Stefano Bucci, la Lettura (Corriere della Sera) 22/07/2012, 22 luglio 2012
E’ NATO PRIMA L’UOVO O FABERGE’?
L’intreccio è di quelli affascinanti. L’amore (tragico) di Nicola II per Alessandra di Assia; una famiglia di ugonotti che dalla Francia fugge verso la Grande Madre Russia e, da lì, verso la Svizzera; un magnate del gas che vuole riportare a casa gli antichi tesori dell’impero; una nobile made in Usa (nata Consuelo Vanderbilt e poi sposata al nono duca di Marlborough) che, oltre a farsi ritrarre da Boldini e da Sargent, vuole (e ottiene) un uovo pasquale in oro, argento, incisioni, cesellature e smalto guilloché color carminio. Ma nell’universo inventato da Carl Fabergé (1846-1920) trovano spazio anche la regina Elisabetta, l’emiro del Qatar, James Bond (alias Roger Moore) in versione Octopussy, il George Clooney di Ocean Twelve e persino i Simpson: collezionisti eccellenti (i due sovrani) e protagonisti di epopee (spesso più ladresche che eroiche) che ruotano appunto attorno alle uova che ogni anno, nel giorno di Pasqua, seguendo la tradizione ortodossa, lo zar Nicola II regalava alla zarina e all’imperatrice madre. Creazioni uniche e preziose, con tanto di lussuosa sorpresa, simbolica oppure celebrativa di avvenimenti legati alla storia del regno e della famiglia imperiale: un cuore rosso smaltato, un trifoglio verde, un usignolo, un veliero, un elefante, un’immagine votiva. Tutto, naturalmente, re-inventato a colpi di diamanti, pietre varie, cristallo di rocca, perle e altre prelibatezze.
A realizzarli era appunto il gioielliere degli zar, il Cellini del Nord, l’inventore (appunto) della tecnica del guilloché (capace di regalare colori meravigliosi e cangianti) a cui è dedicata la mostra che si inaugura il 26 luglio nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria: quattordici esemplari unici delle uova pasquali alla Fabergé (nel 2007 da Christie’s a Mosca il Rothschild Egg è stato venduto per 20 milioni di dollari) oltre a 250 oggetti (cornici a forma di ventaglio, orologi, set da scrivania, scatole da sigarette, fibbie, trousse). Cinquantaquattro le uova oggi sopravvissute: una tradizione che aveva preso avvio nel 1885, quando Alessandro III regalò l’Uovo con gallina all’imperatrice Maria Feodorovna. E poi continuata da Nicola II che (dal 1894 fino al 1917) ne avrebbe commissionate due all’anno, una per la moglie e l’altra per l’imperatrice madre. L’ultima, quella del 1917 (oggi in un museo di Baden-Baden) non sarà mai consegnata.
Ad aprire il percorso c’è qui l’uovo creato nel 1896 per l’incoronazione di Nicola II come zar di tutte le Russie. E per l’occasione, la sorpresa dell’uovo (smalto giallo e decorato con aquile bicefale) sarebbe stata il modello della carrozza dei sovrani. Ancora una volta, un trionfo per la bottega di Fabergé: aperta nel 1842 a San Pietroburgo, la maison (che, ancora attiva dopo alterne vicende, ha da poco ripreso la produzione delle uova utilizzando i disegni originali) si ingrandì fino a contare quattro sedi in Russia e una a Londra con oltre 500 dipendenti; con la Rivoluzione d’ottobre, la famiglia Fabergé (di origini ugonotte) avrebbe poi lasciato la Russia. Carl, ultimo dirigente della fabbrica di famiglia, morì così in esilio, a Losanna, nel 1920.
Nove uova-gioiello imperiali; due sorprese senza uova; tre copie eccellenti (una, in perfetto stile neoclassico, appartenuta alla duchessa di Marlborough; due commissionate dai ricchissimi Klerk) che arrivano dalla collezione della Link of Times Foundation di Mosca creata dal magnate russo (del gas) Viktor Vekselberg nel 2004 all’indomani dell’acquisto di quella collezione fino ad allora di proprietà di Malcom S. Forbes. Una fondazione con oltre 3.500 capolavori (di fatto la più grande raccolta al mondo di uova Fabergé) oggi impegnata nel recupero di quegli oggetti d’arte e di storia che costituiscono l’identità russa. Un patrimonio incredibile se si pensa che quando, dopo il 1917, gli oltre duecentomila pezzi preziosi della collezione imperiale furono messi all’asta per sovvenzionare la nuova economia, l’impatto (e il loro valore) sarebbe stato così grande da far letteralmente crollare il mercato dei diamanti.
E visto che siamo in una reggia sabauda, l’idea della mostra è anche quella di raccontare il legame tra Fabergé, l’imperatore, i Savoia: nel 1872, il figlio e la nuora di Caterina La Grande (sotto lo pseudonimo di Conti del Nord) sarebbero passati proprio da qua, in una tappa del loro Grand Tour. E così nella prima stanza (oltre a foto, scritti, lettere) compare la testimonianza del giovane Vittorio Emanuele III, presente all’incoronazione di Nicola II in qualità di principe ereditario: «Durante il banchetto gli imperatori sedevano sui troni, tenevano la corona in testa e ogni volta che lo zar beveva le trombe suonavano. Mi sembrò un vero regno delle fate». Un regno annientato dai venti della rivoluzione. Dove (con Elisabetta II e l’emiro del Qatar) possono oggi trovare spazio 007, Clooney e persino i Simpson: potenza del mito.
Stefano Bucci