Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 25 Mercoledì calendario

È IL VILLAGGIO, SEMBRA IL LEGO LA FESTA NON È ANCORA QUI


Una maxi costruzione di Lego: il Villaggio Olimpico è impilato, un piano sull’altro, Belgio più Armenia più Slovenia, Ungheria appoggiata sopra la Romania. Paesi a strati, è come stare davanti a un panino gigante. La città degli atleti si espande in verticale e sembra più compressa del solito, sarà il grigio delle palazzine o il taglio geometrico dei blocchi, affacciati su spazi tutti identici, sarà che i residenti twittano lamentele sulle stanze strette e i letti corti, ma l’aria non è esattamente quella della festa. Le tenniste Pennetta e Schiavone hanno chiarito il concetto dopo aver disfatto i bagagli: «Che mortorio».

Progetti e paure non combaciano «con le strade senza un filo di verde» che intristiscono l’oro olimpico del pugilato Roberto Cammarelle. Si vedono solo facce perplesse. Magari i ragazzi devono ancora orientarsi tra il salone del parrucchiere e la lounge internet che dovrebbe favorire gli incontri. La Nazionale di calcio brasiliana si è tenuta alla larga dal Villaggio, «troppo dispersivo», Federica Pellegrini ha avvisato le più giovani di stare attente «arrivate lì si perde la testa», le americane hanno rivelato che il Villaggio è la patria del sesso facile, Luca Marin ha deciso di giocarci sopra e si è lanciato: «Io sono single, dopo la gara avrò sette giorni da passare lì. Ci daremo da fare». Sarà. Il Villaggio però è più austero del previsto e le pallavoliste italiane, arrivate proprio ieri, alla domanda come vi sembra rispondono con una smorfia.

L’Italia si è presa un minimo di spazio, sta nell’«Heritage Zone» con Usa, Spagna e qualche delegazione ridotta, tipo Bermuda. La richiesta è partita anni fa, quando ancora c’era solo il progetto. Noi abbiamo scelto la comodità, siamo vicino alla mensa e all’area trasporti, il Brasile ha preferito il colore e si è preso le uniche porte pitturate di giallo, l’Olanda ha personalizzato i balconi con del plexiglass arancio. Tentativi disperati di ravvivare il posto. Colore fai da te. La Nuova Zelanda ci ha messo il cartonato dei maori coperto di tribali, Cuba i poster di gloria, il Canada le seggioline rosse con la foglia d’acero a semicerchio nel dehors. Persino Israele, defilata come al solito, lascia penzolare una bandiera dal davanzale, una solo contro altre abitazioni tappezzate. L’unica nazione che apprezza l’anonimato è la Siria. Non ci sono segni della sua presenza, il gruppetto è arrivato lunedì, scortato fino all’ingresso e poi si è perso nella folla. I volontari, così dettagliati quando devono spiegare la strada per raggiungere Porto Rico, alzano le spalle davanti a richieste di informazioni sui siriani. Indicano generici: «Potrebbero essere là o là, sono così pochi che staranno in un solo appartamento». Qualcuno li ha visti? «E chi li riconosce?». Già, e le strade tutte uguali, i tendoni blu tirati dietro ogni vetro non aiutano.

Sul muro della piazza centrale c’è una scritta tratta da Ulysses, poesia di Alfred Tennyson: «Lottare, cercare, trovare, e non cedere». Quindi bisogna credere all’impresa e al Villaggio. Ci saranno tracce di vivacità, magari nell’enorme mensa che serve 45 mila pasti al giorno. Lì trionfano 5000 sedie di plastica blu, dei graffiti posticci, facsimile di quelli disegnati a spray sui muri di strada e angoli divisi per cibi. Nel «Best of Britain», la specialità del giorno è il radicchio al forno e dalle parti della «Tradizione italiana» pizza margherita e pasta alla bolognese. Gli indiani in coda con il vassoio si affacciano a ogni oasi e le abbandonano tutte. Riso, verdure e yogurt, le escursioni nei sapori del mondo magari un’altra volta. Pure il ristorantone formato sport era più allegro a Pechino.

Fuori c’è «il centro», una costruzione rotonda che mescola sacro e profano. È il centro informazioni, il centro sicurezza e quello multireligioso. A ognuno un piano, sotto la polizia e sopra la preghiera: induisti, cristiani, buddisti, musulmani ed ebrei. Cinque culti in poche stanze, musulmani ed ebrei vicini di casa. Il Villaggio è spento, ma qualcosa gli è riuscito.

DALL’INVIATA A LONDRA

Clemente Russo, argento dei pesi massimi nel 2008, fissa il quadrato di prato davanti all’ingresso della palazzina azzurra e ha lo sguardo perplesso: «Non mi convince, è solo una mia impressione o ci siamo ristretti?».

Il Villaggio ha qualcosa che non va?

«No, funziona tutto e poi sono arrivato da poco non potrei dire che ci sono dei difetti però mi sembra ci sia meno spazio, poca aria. A Pechino mi aveva fatto tutta un’altra impressione».

Tanti atleti lo descrivono come un luogo di perdizione. Che ne pensa?

«Magari la prima volta, questa per me è la terza ed è un po’ come tornare a casa e vedere vecchi amici che incontro solo ogni quattro anni. Un approccio più maturo, anche se non è che abbia mai vissuto notti brave alle Olimpiadi».

Quindi chi parla di sesso facile e party racconta frottole?

«Se lo dicono succederà. Io ogni volta leggo di migliaia di preservativi distribuiti e non ne ho mai visto uno. Nessuno è mai venuto a chiedermi se ne avevo bisogno o a informarmi su dove li potevo trovare».

Forse perché lei ha scelto l’approccio concentrazione e ascetismo?

«Su, non voglio dipingermi come un santo. Io a certe cose sotto gara non ci ho mai pensato e nel pugilato sarebbe impossibile, partiamo il primo giorno e la finale è l’ultimo quindi insegui il riposo non la birra però non è solo questo. Dentro il Villaggio non ho mai respirato l’aria libertina. Secondo me c’è un po’ di leggenda».

Quindi l’effetto sbandamento per i più giovani è scongiurato...

«Sta a loro. Se arrivano pensando a quello che devono fare non è che si lasciano distrarre da una sala piena di gente o dalle bandiere di tutte le nazioni. Se pensano di entrare nei Paesi dei balocchi basterà un niente per perdersi. Non è che vieni risucchiato dal giro del divertimento altrimenti me ne sarei accorto. Il posto più popolato, dove si parla di più, si scherza, si conosce mi sembra la mensa. Non proprio un luogo che assocerei a feste sfrenate». [G. ZON.]