Luigi Chiarello, ItaliaOggi 25/7/2012, 25 luglio 2012
VENDOLA E DI PIETRO FANNO PAURA
Il Pdl è in crisi «perché gli manca la storia. Il leader che lo ha inventato è in affanno. E il ricambio a Berlusconi è fallito, lasciando il partito senza via d’uscita». Il guaio del Pd, invece, «sono gli alleati con cui potrebbe vincere le elezioni».
Perché «sia Di Pietro, sia Vendola sono contrari alle ricette di Monti», che poi «sono le ricette che l’Europa vuole». E «questo non rassicura i mercati», né calma lo spread. Il paese, infine. È inchiodato a «un quadro politico incerto, anche per via della futura legge elettorale», che «sarà sicuramente un proporzionale corretto con premio di maggioranza e sbarramento». Bisogna solo capire «se i collegi avranno liste bloccate o si tornerà alle preferenze». E, soprattutto, «se il premio andrà al partito (meglio) o alla coalizione (così che tutto cambi perché nulla cambi)». Sono parole di Angelo Panebianco, politologo, fondista del Corriere, osservatore lucidissimo dello scacchiere politico italiano. Con ItaliaOggi, Panebianco legge la congiuntura politica e guarda alle prospettive del paese. Penetrando le ferite, che le mancate riforme costituzionali, da un lato, e gli effetti della crisi finanziaria dall’altro, stanno incidendo nel corpo vivo della rappresentanza.
Domanda. Dalle colonne del Corriere lei ha parlato della «paura della clessidra». Del timore per il momento in cui la democrazia tornerà a prevalere sulla dittatura rigorista dello spread. Ma quando la democrazia tornerà, dovrà fare i conti con la scomposizione del quadro partitico?
Risposta. Sì. Il quadro politico è profondamente cambiato. E questo è il grande rebus delle elezioni. Nessuno sa quale fisionomia avranno i partiti, già nella prossima campagna elettorale. E quale quadro uscirà dalle elezioni. Il rebus è legato anche alla legge elettorale che avremo.
D. Come?
R. Un punto è molto importante: se il premio di maggioranza andrà alla coalizione, il quadro politico rimarrà frammentato. Se il premio di maggioranza, invece, andrà al partito si avrà un effetto compattamento tra i partiti. Oggi, il premio di maggioranza va alla coalizione; è uno dei maggiori difetti della legge elettorale in vigore.
D. I mercati sembrano chiedere conto del dopo Monti. Sembrano pretendere un quadro di certezze che solo le elezioni possono dare. A meno di un preventivo accordo su un governo di unità nazionale post 2013.
R. È evidente che l’incertezza sul quadro politico ci fa male. Ma c’è un attacco all’euro, che va oltre noi. Le elezioni in Spagna, che hanno dato un quadro politico stabile al paese, non ne hanno migliorato le condizioni. Non c’è un rapporto automatico tra la stabilità del quadro politico e la capacità di mettere in sicurezza il paese dalla sfiducia dei mercati. Le variabili sono molte. Sull’euro, per esempio, pesano le scelte che farà la Germania. La situazione della Spagna lo dimostra: la stabilità non basta a dare risposte definitive alla crisi
D. E accordi preventivi per un governo di unità nazionale finiscono per essere una sospensione della democrazia.
R. Accordi di questo tipo sono esclusi. L’unico che trarrebbe vantaggi da intese preelettorali è Beppe Grillo. Perché una simile intesa direbbe al paese che il risultato del voto non interessa. Spingerebbe, così, al voto di protesta. È fisiologico, invece, che i partiti si scontrino. Il vero interrogativo è un altro: dopo le elezioni ci sarà o meno un governo che potrà contare su una maggioranza stabile?
D. L’ultimo governo Berlusconi aveva una maggioranza stabilissima.
R. Come ho detto una maggioranza stabile è condizione necessaria, ma non sufficiente. Ci sono decisioni che non possono essere prese solo da noi ma vanno assunte in Europa. Decisioni sul ruolo della Bce, per esempio, che diano ai mercati la sensazione che l’euro non può essere affondato. Oggi, nel mondo, in molti stanno scommettendo sulla fine dell’euro. Quindi, o si assumono decisioni europee, che facciano cambiare idea agli scommettitori o non c’è nulla da fare.
D. Ma quanto incidono le dinamiche dei gruppi politici?
R. I mercati guarderanno alla composizione della maggioranza che uscirà dalle elezioni. Se di essa faranno parte partiti come la Lega nord, a destra, o Sel, a sinistra, avremo un quadro ancora contraddittorio. Perché queste sono forze in aperta polemica con le scelte fatte dal governo Monti. Che, però, sono coerenti alle richieste dell’Unione europea. In un simile scenario c’è da attendersi che la situazione non migliori. Infatti, a quel punto, ci troveremmo con un governo stabile, ma con messaggi eterni di conflitto con le politiche che l’Europa si attende. La complicazione è massima
D. I partiti sembra facciano di tutto per aggrovigliarla.
R. Il più grande interrogativo non riguarda il centrosinistra, ma il centrodestra. A oggi, nessuno sa chi si candiderà a premier.
