis de Tocqueville nel 1856, il ventennio precedente alla grande rivoluzione fu un periodo di benessere. Paradossalmente “a mano a mano che si sviluppa inFrancia la prosperità (_) gli spiriti sembrano più inquieti, il malcontento pubblico si inasprisce, l’odio contro le antiche istituzioni aumenta. La nazione s’avvia palesemente verso una rivoluzione”. Speiga infatti Tocqueville: “Vent’anni prima non si sperava nulla dall’avvenire; adesso non si teme nulla. L’immaginazione, impadronendosi in anticipo di quella felicità prossima e inaudita, rende indifferente ai beni che si hanno e spinge a precipizio verso le cose nuove”» (Gérald Bronner, Il pensiero estremo. Come si diventa fanatici, Il Mulino 2012).
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No, non si ricandida, è uno scherzo, titola Libero. E lui, il Redivivo, a ribadire che invece si candida, si candida eccome. Mi gira, e il popolo lo vuole, dunque mi candido, dice Lui da Palazzo Grazioli. E Libero: «Ma davvero? Allora non era uno scherzo. Allora era tutto vero. Interessante». E giù un altro titolo: si candida, non era una burla, il Cavaliere è tornato. E domani si ricomincia, e dopodomani di nuovo. Casomai a qualcuno fosse sfuggita la notizia.
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«Come il poeta crea le sue canzoni d’amore ricordando il suo primo amore, o lo scrittore di favole gioca a fare il bimbo mentre il bimbo gioca a fare l’uomo, così ogni repubblicano ha guardato indietro alle grandi repubbliche dell’antichità, e persino i comunisti parlano d’una comunione primitiva dei beni» (Gilbert Keith Stevenson, Robert Louis Stevenson, Rubbettino 2012).
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Chissà poi se è davvero felice di lasciare la panchina e di tornare in campo. Forse non c’è altro modo di ventilare un partito in evidente (e impressionante) crisi respiratoria. Forse non c’è altro modo di resuscitare, dopo se stesso, anche la propria creatura: il partito di plastica, detto anche Forza Italia e Popolo delle libertà. In questo caso, tornando in prima fila per dovere e controvoglia, il Redivivo mostra d’avere anche la stoffa del martire. Ragione di più votarmi, dice il suo bel sorriso, studiatamente mesto, agli elettori. No, non è una beffa. Sono davvero tornato dall’oltretomba. Guardate le mie stimmate, amici, fratelli! Dite che non sono stimmate ma è una bandana? Be’, toccatela col dito. È vera. Sono proprio io.
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No, non è un pesce d’aprile in ritarso e, sì, è tutto vero. Sono il Redivivo. Sono Silvio Avalokitesvara, il bodhisattva della compassione. Guardatemi, toccate la mia bandana: per puro spirito di sacrificio, senza contropartite, solo perché vi amo, ho rinunciato alla liberazione dalle passioni, al Nirvana, alla cancellazione dell’Io, e mi sono di nuovo incatenato al samsara, il ciclo di vita, rinascita e morte, per guidare gli elettori sul cammino dell’illuminazione, un cammino che ho già percorso e che ripercorrerò con voi. Om. Om.
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È l’ipotesi che lui torni e rivinca le elezioni, lascia intendere il Caro Leader, a mettere in agitazione i mercati, normalmente rilassati come formichieri in letargo. Per questo sarebbe meglio non votare mai più. Lui torna e lo spread, che persino l’attuale capo del governo ha riportato oltre quota cinquecento, sale nel cielo dei tassi d’interesse come una mongolfiera, alta sopra le nuvole.
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«Gramsci in carcere è allucinante perché faceva le stesse schedature di Bouvard e Pécuchet: un corpus di centinaia e migliaia di betises di contemporanei. Soltanto, con un segno diverso: invece d’intitolare il suo sottisier un qualcosa tipo Cretini Italiani, dà l’impressione di prenderli abbastanza sul serio» (Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia, Adelphi 1993).