Sergio Romano, Corriere della Sera 25/7/2012, 25 luglio 2012
Ritiene che con l’attuale disorientamento politico- economico, degli elettori e dei loro rappresentanti, sarebbe possibile il rinvio delle elezioni previste nel 2013 per permettere una stabilità di governo più credibile in ambito internazionale e un consolidamento delle manovre già intraprese? Enrico Bizzotto bizzot@tin
Ritiene che con l’attuale disorientamento politico- economico, degli elettori e dei loro rappresentanti, sarebbe possibile il rinvio delle elezioni previste nel 2013 per permettere una stabilità di governo più credibile in ambito internazionale e un consolidamento delle manovre già intraprese? Enrico Bizzotto bizzot@tin.it Caro Bizzotto, S econdo l’art. 60 della Costituzione «la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra». Qualcuno potrebbe ricordare una recente affermazione del presidente del Consiglio («L’Italia ha iniziato un tunnel, un percorso di guerra, anche se pacifico»), ma la maggioranza degli esperti di diritto costituzionale osserverebbe che quella di Monti è soltanto una metafora e che non esistono oggi le condizioni per mantenere in vita, al di là della sua scadenza naturale, il Parlamento della XVI legislatura. Vi fu all’Assemblea costituente, tuttavia, un momento in cui il problema della durata delle Camere divenne materia di una interessante discussione. Francesco Saverio Nitti disse che il loro contemporaneo scioglimento gli sembrava sbagliato. Sostenne che «il Senato non si scioglie, deve durare. Il Senato vuol dire permanenza di qualcosa. Nelle nuove costituzioni bisogna sempre conservare qualcosa delle antiche (…)». Nitti pensava naturalmente al Senato regio, ma quello era interamente composto di senatori a vita nominati dal re e la formula era incompatibile con il nuovo regime repubblicano. Per sciogliere il nodo, un costituente liberale, Epicarmo Corbino, propose che le Camere avessero una diversa durata e che la Camera alta venisse rinnovata parzialmente ogni due anni. Se la sua proposta fosse stata accolta avremmo oggi un sistema in parte simile a quello degli Stati Uniti dove il Senato, per l’appunto, viene rinnovato parzialmente ogni due anni. Ma a questa prospettiva si oppose un costituente democristiano, Attilio Piccioni, con l’argomento che il rinnovo parziale del Senato avrebbe rimesso in discussione gli equilibri politici e la stabilità del governo. L’osservazione di Piccioni sembrò giusta, la proposta del rinnovo parziale venne accantonata e sembrò che la Costituente si orientasse verso il contemporaneo scioglimento delle Camere. Ma un costituente monarchico e liberale, Roberto Lucifero, ricordò che i due rami del Parlamento sarebbero stati eletti con un sistema elettorale diverso: il collegio uninominale per la Camera alta, proporzionale di lista per la Camera bassa. Occorreva impedire la «confusione infinita che si creerebbe nel Paese per la contemporanea consultazione elettorale» con sistemi diversi. L’argomento convinse i costituenti e l’art. 60, nella versione votata dall’Assemblea costituente, prevedeva che il Senato durasse sei anni e la Camera cinque. Ma nel 1953 e nel 1958, quando fu necessario votare per il rinnovo della Camera, fu deciso di sciogliere contemporaneamente anche il Senato; e finalmente per rendere la Costituzione conforme alla prassi, nel 1963 fu deciso di modificare l’articolo 60. Da allora entrambe le Camere, se non vengono sciolte anticipatamente, durano cinque anni. I membri della Costituente avevano la stessa preoccupazione: evitare che nelle due Camere vi fossero maggioranze diverse. Ma una parte dell’Assemblea pensava che fosse più facile evitare questa prospettiva stabilendo per le due Camere la stessa durata e altri, invece, che lo scopo sarebbe stato meglio raggiunto se avessero avuto durate diverse. A tutti, in altre parole, stava a cuore la stabilità dei governi, un obiettivo che fu raggiunto (ma in apparenza più che nella realtà) soltanto in alcune circostanze. Tutto sarebbe stato più semplice, naturalmente, se alle due Camere fossero stati assegnati compiti diversi, come nella maggior parte dei sistemi bicamerali europei. Oggi quasi tutti sembrano esserne consapevoli, ma il bicameralismo perfetto continua a rendere il sistema politico italiano più lento e complicato della maggior parte dei sistemi europei. Ne abbiamo avuto una ennesima prova quando abbiamo assistito al laborioso percorso parlamentare delle riforme presentate alle Camere dal governo Monti negli scorsi mesi.