Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 22 Domenica calendario

QUELLE VACANZE DI LAVORO DEI GENI AL GRAND HOTEL


Quando viaggiare era un piacere, gli alber­ghi­erano un buon po­sto per scrivere. C’era chi metteva lì il pro­prio tavolo da lavoro, chi ci anda­va a vivere, qualcuno a morire.Al­l’Hotel d’Angleterre di Leningra­do, che oggi è l’Hotel Astoria di San Pietroburgo, Esenin, il grande poeta russo che non voleva canta­re la Rivoluzione, scrisse col san­gue, sulle pareti, il suo saluto. «Ar­rivederci, amico mio, senza stret­te di mano né parole./ Non ti rattri­stare, non corrugare le sopracci­glia,/ in questa vita, morire non è certo una no­vità,/ ma nemmeno vivere!». Si impiccò con la cinghia di una delle sue va­ligie di lusso, ap­pendendosi al­l’i­mpianto di riscal­damento della stan­za.
Tre anni prima, sempre all’Angleter­re, c’era stato con Isado­ra Duncan, la celebre danzatrice. Spinto da lei, da lì erano partiti per Pari­gi ed erano scesi al Crillon, in place de la Concorde, ma se si ama la propria patria, non basta esserne odiati per smettere di amarla e lui lo sapeva. Si era ubriacato, aveva sfasciato gli specchi e i mo­bili della camera e poi era fuggito nu­do nei corridoi.
Rico­verato in clinica, di­messo, era di nuovo tornato in Russia. La fi­ne è nota.
Negli anni Venti in cui Esenin si ammazzava, gli scrittori americani inventa­vano la Costa Azzurra d’esta­te, stagione e regione fino ad allo­ra considerate disdicevoli per le vacanze.All’Hotel du Cap,che og­gi è l’Eden Roc dei divi del cinema sfilanti a Cannes, i coniugi Mur­phy e i coniugi Fitzgerald presero in affitto il piano terra: il titolare chiuse il resto e partì per il nord. Ad Antibes rimasero loro e i loro amici, lo scrittore Dos Passos, il violinista Mannes, l’esteta Etien­ne de Beaumont, la cantante Mi­stinguett. «Viviamo semplicemen­te, evadiamo dal mondo» scrisse Scott Fitzgerald a un amico.
«Viaggiare è utile, fa lavorare l’immaginazione» dice Céline in exergo al suo Viaggio al termine della notte e gli alberghi sono un ot­timo pretesto per un viaggio nella letteratura, una sorta di pellegri­naggio dove fanno da chiese e da cappelle degli scrittori e quest’ulti­mi e i loro personaggi sono le sta­tue di divinità, santi, peccatori e martiri che compongono una sor­ta di religione della scrittura. È su questo assunto che una ventina d’anni fa Nathalie de Saint Phalle assemblò il suo Hotels littéraires , dalla A di Aden dove Rimbaud sog­giornò all’Hotel de l’Univers, oggi scomparso, alla Z di Zurigo, dove i dadaisti facevano i buffoni sul marciapiede antistante il Carlton-Elite, oggi ancora esistente. Che il legame sia forte, lo testimonia il fatto che l’albergo in sé è un soggetto da romanzo: il Grand Hotel di Vicki Baum, l’ Ho­tel 
du Nord di Dabit, la Pensione Vanilos di Agatha Christie, Una pensione tedesca della Mansfield, l’ Hotel Savoy di Joseph Roth… Chiuso per restauri cinque anni fa, riaperto con ancora maggior sfarzo, ma minore anima, il Savoy fu un po’ l’epitome del grande al­bergo nel primo Novecento e an­cora dopo. La chiusura servì pur­troppo da pretesto per un’asta di tremila lotti, dai sofà ai candela­bri, dalla biancheria agli specchi, alle consolle, ai parquet che rac­contavano un pezzo d’Inghilter­ra, uno stile, il déco, e un’epoca meglio di un romanzo, per restare nel tema. Una messa all’incanto non per questioni economiche, ma per qualcosa di più sottile che si nasconde dietro un’altra do­manda. Che cosa fa di un uomo un gentiluomo? Lo so, fa sorridere, è fuori moda, quasi una caricatura. Ma quando il Savoy nacque, nel 1889, i gentlemen, i signori, esiste­vano ancora e formavano un mon­do e una cultura. Erano tali per un’educazione comune, stesse scuole, stessi libri, stessi posti, lo stesso tipo di abiti… Era­no una minoran­za, natu­ralmente, ma non es­sendoci an­cora il turi­smo di massa, erano maggio­ranza. Ed è sui loro bisogni, idio­sincrasie, aspetta­tive, che la ricezio­ne alberghiera si modellò: luoghi cal­di come una dimora di campagna, abitudi­nari come un club di cit­tà, efficienti come l’ave­re in casa un maggiordo­mo...