D. Berlusconi ha spiazzato tutti ricandidandosi. Altro adieu alle primarie nel Pdl?
R. Non sono così certo della sua ricandidatura, alla fin della fiera. Il suo annuncio serve a bloccare la scomposizione in atto nel Pdl. E testimonia anche l’incapacità, o impossibilità, della segreteria Alfano di bloccare il processo di frammentazione e scomposizione in atto.
D. In sostanza, il vecchio leader torna per tenere compatte le truppe?
R. Esatto. Nonostante la sua leadership sia irreversibilmente appannata, Berlusconi ha ancora una certa valenza elettorale. Ma ribadisco: non sono certo che, alla fine, si candidi davvero
D. Alfano, però, per dirla alla Freud, non è riuscito a uccidere politicamente il padre.
R. Non era la sua missione. Ciò che Alfano avrebbe dovuto fare non era uccidere politicamente il padre, ma lasciarlo sullo sfondo. Come padre nobile. E tenere saldo il partito. Questa operazione non gli è riuscita. Uccidere politicamente il padre, invece, è quel che ha fatto Maroni nella Lega, con Bossi. A lui l’operazione è riuscita, ma_
D. Ma?
R. Ma non è detto che Maroni riesca a salvare politicamente il Carroccio. Anche perché la Lega ha rappresentato per tanto tempo l’antipolitica; scettro oggi passato ad altri. Maroni gioca una difficile scommessa: se la Lega non andrà malissimo alle elezioni l’avrà spuntata. Altrimenti, si aprirà un altro processo di scomposizione.
D. Lei dice che il centrodestra è più in crisi del centrosinistra. Perché?
R. Perché il centrosinistra ha una lunghissima storia alle spalle, con gli eredi della prima repubblica ancora tutti lì. Per il centrodestra, invece, non è così; questa è stata un’invenzione di Berlusconi, che prima ha fondato Forza Italia, poi ha sdoganato la destra italiana rimasta ai margini nella prima repubblica. Il centrodestra è in difficoltà perché il suo inventore è logorato. E perché ha meno storia alle spalle. Tra l’altro, al momento, non vedo soluzioni a questa crisi dopo l’insuccesso di Alfano.
D. Non pesa l’aver trasformato un movimento, nato su slogan liberali, in un partito intriso di contenuti e persone vicini alla destra sociale?
R. Questo riguarda il fallimento di Berlusconi e la sua incapacità nel mantenere le promesse del 1994. In più, non penso che le idee di rivoluzione liberale, spinte da ambienti del Nord, fossero le più adatte per parlare al Mezzogiorno e al resto del paese
D. Parliamo del Pd: sostiene Monti senza se e senza ma. Monti, però, ha ricette liberiste, non welfariste. Opposte al corredo della socialdemocrazia. Il Pd, oggi, a chi parla?
R. È diviso. Sostiene Monti perché fa di necessità virtù. Ma il responsabile economico del partito, Stefano Fassina, sostenuto dal segretario, è in radicale dissenso con le politiche di Monti. Le resistenze del Pd sono simmetriche a quelle del Pdl. Al Pd non piacciono le contrazioni di spesa pubblica, al Pdl non vanno giù le troppe tasse. In realtà, il problema del Pd è un altro: forse vincerà le elezioni, ma si troverà a vincerle con alleati apertamente contrari alle politiche di Monti. Con Vendola e Di Pietro. Questo creerà difficoltà a Bersani, che dovrà governare con forze resistenti alle politiche di risanamento intraprese. E questo avrà un impatto negativo sull’atteggiamento dell’Europa.
D. Ritornello elezioni. Con quale legge si vota?
R. Non ne ho la più pallida idea. C’è una forte spinta del Quirinale per fare la riforma della legge elettorale. Ma i partiti la vogliono diversa. L’Udc rivuole le preferenze. Poi, c’è conflitto sul premio di maggioranza, se al partito o alla coalizione. Una riforma di un tipo o dell’altro finirà per incidere sulla vittoria dei partiti. Quindi, se un lato si dubita che i partiti riescano a fare una nuova legge, dall’altro l’insistenza del Quirinale interpreta quella parte di opinione pubblica che pressa sull’argomento
D. Il suo modello?
R. Sono da sempre per il maggioritario con collegi uninominali. A un turno o a due turni. Ma è una preferenza personale. Non c’è alcuna possibilità di tornare al collegio uninominale. Lo abbiamo sperimentato tra il 1994 e il 2000. In tre elezioni. Poi, siamo tornati a un proporzionale corretto con premio di maggioranza e sbarramento.
D. Le sue previsioni?
R. Rimarremo sicuramente nel proporzionale corretto, con collegi plurinominali. Il nodo è se ci saranno le preferenze o le liste bloccate. Dipende da come finirà il braccio di ferro tra i partiti. Ma sarà, comunque, un sistema proporzionale corretto.