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 2012  luglio 24 Martedì calendario

LA DAMA DEI SALOTTI SEDUTTRICE A OTTANT’ANNI

Marie-Anne de Vichy Chamrond (1697—1780) a ventidue anni si sposò con il marchese di Deffand. Non ci volle molto perché ne provasse disgusto. Decise, oltre che di separare la propria carne da quella del coniuge, di dedicarsi a un’esistenza frivola e galante. Di non rifiutare piaceri, amori, amicizie. Conosce nel 1721 Voltaire, con il quale avrà una interessante corrispondenza; per una quindicina di giorni condivide il letto con il Reggente, si appassiona al gioco, ai balli dell’Opéra. Con il presidente Hénault, storico e magistrato, stipula un «matrimonio di ragione» che, almeno, dura più di quello benedetto da Dio e dagli uomini, giacché termina nel 1770 con la morte del singolare sposo. Di più: l’intraprendente donna nel 1747 fonda, in un’ala del convento di Saint-Joseph a Parigi, un salotto. Dominerà il secolo e in esso passeranno tutte le idee del tempo.
Questa alcova di cultura sarà frequentata, oltre che dal fior fiore degli illuministi, anche da Horace Walpole, quarto conte di Orford, vent’anni più giovane di madame. Per Byron era nobleman e gentleman. Passerà alla storia come autore de Il castello di Otranto (1764), primo romanzo gotico per i manuali di letteratura. Viaggiatore, cultore di storia, arte e antiquariato, il suo nome si legò anche al termine serendipity, neologismo indicante la casualità di una scoperta inattesa, capitata mentre si cercava altro. È adatto alle scienze, alla geografia. Per lui si tradusse in un amore.
Una passione che il raffinato inglese, allora quarantottenne, proprio non cercò. Perché fu Madame du Deffand — Saint-Beuve scrive di lei nella Causeries du lundi: «Non aveva mai amato d’amore» — a farsi avanti con i suoi sessantotto anni; e senza troppa discrezione. Walpole lascia Parigi il 17 aprile 1766 e il 19 la signora gli scrive. Lui non ne serbava una grande impressione, giacché notava in una lettera a un amico il giorno dopo averla conosciuta: «Il vecchio presidente Hénault è l’idolo della casa di Madame du Deffand, una vecchia cieca, debosciata di spirito, presso la quale ho cenato ieri sera». C’è il ritratto di colei che si troverà addosso.
Walpole, da parte sua, ha una «grande paura di passare per un vecchio ridicolo» (allora verso i quarant’anni ci si ritirava dalle follie dei sensi, e anche i libertini non facevano eccezione). Cerca di rispondere, dopo la fulminea missiva, con parole che avrebbero utilizzato i più sensati, invocando attenzione per l’ardore improvviso. Il 21 aprile la du Deffand replica: «... vi strapperei volentieri quegli occhi che dicono così belli, ma sicuramente non potete sospettare di avermi fatto girare la testa... Scegliete di essere per me tutt’altra cosa che Abelardo; siate, se volete, un Francesco di Sales; mi piace abbastanza, sarò volentieri la vostra Filotea». L’inglese non cade nella rete abilmente lanciata e ribatte: «Sì, sì, amica mia, se volete che il nostro commercio duri, usate un tono meno tragico...». E lei, tra paragoni letterari e qualche iperbole, risponde il 25 maggio 1766: «Mi avete turbata e quel che è peggio raggelata».
Si arriva, di epistola in epistola, a parole sempre più forti. Madame si comporta come una ragazzina. Si ripromette di non scrivere più e poi chiede perdono; Walpole glielo concede e lei lo incalza. Il 30 ottobre di quel 1766 minaccia, nel caso non riceva lettere, di inviare un segretario con l’ordine di urlare ai quattro venti: «Per lui ho una passione sfrenata». Da buon inglese Walpole non fa mossa e riesce lentamente a raffreddare i di lei bollori. Anzi, prima del 1780, anno in cui ella si congeda definitivamente dalle sofferenze di questo mondo, lascerà diverse volte la sua terra e saprà rendere omaggio all’amica. Convinta che a una certa età «si è al riparo dallo scandalo», la du Deffand riesce a scrivere a 83 anni un’ultima lettera all’amore mai ricambiato: «Divertitevi, amico mio, più che potete. Non affliggetevi del mio stato, eravamo quasi perduti l’uno nell’altra; non dovevamo mai più rivederci; mi rimpiangerete perché è piacevole sapersi amati».
Il sesso mancò ma le parole trovarono le ali. Gli amori che non si consumano compiono almeno un miracolo: sostituiscono alle gioie dei sensi il senso di una gioia sognata.
Armando Torno