Giulia Zonca, La Stampa 24/7/2012, 24 luglio 2012
Tredici anni dopo la caduta del muro lo sport russo inizia lentamente a contaminare il sistema sovietico
Tredici anni dopo la caduta del muro lo sport russo inizia lentamente a contaminare il sistema sovietico. Non c’è niente da buttare giù, se si tratta di caccia alle medaglie il vecchio apparato funziona ancora. Non hanno rivoluzioni in programma, si limitano a qualche furtiva sbirciata al resto del mondo, qualche porta socchiusa e in una si è infilato Andrea Di Nino, primo allenatore straniero ammesso nella scientifica e segretissima preparazione dei nuotatori. Essere italiano in questo momento aiuta, siamo di moda: Luciano Spalletti allo Zenit, Fabio Capello corteggiato dalla Nazionale di calcio, Ettore Messina come maestro di basket ed Ezio Gamba che si occupa della squadra di judo, la passione di Putin. Il passaporto per entrare è quello giusto anche se è inutile aspettarsi grandi accoglienze. Di Nino ha iniziato a lavorare con loro nel 2008, ha inserito nella sua squadra, l’Adn, un team con atleti di diverse nazioni e basi itineranti, il delfinista Evgeny Korotyshkin: «Immagino che lo abbiano lasciato partire perché lo consideravano già vecchio a 25 anni, invece oggi è a Londra ed è il capitano. Adesso mi occupo anche del velocista Fesikov e ne supervisiono altri. Mi hanno inserito nel team olimpico, una sorpresa». Comunicare è difficile: zero interprete, tutti sopra i 50 anni e non un’anima che parli inglese. «L’esperienza è particolare e affascinante insieme, nelle riunioni devo sempre aspettare che il ct, l’unico che interagisce con me, mi traduca qualcosa. Non ci sono scambi, qualcuno non è contento che ci sia uno straniero però mi lasciano la mia autonomia ed è questo che conta». Il tecnico aggregato alla grande madre Russia non sta con la delegazione, lo hanno sistemato a distanza, in un albergo a cinque stelle: «Separato però comodo. Le stanze al Villaggio sono tutte doppie e non credo che per loro la convivenza con l’italiano sia un’opzione possibile. Invece mi hanno voluto con loro alla cerimonia inaugurale, un onore». Gli uomini si sfidano, le donne fanno gruppo, la vecchia scuola prevede l’approccio biomeccanico, un riscaldamento a secco lungo e dettagliato e un’attenzione spasmodica alla tecnica: «Si portano dietro dagli anni dell’Urss la preparazione di base perfetta. Io non li devo formare, mi ritrovo atleti pronti e aperti a nuove possibilità». Da sfatare il mito dei capi che urlano a bordo vasca e costringono i ragazzi a chilometri e chilometri fino allo sfinimento. Lo stereotipo da film non esiste più. Sospettosi e curiosi si sono presi pure la ramanzina per l’area massaggi ridotta, «32 persone e un lettino da usare a turno, ti aspetti che una potenza così sia più organizzata». Spazio alle parentesi di caos, però emozioni vietate: «Sono controllati, attenti a non farsi sfuggire né una lacrima, né una smorfia. Se c’è qualcosa che non va, fai fatica a capirlo. Sono molto gelosi dei loro sentimenti». Qualcosa importano, hanno persino fatto il barbecue nel fine settimana, «e sulla moda sono più fanatici di noi». Diverso quando si parla di politica: «Faticano ad accettare la visione altrui, io non mi faccio intimorire. Inciampo in gaffe continue, quando ho parlato del caso Politkovskaja imbarazzo totale, hanno tirato su un muro». Sempre lo stesso, quello che nella squadra olimpica resiste. Siamo giusto alle prime crepe.