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 2012  luglio 22 Domenica calendario

SZEEMANN, BERNA ’69. UN CURATORE LIBERO

Per quelli che fanno il mio mestiere, il curatore di mostre, c’è «una mostra più di ogni altra che apertamente o nascostamente avremmo voluto immaginare, pensare, organizzare e curare»: When attitudes become form: works, concepts, processes, situations, information. Fu inaugurata il 22 marzo del 1969 alla Kunsthalle di Berna, curata da quello sciamano, mago, guru, istrione che fu lo svizzero Harald Szeemann (1933-2005), il Vittorio Gassman del mondo dell’arte. Unico ad aver curato sia quel mostro sacro del circuito dell’arte che è Documenta a Kassel, nel 1972, che, nel 1999 e 2001, due memorabili edizioni della Biennale di Venezia durante il regno di Baratta I. Il titolo italiano della mitica mostra recita «Quando le attitudini diventano forma: lavori, concetti, processi, situazioni, informazione». Aveva anche un sottotitolo Live in your head, «vivi nella tua testa». Ma perché il sogno segreto di un curatore dovrebbe essere quello di aver curato lui o lei quella oramai antica mostra? Primo, perché con quella mostra Szeemann praticamente inventa il mestiere del curatore-autore: non più solo conservatore e installatore di opere, ma anche ideatore e pensatore di mostre. Senza Szeemann scordatevi i Celant, i Bonito Oliva, i Birnbaum, gli Obrist, i Gioni e tutti gli altri (compreso chi scrive). Il grande svizzero con le sue Attitudini sdogana una professione che ancora oggi fa arricciare il naso agli storici dell’arte. Non solo nel 1969 mette insieme gruppi di artisti diversi che arrivavano dall’Arte Povera, dalla Earth Art o dal Minimalismo, ma anche da quella che si chiamava Impossible Art. Una mostra che oggi sarebbe impossibile fare, tanto era caotica e concentrata di opere. Una mostra piena di libertà e improvvisazione, due qualità che oggi né gli artisti né noi curatori possediamo più, troppo attenti alla carriera, alla stampa e magari anche al portafogli. Nel 1969 si respirava un’aria diversa e Szeemann ne respirava e soffiava più di ogni altro, prendendosi insulti e rischiando il posto di lavoro. A Berna quella primavera arrivarono artisti che poi sarebbero diventati famosi, da Bruce Nauman a Mario Merz a Richard Serra o Walter De Maria e Alighiero Boetti, per dirne solo alcuni. C’era anche Joseph Beuys con già, però, un po’ di successo nel sacco. Altri scompariranno. Il tempo, la storia, le mode, magari il mercato, la morte o i propri limiti li spazzeranno via, lasciando poche tracce. Ma la mostra di Szeemann rimarrà una pietra miliare della storia dell’arte contemporanea. A quei tempi fu una mostra rivoluzionaria. Oggi sarebbe una mostra difficile, che faticherebbe a far visitatori. E non certo un blockbuster, una mostra di cassetta, con la fila sul marciapiede attorno all’isolato. D’altronde sul marciapiede a Berna più di quarant’anni fa era persino pericoloso stare. L’opera di Michael Heizer consisteva, infatti, in una palla d’acciaio che fracassava la strada davanti al museo. Un’attitudine che, più che «diventare», «frantumava» la forma.
Francesco Bonami