Quel mondo è scomparso, ucci­so da due guerre mondiali, la rivo­luzione dei costumi, la massifica­zione sociale, la globalizzazione turistica…. Sono rimasti sì i grandi alberghi, ma è scomparsa la gente che li rendeva tali. Come superbi relitti del passato, per sopravvive­re hanno dovuto ingrandirsi, stan­dardizzarsi, eliminare una serie di decori e di codici comportamenta­li, portare l’omologazione occi­dentale al suo massimo grado. Il cliente così continua a essere ser­vito e riverito. Ma il gentleman, il signore, non abita più qui. Ed è per questo che ai grand hotel va rifatto completamente, a volte spietata­mente, il look. Non è mo­derno, e quindi è incomprensibi­le. Adesso è la volta del Ritz di Pari­gi e del Gritti di Venezia, e non re­sta che pregare. Il primo fu la se­conda casa di Marcel Proust dal 1917 e fino alla morte. Distribuiva mance principesche, beveva caffè nero,aveva un volto color d’alaba­stro incorniciato da un cappotto di pelliccia, era solito salire a chiac­chierare nell’appartamento della principessa romena Hélène Sout­zo, fidanzata e poi moglie di Paul Morand. La scoperta del suo bar (del Ritz, non di Proust) la si deve comunque a Fitzgerald, che lo fe­ce conoscere negli anni Venti a He­mingway, fino allora adepto della Rive Gauche. Come sempre, He­mingway se ne appropriò, tanto che oggi quel bar porta il suo no­me, le sue foto, la sua macchina da scrivere e tiene a battesimo persi­no la carta dei cocktail. Al bar del Ritz, tutto legno, cuoio e boiseries, lui e André Malraux si scontraro­no nel 1944 all’insegna di chi aves­se comandato più uomini duran­te la Seconda guerra mondiale…. Ciò non toglie che il bar più bello del mondo (insieme con quello del Peninsula di Hong Kong per la sua stupefacente vista sulla baia) sia quello del Gritti: quadri di Lon­ghi alle pareti, una navata cinque­centesca di marmo policromo a fa­re da bancone, vetri e specchi di Murano…. Non verrà toccato dal restauro, assicurano, così come la terrazza del ristorante dove So­merset Maugham anno dopo an­no si sedeva allo stesso tavolo: «Nella vita ci sono poche cose più piacevoli che starsene alla terraz­za del Gritti quando il sole tramon­ta, bagnando di colori meraviglio­si la chiesa della Salute che quasi vi si specchia».
Un altro Ritz è a Madrid, davanti al Prado. In un romanzo di Jorge Semprun, lo scrittore ironizza su Nadine, che nel giardino dell’al­bergo scrive cartoline alle ami­che. Non molto distante c’è il Pala­ce, con la sua cupola di vetro che af­fascinò Blasco Ibanez, l’autore di Sangue e arena , Colette, Borges… C’è un bar anche qui,e il solito He­mingway, in Fiesta , trova modo di farvi entrare Jake, che ama Brett, ma non la può avere. «Ci sedem­mo sugli alti sgabelli mentre il bari­sta agita­va i Marti­ni in un grosso shaker di ni­chel. I bicchie­ri erano appan­nati per il gelo. Fuori, oltre la ten­dina della fine­stra, era il caldo esti­vo di Madrid». L’al­bergo della Beat Ge­neration, il Beat Hotel, strano ma vero, stava in­vece a Parigi, in rue Gît­le- coeur. Naturalmente non si chiamava così, o me­glio non si chiama­va per niente, non aveva né nome né inse­gna. Era di XII ca­tegoria, la più bassa, camere sen­za bagno, gabinetti alla turca, odore sta­gnante di cibo e di escrementi. Dal 1957 al 1963 Ginsberg, Cor­so, Peter Orlovsky, Bur­roughs ne fecero il loro quartier generale e scris­sero le loro cose migliori, da Bomb a Il pasto nudo … 
Adesso si chiama Relais du Vieux Paris, minibar, bagni di marmo bianco, internet e televi­sione satellitare.
La lista, lo si sarà capito, è lunga, e conviene fermarsi.L’ultima tap­pa è l’Adlon di Berlino, che dopo la caduta del Muro è stato ricostru­ito nello stesso posto del vecchio, distrutto dalla guerra. Vicki Baum lo immortalò nel 1929 nel già cita­to Grand Hotel e Greta Garbo nel film omonimo.L’anno dopo,Chri­stopher Isherwood scrive Addio a Berlino , il Cabaret cinematografi­co dove Sally Bowles ( Liza Minnel­li) dà appuntamento all’Adlon al nuovo protettore. «Sono in ritar­do, già le sei, gli avevo detto per le cinque. Gli farà bene aspettare a quel vecchio porco. Vorrebbe avermi, ma gli ho detto: col cavolo se non paghi prima tutti i miei de­biti. Ma che hanno gli uomini per essere così maiali?» Già, cos’han­no?. La Garbo era più romantica. «Andremo a Tremezzo. A Tremez­zo! »grida felice in Grand Hotel do­po un­a notte d’amore con il ladro­gentiluomo John Barrymore… Tremezzo, sul lago di Como. Di fronte, Stendhal fa passeggiare il suo eroe della Certosa di Parma nel parco di Villa Sfrondati, che poi diverrà il Grand Hotel Villa Ser­belloni. Da giovane, Paul Morand vi arrivò a nuoto, «traversando i due chilometri di lago. Avevo vent’anni. Lì, io fui Fabrizio del Dongo». Che si vuole di più?