Roberto Bertinetti, Domenicale–Il Sole 24 Ore 22/7/2012, 22 luglio 2012
Byron gay (o bisex)? Per spiegare chi fu e cosa rappresentò all’inizio dell’Ottocento George Gordon Byron, è utile una formula coniata per Voltaire: l’enfant gâté du monde qu’il gâta
Byron gay (o bisex)? Per spiegare chi fu e cosa rappresentò all’inizio dell’Ottocento George Gordon Byron, è utile una formula coniata per Voltaire: l’enfant gâté du monde qu’il gâta. Perché anche Byron – forse soprattutto Byron – fu il bambino viziato di un mondo che egli stesso viziò, il miglior rappresentante di un’estetica romantica fondata sul rapporto emozionale tra autore e lettore. L’attenzione che riservava al pubblico (in particolare femminile) era ricambiata con autentico trasporto. Narrano testimoni di provata fede che «a Siviglia le donne si recidevano metri di trecce in cambio di qualche ricciolo di questo affascinante hermoso», mentre le più nobili casate d’Europa gareggiavano per aprire le porte dei salotti all’artista abituato a lasciarsi alle spalle una scia di cuori infranti. L’iconografia tradizionale lo ha sempre presentato aitante e bellissimo. In realtà, ricordano i biografi, è difficile stabilirne con precisione l’aspetto: nelle decine di ritratti dell’epoca possiede lineamenti diversi, mutano il colore dei capelli o degli occhi, la forma della bocca o del naso. Nessuno, inoltre, ha potuto stabilire se il piede deforme fosse il destro o il sinistro. Portava infatti uno stivale correttivo che non si tolse mai di fronte a testimoni, e persino coloro che ne videro il cadavere hanno tramandato notizie contrastanti.I dati certi sono solo due: non era alto e aveva una tendenza alla pinguedine. A volte superò il quintale di peso, quando si imbarcò per la Grecia lottava contro un fisico appesantito da abitudini alimentari poco ortodosse. Nonostante diete rigorose, alle quali a cadenza regolare decideva di sottoporsi, non fu mai in grado di evitare repentini aumenti della massa di adipe. Per la felicità dei sarti, chiamati spesso a confezionargli nuovi guardaroba. Le proporzioni fisiche imperfette non scoraggiarono lo stuolo di amanti che se ne contendevano i favori. Le signore erano incantate dalla sua intelligenza e non si facevano certo intimorire da difetti ritenuti poco importanti. Durante il soggiorno a Venezia, dove arrivò nel 1816, secondo un elenco che lui stesso preparò, intrattenne relazioni con circa trecento ammiratrici. «Alcune erano contesse e altre mogli di ciabattini, alcune nobili, alcune borghesi, alcune di basso ceto, alcune splendide, alcune discrete, altre di poco conto», annota. Aveva un segreto non confessabile all’inizio dell’Ottocento questo infaticabile cottimista dell’alcova? Certo, risponde Franco Buffoni nella sua biografia romanzata: Byron, ipotizza, era in primo luogo un omosessuale. Colpa ritenuta grave all’epoca, punita con la gogna seguita dall’impiccagione. A raccontare in dettaglio il Byron gay nel testo di Buffoni – poeta a sua volta, docente di letteratura italiana a Cassino – è Fletcher, il valletto/amante, testimone (e complice) di legami condannati dalla legge tra i quali spiccano quelli con Percy Shelley, con giovani arabi conosciuti in Albania alla corte di Alì Pascià e, infine, con un ragazzo greco incontrato durante l’avventura politico–militare che lo portò nel 1824 alla morte. È credibile l’ipotesi di Buffoni? Non molto, a dispetto di una lunga nota bibliografica che chiude il volume. O meglio: è possibile che Byron abbia avuto incontri omosessuali al pari di molti aristocratici britannici dell’Ottocento. Ma l’idea che le avventure con le signore siano servite da schermo appare una forzatura non supportata da prove. Come testo narrativo, insomma, il libro funziona e diverte. Se invece ha la pretesa di essere una ricostruzione veritiera si fonda su ipotesi indimostrabili. In ogni caso a Buffoni un merito va riconosciuto: grazie a lui si riprenderà a parlare in Italia di Byron dopo un lungo oblio e a qualcuno verrà la tentazione di leggerne i testi. Giudicati in maniera unanime nel Regno Unito capolavori assoluti della stagione romantica in virtù di un virtuosismo verbale che in seguito solo Joyce ha saputo eguagliare. © RIPRODUZIONE RISERVATA