Gabriele Beccaria,Tutto Scienze & Salute, la Stampa 25/7/2012, 25 luglio 2012
SETH LLOYD: NEANCHE GOOGLE RESISTERÀ AI SUPER-COMPUTER
I prototipi sono ingombranti come i calcolatori Anni 50 e in più segregati al freddo, in modo da tenere a bada le bizzarrie degli elettroni. I pronipoti saranno più piccoli, forse come laptop o smartphone, e di certo avranno prestazioni inimmaginabili. Così veloci e potenti - un giorno - da spalancare la possibilità del teletrasporto e perfino del sogno estremo: i viaggi nel tempo.
Quando si parla di «quantum computer» - i computer quantistici - la deriva verso l’esagerazione non è una tentazione, ma uno scenario di possibilità straordinarie che gli stessi fisici elaborano nei laboratori, incrociando le equazioni più sofisticate con lo stato dell’arte tecnologico. Se si vuole scoprire qualche scintilla di quei pensieri vertiginosi, uno dei personaggi migliori è Seth Lloyd: professore al Mit di Boston, passa regolarmente a Torino, dove collabora con la Fondazione Isi. E’ qui che si racconta volentieri. Professor Lloyd, dov’è possibile vedere una di queste macchine delle meraviglie? «In molti posti, a dire la verità. Al Mit o a Innsbruck o a Vancouver,
dove si stanno producendo già alcuni modelli di prima generazione». E’ noto che processano i dati sfruttando le proprietà degli elettroni: un bit può essere sia 0 sia 1 oppure entrambi allo stesso tempo e il bit diventa un qubit. Ma quanti se ne riescono a maneggiare? «Al momento una decina. E sono già sufficienti per risolvere complicate equazioni con grande rapidità». Quasi nessuno ha mai incontrato super-computer simili: che aspetto hanno? «Ricordano un grande fusto per la birra o - mi viene da dire - per il vino, visto che siamo in Italia. Intorno spuntano tantissimi cavi e c’è un sistema di raffreddamento. Poi ci vogliono dei laser, necessari per dialogare con i qubit. Comunque nessuno vorrebbe avere un macigno simile appoggiato sul proprio laptop». Al Massachusetts Institute of Technology gli avete dato un nome? «No. Forse qualche studente gli ha affibbiato un nomignolo, ma io non lo conosco!». Perché è tanto difficile costruire un computer quantistico? Quali sono i problemi da risolvere? «Si tratta di problemi su larga scala: si pongono quando si vuole connettere un vasto numero di qubit e farli operare a un livello meccano-quantistico. A questo punto la sfida è riuscire a far funzionare il computer». Se un qubit significa due «cose» alla volta e due qubit quattro allo stesso tempo, la difficoltà nel maneggiarli è di tipo soprattutto teorico oppure pratico? «Bella domanda. La difficoltà è una combinazione di entrambe. Se l’obiettivo è la codifica dell’informazione su vasta scala, la sfida teorica è sviluppare tecniche che permettano di farlo in modo efficiente, eliminando i “rumori” di sottofondo. Ma il punto-chiave - di tipo sperimentale - è creare gli strumenti adatti per controllare i qubit». Previsioni? Quando si troveranno le giuste soluzioni? «Il computer della D-Wave Systems canadese esiste già, anche se è utilizzabile solo per compiti specifici, come quelli legati ai calcoli aerodinamici dei jet. Ma, quando si parla più in generale, non lo so: penso che ci vorranno alcuni decenni».