Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 22 Domenica calendario

IL CACCIATORE DI PSICO-BUFALE

Immaginate di raccogliere dei fondi per una buona causa all’interno di un centro commerciale. Dove piazzate il banchetto? Secondo la «cognizione incarnata» — una branca della psicologia che studia come la mente viene influenzata dal corpo e dall’ambiente in cui si trova — è possibile che elevando la posizione fisica si elevi anche lo spirito. La postazione migliore, dunque, sarebbe alla sommità della scala mobile. Le persone che sono state trasportate in senso ascendente, secondo un esperimento descritto sul «Journal of experimental social psychology», sarebbero più compassionevoli e generose rispetto a coloro che si sono mossi in senso contrario, dall’alto verso il basso.
Se a questo punto della lettura avete le sopracciglia aggrottate, siete nel giusto. Altitudine non fa rima con rettitudine. Semmai è altezza che fa rima con sciocchezza. La ricerca in questione, infatti, è risultata manipolata, la rivista che l’ha pubblicata si appresta a ritirarla e il suo autore si è già dimesso dall’Università del Michigan. Larry Sanna è il terzo psicologo di grido a essere travolto da un’accusa di falsificazione dei dati nel giro di un anno e non sarà l’ultimo. È la fine della psicologia da tabloid che è andata di moda negli ultimi anni?

Generalmente a scoperchiare le pentole delle frodi scientifiche è qualche collaboratore che sente puzza di bruciato e fa trapelare i suoi sospetti, magari in forma anonima sul web. Non è questo il caso. Qui in azione c’è un cacciatore accademico di frodi. Uri Simonsohn, dell’Università della Pennsylvania, ha ideato un metodo statistico per rilevare le anomalie che segnalano una possibile manomissione dei risultati sperimentali e lo ha messo alla prova nel campo della psicologia. Nella sua rete sono caduti anche Dirk Smeesters, autore di controverse ricerche sugli effetti psicologici dei colori, che si è dimesso il 25 giugno dall’Università Erasmus di Rotterdam, e altri ricercatori di cui non è ancora trapelato il nome. Quando trova numeri troppo puliti, troppo ricorrenti, troppo rotondi, troppo significativi per essere veri, Simonsohn contatta gli autori e, se i conti non tornano, avverte le rispettive università, che possono decidere di avviare un’inchiesta ufficiale. Ricordate la massima secondo cui esistono tre tipi di menzogne? In questa storia gli ingredienti sono gli stessi — normali bugie, bugie sfacciate e statistiche — ma l’ultimo è promosso al rango di antidoto. Anziché essere l’arte di confezionare frottole con l’aiuto dei grafici, la statistica è l’arte di smascherarle. Con buona pace di Mark Twain o di Benjamin Disraeli, a cui l’aforisma viene solitamente attribuito.
Quella di aggiustare i dati finché non dimostrano la tesi cara allo sperimentatore è una brutta abitudine alquanto diffusa. Supponiamo che uno psicologo abbia appurato che ascoltare un’allegra canzoncina per bambini ci fa sentire più vecchi. Ora vuole vedere se si verifica anche l’effetto contrario. Avete presente «When I’m 64» dei Beatles? «Quando invecchierò perdendo i capelli/ mi manderai ancora biglietti di San Valentino/ auguri di compleanno, una bottiglia di vino». Se ascoltandola i soggetti sperimentali si sentissero più giovani, ne verrebbe fuori un lavoro divertente, di quelli che ti fanno finire dritto in pagina sul «New York Times». Per arrivare al risultato non c’è bisogno di inventare nulla: basta trovare qualche scusa credibile per scartare le risposte che non collimano e magari continuare ad arruolare soggetti sperimentali finché la significatività statistica non diventa forte come desideriamo. Simonsohn l’ha fatto proprio per dimostrare quanto sia facile barare, e lo scorso novembre ha descritto su «Psychological science» come è riuscito a ottenere un falso positivo, ovvero una corrispondenza forzata, ma apparentemente legittima, tra i dati sperimentali e la tesi di partenza: la canzone dei ragazzi di Liverpool che si immaginano vecchi ha un effetto ringiovanente.

Gli esempi di lavori troppo belli per essere credibili abbondano. Trovarsi in un contesto caotico acuisce il bisogno di ordine mentale e dunque la stereotipizzazione che è alla base dei pensieri razzisti? In autunno lo ha «dimostrato» su «Science» Diederik A. Stapel, una stella emergente (ormai inabissata) della psicologia sociale. Secondo l’Università di Tilburg in Olanda, questo studioso ha manipolato almeno 30 pubblicazioni. Simonsohn preferisce parlare di singole mele marce, ma c’è chi sospetta che esista un problema di ordine generale. Secondo «Nature» la corrispondenza fra ipotesi e risultati è cinque volte più alta in psicologia e psichiatria che nelle scienze spaziali. In oltre il 90% dei casi, infatti, lo psicologo sperimentatore è così «fortunato» da riuscire a dimostrare la tesi di partenza. Leslie John della Harvard Business School di Boston ha interpellato 2.000 psicologi e la metà ha ammesso di aver aggiustato il protocollo sperimentale finché i risultati attesi non si sono materializzati e di non sentirsi in colpa per questo. Se l’acqua è così torbida, non c’è da stupirsi che nella vasca della psicologia nuoti anche qualche truffatore. La politica editoriale delle riviste scientifiche non aiuta, perché incoraggia le ricerche sorprendenti e scoraggia le replicazioni. Chi ripete un esperimento controverso, arrivando a confutarlo, difficilmente riesce a farsi pubblicare i dati. Per rimediare, un gruppo di 50 accademici ha dato vita alla Open science collaboration, che sta sottoponendo al test della riproducibilità decine di studi usciti su tre riviste di riferimento. Servirà a capire se davvero la psicologia è malata e a individuare le medicine giuste per rimetterla in piedi. Così forse potremo tornare a divertirci con studi come questo in uscita su «Psychological science», senza il timore di essere raggirati. Sostiene che la nostra disponibilità ad aiutare gli altri aumenta quando aspettiamo un responso medico o un’offerta di lavoro. In poche parole cerchiamo di ingraziarci il destino, investiamo nel karma. Sarà vero?
Anna Meldolesi