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 2012  luglio 25 Mercoledì calendario

REGNO UNITO, MA NON TROPPO


Da soli non ne azzeccano una dal 1966 quando l’Inghilterra fu campione del mondo. Uniti proveranno a vincere la medaglia alle Olimpiadi e dare al calcio britannico la soddisfazione che inglesi, scozzesi, gallesi e nord irlandesi non conoscono se concorrono divisi. Oggi a Cardiff dove le donne aprono i Giochi con due giorni d’anticipo sulla cerimonia inaugurale e domani sera a Manchester con l’esordio degli uomini (contro il Senegal), la Gran Bretagna si presenta come la nazione compatta che non è mai stata se non in tempo di guerre: tutti a bordo della stessa nave. Almeno in apparenza. Nel football dietro al logo GB si nascondono le tensioni e le divisioni di sempre.

L’unificazione è stata una necessità più che una scelta. Se la Uefa e la Fifa riconoscono per rispetto della storia le quattro federazioni separate, il Cio ha un solo interlocutore, il Comitato olimpico britannico, ed è quello che partecipa ai Giochi. Prendere o lasciare: se non si fossero create le due squadre uniche, a Londra non ci sarebbe stato spazio per i padroni di casa e sarebbe stata una figuraccia nei confronti degli altri sport di squadra che invece hanno fatto causa comune pur non avendo possibilità di andare sul podio.

A 52 anni dall’ultima partecipazione, a Roma, ritorna quindi il calcio marchiato Gran Bretagna tra gli uomini mentre nel femminile sarà la prima volta (a Pechino l’Inghilterra aveva conquistato il pass ma dovette rinunciare perché non si riuscì a formare la squadra britannica). «E’ una grande occasione e una grande emozione - dice Ryan Giggs, il simbolo del Manchester United, che a 38 anni esordisce ai Giochi e avrà la fascia di capitano -. Quando mi hanno detto che potevo entrare in squadra non ci ho pensato due volte: ho scelto con il cuore e non mi sento di tradire la mia nascita gallese». Come lui la pensano Craig Bellamy, del Liverpool, e i tre giovani (Taylor, Allen e Ramsey) convocati da Stuart Pearce. Ma la strada dell’unione non è stata semplice e nei fatti si è rivelata un flop.

La Nazionale delle donne è in effetti l’inglese spruzzata da tre rinforzi scozzesi. Quella degli uomini è una mista tra 17 inglesi e 5 gallesi. Una Britannia dimezzata. «Ho convocato chi lo meritava senza guardare a dov’è nato» si è difesa la Powell, commissario tecnico della femminile. Lo si spiega meno tra i maschi: è vero che il calcio scozzese si è afflosciato ma che tra i giovani Under 23 e i vecchi fuoriquota non ce ne fosse uno degno della convocazione olimpica è una scusa che non regge.

La realtà è che ci si è arenati nelle beghe tra le federazioni. «Non potremo mai far accettare ai tifosi che è bene correre sotto la stessa bandiera», comunicò la Federcalcio scozzese nel 2005 quando il progetto muoveva i primi passi. La prospettiva non è cambiata. Formalmente nessuno ha potuto vietare ai giocatori scozzesi di rispondere alla chiamata di Pearce ma è stato lo stesso ct a evitare l’imbarazzo a chi, accettando, avrebbe poi dovuto vedersela con la propria Nazionale per gli Europei e i Mondiali. Lo stesso hanno fatto i dirigenti nordirlandesi mentre il Galles è rimasto ostile fino a pochi mesi fa e si è ammorbidito quando il Comitato organizzatore ha scelto Cardiff come sede del primo evento olimpico, la partita della Gran Bretagna femminile. Una casualità?

Dietro alle barricate ideologiche c’è la solita sete di potere. Persino gli scozzesi, che tra due anni andranno al referendum per staccarsi dal Regno Unito, sono in maggioranza favorevoli a una Nazionale olimpica della Grand B r e t a g n a ma qualcuno, non fidandosi della rassicurazioni di Blatter, temeva che questo diventasse l’escamotage per raggruppare in un’unica Federazione di matrice inglese le quattro che esistono: di quattro presidenti farne uno, e così con i dirigenti federali e i tecnici. L’importante è partecipare. Al carrozzone.