Paolo Baroni, La Stampa 25/7/2012, 25 luglio 2012
L’ Italia del dopo 2014 non sarà più l’Italia dei 100 campanili e delle cento province ma sarà una Italia tutta «Granda»
L’ Italia del dopo 2014 non sarà più l’Italia dei 100 campanili e delle cento province ma sarà una Italia tutta «Granda». Se andrà in porto il piano di riordino - il condizionale è d’obbligo perchè la legge è attesa solo per fine anno, e prevede non pochi passaggi tecnici e burocratici - di qui a due anni la geografia dello Stivale ne uscirà completamente ridisegnata. Delle attuali 107 province ne resteranno poco più della metà: le 46 scampate alla tagliola dei criteri fissati dal governo (almeno 350 mila abitanti e 2500 kmq di superfice) ed una decina scarsa frutto delle fusioni. Vincoli e criteri A dettare le aggregazioni affinità culturali, legami economici, collocazione geografica, storia ed ovviamente i paletti fissati dal governo. Che ad esempio impediscono alle province che non rispettano i requisiti minimi, e che per tanto sono considerate «azzerate» di aggregarsi ad una città metropolitana (ex provincia) limitrofa. Norma tassativa, con un’unica deroga valida per La Spezia che non avendo altre province liguri a fianco dovrà giocoforza entrare nell’area metropolitana di Genova. Perchè, per ora, di scavallare i confini regionali (manovra che implicherebbe un modifica della Costituzione), non si parla proprio. Per il resto è possibile fare tutto: spetterà al Consiglio delle autonomie locali, organo che in ogni regione riunisce Province e comuni, decidere il da farsi. Ogni provincia soppressa sarà libera di scegliersi il partner che preferisce o magari di fare shopping di comuni confinanti per rientrare nei parametri minimi. Come potrebbe fare ad esempio Latina, che non nasconde le avances nei confronti di alcuni comuni della costa appartenenti a Roma per ottenere quei 40-50 kmq che le mancano e non essere obbligata ad unirsi con Frosinone. L’Emilia e la Romagna Il processo non sarà facile, e allo stesso tempo non sarà immune da incongruenze. Esempio: l’unione obbligata di Terni con Perugia, di Isernia con Campobasso e di Matera con Potenza farà coincidere le nuove grandi province coi confini delle tre regioni, Umbria, Molise e Basilicata. In Emilia Romagna si ragiona sull’unione tra Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia una «mini-regione» che non si potrà che chiamare «Emilia», oppure «provincia del Gusto» per le sue tante e pregiate eccellenze culinarie. Idem la Romagna, che nascerebbe dall’aggregazione naturale e da anni agognata di Ravenna, Forlì e Rimini. In Liguria l’unione tra Savona e Imperia a Ponente farebbe nascere «La Lunga». In questo caso nozze possibili solo per effetto della modifica in extremis dei parametri, posto che queste due province assieme arrivano giusto giusto a 2700 chilometri quadrati. Udine che assorbe Pordenone e Gorizia darebbe vita al «Grande Friuli», mentre in Veneto sono destinate alle nozze Belluno con Treviso e Padova con Rovigo. Anche se c’è chi spinge per una «provincia del Piave» fondendo Treviso con un pezzo di Venezia ed una parte del bellunese. In Piemonte Cuneo assieme ad Asti farebbe rivivere i fasti della Vecchia Savoia, Biella andrebbe con Vercelli, mentre Novara riconquisterebbe il Vco. In Lombardia Monza punta a unirsi a Como, Lecco e Sondrio, o magari solo a Varese e Como per far nascere una grande Brianza allargata. A Sud l’unione naturale è tra Lodi, Cremona e Mantova. Ma anche qui se si potessero rompere i confini regionali l’aggregazione di Piacenza sarebbe quasi automatica e si potrebbe pure azzardare il nome «Padania» dal sapore leghista. Il mercato dei comuni La Toscana è un vero rebus: perchè Prato non può (e non vuole) tornare sotto Firenze, altrimenti assieme a Lucca il vecchio Granducato sarebbe già belleffatto. E allora la soluzione sarà la costituzione di una provincia Toscana Sud con Siena, Arezzo e Grosseto ed una provincia Tirrenica con tutti gli altri territori. Altra variabile, se Pisa e Livorno dovessero proprio restare separate in virtù della loro plurisecolare rivalità, Livorno potrebbe andare con Grosseto, Pisa con Massa, Lucca e Prato, con Arezzo e Siena a parte. La forza dei numeri obbliga Rieti a mettersi con Viterbo, la quale riuscisse però a strappare Civitavecchia a Roma potrebbe riformare l’Etruria. Di Latina s’è detto. Scavallando l’Appennino centrale, tra Marche e Abruzzo due nuove aggregazioni: Macerata con Fermo e Ascoli, e soprattutto Teramo e Pescara con Chieti per dar vita alla nuova provincia «Adriatica». In Campania Benevento andrebbe sotto Avellino (ma avendo più abitanti le potrebbe scipparle il ruolo di capoluogo), mentre in Puglia Taranto si metterebbe con Brindisi, e la «giovane» Barletta-Andria-Trani per non tornare con Bari finirebbe sotto Foggia. In Calabria si potrebbe tornare all’antico, con Vibo riassorbita da Catanzaro e Crotone da Cosenza e magari qualche compensazione (anche con Reggio) tra i comuni di confine. Discorso a parte per Sicilia e Sardegna, nelle due Regioni autonome sulla carta ci sono 7 province che si salvano e ben 14 da accorpare. Operazione non facile anche questa, come tutto il progetto nel suo insieme. Tanto complesso che in molti dubitano possa andare in porto, intanto però il risiko è iniziato.