Cristiana Lodi, Libero 21/7/2012, 21 luglio 2012
ITALIANI IN FILA PER FIRMARE CONTRO LA CASTA
«Oggi, alle ore 12, sono andato al Comune di Modena per firmare la petizione che punta a ottenere il ridimensionamento, sia pure minimo, della prebenda indecente, immeritata e sfacciata che i nostri parlamentari si attribuiscono. Anzi, che si ostinano ad attribuirsi con imperturbabile faccia tosta e che difendono con vergognosa demagogia», firmato un pensionato di 66 anni. È uno fra le migliaia di cittadini che in questa estate già avanzata si sono messi in fila agli ingressi dei municipi, per firmare e aderire alla richiesta di tagliare gli stipendi dei nostri parlamentari. Una febbre da referendum anti-Casta esplosa soltanto negli ultimi giorni, dopo un inizio in sordina. Adesso che mancano pochi giorni allo scadere (fissato al 26 luglio) della consegna dei moduli per la petizione sulla modifica della legge 1261 del 1965, che determina l’indennità spettante ai membri del Parlamento, gli ottomila Comuni segnano il tilt. E il tutto esaurito. Dal Veneto a Ustica (con 200 firme raccolte in una settimana), passando per Cesena fino a Cagliari e Trento, è partito il serpentone che tenta di dare la spallata alla Casta. Scriviamo «tenta», perché la legittimità di questo referendum è ancora tutta da accertare, anche se la volontà della gente che si mette in coda per firmare non dà cenni di crollo. Lo dimostrano le 800 chiamate al giorno e la media di due email al minuto, che inondano i centralini e la posta elettronica di Unione Popolare, il movimento guidato da Maria Di Prato che ha voluto il referendum anti-casta. Se l’iniziativa popolare venisse approvata, a saltare non sarebbero gli stipendi di deputati e senatori - previsti dalla Costituzione - ma la diaria. L’articolo 2 della legge. «Il referendum si propone di tagliare i 3.500 euro mensili che ogni parlamentare riceve per il soggiorno a Roma», spiega Maria Di Prato, «la cosa ridicola e non più tollerabile è che a incassare questa somma sono anche quegli eletti che nella Capitale ci vivono. Abbiamo calcolato che lo Stato potrebbe risparmiare circa 50 milioni di euro l’anno. Non si tratta di una cifra esorbitante e di certo essa non basterebbe ad abbattere il debito pubblico», aggiunge il segretario di Unione Popolare, «però l’iniziativa ha un forte significato politico: in tempi di crisi, chi comanda deve dare l’esempio». E la gente ci crede. Si mette in fila nonostante il caldo, la mancanza di moduli su cui apporre la firma e i dubbi sulla legittimità del referendum stesso. «Non può essere infatti depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime»,dice la legge del 25 maggio 1970. Una norma controversa, secondo Maria Di Prato, che spiega: «Ci siamo rivolti ai costituzionalisti. Le firme potranno essere tranquillamente consegnate in Cassazione a gennaio. Entro l’autunno del 2013 la Suprema Corte verificherà l’entità e la legittimità delle sottoscrizioni, che devono essere almeno mezzo milione. Più o meno nel gennaio 2014 la Corte Costituzionale valuterà i quesiti. Il tempo di convocare la consultazione popolare, e nella primavera del 2014 gli italiani potranno andare a votare». E qualora non bastasse, la petizione sospesa nel prossimo mese di agosto, riprenderà a ottobre e continuerà fino a dicembre 2012, con buona pace dei maligni sospettosi che l’unico vero obiettivo sia il rimborso previsto in caso di raggiungimento del quorum. Intanto, nonostante il presunto «boicottaggio », per usare le parole del segretario, «da parte di alcuni Comuni che hanno rispedito indietro i cittadini adducendo di non avere a disposizione i moduli che noi avevamo consegnato» e nonostante «il silenzio dei media», la gente va in municipio o in piazza per firmare. La documentazione e gli appositi moduli, stando ai Comuni, sono stati consegnati il 12 maggio. Ma soltanto negli ultimi giorni e dopo un pressante passaparola virtuale e via cellulare, la notizia si è diffusa, tanto che la gente si è presentata in massa. A Vicenza, per esempio, si viaggia a un ritmo di quattrocento firme al giorno. A Verona, in novantasei ore ne sono state raccolte oltre duemilacinquecento. Identico scenario a Venezia, dove tra terraferma e laguna gli impiegati comunali sono costretti a fare i salti mortali per fronteggiare l’ondata umana. A Padova (ieri in tre ore duecentocinquanta firme) e a Treviso, i dipendenti del municipio per far fronte all’affluenza hanno dovuto fotocopiare in fretta e furia decine di altri moduli perché gli originali erano stati esauriti. Anche nei Comuni meno popolosi è tutta una coda. In altri, come a Cesena, la firma resta invece una illusione per molti. Chi si è rivolto agli uffici municipali si è sentito dire che nome e cognome potevano essere apposti sull’unico modulo disponibile. Ma una volta toccata cifra 50, sul foglio non c’era più spazio. Stessa cosa a Padova, nonostante il portavoce del Comitato promotore, Vito Pucci, dica: «Li abbiamo appena spediti per la seconda volta anche a Padova, questi moduli. Lunedì dovrebbero arrivare. Ma ci telefonano da tutta Italia. Abbiamo stimato che i Comuni rimasti senza sono circa il 30%». Eppure, osserva Maria Di Prato, «la prima spedizione era stata fatta a maggio via posta. Abbiamo le prove dell’invio delle schede e vorrei sapere come mai i documenti, che abbiamo pagato, non sono mai arrivati. Il boicottaggio è evidente». E l’illegittimità del referendum è probabile. Mentre i cittadini continuano a ingrossare le file dell’anti-Casta. ha collaborato ALESSANDRO GONZATO