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 2012  luglio 22 Domenica calendario

LO SPREAD A 500 E I CATTIVI MAESTRI - I

l Regno Unito è la patria del liberismo e il cuore della finanza globale. Dopo la scoperta del cartello bancario per manipolare il Libor, più che del Liberismo, riportato all’onor del mondo dalla Thatcher, si dovrebbe parlare di Liborismo, per meglio aderire alla realtà della City. Mentre i suoi concittadini ironizzano, il premier David Cameron va alla fiera aerospaziale di Fairnborough per chiedere alle imprese estere, italiane incluse, che cosa vogliano per trasferire produzione nel Regno Unito. «Negli anni Novanta ci eravamo illusi che bastasse la finanza, vogliamo rimediare», ripete, e mostra il portafoglio. Università eccellenti, Stato leggero, servizi doc, imposte sopportabili, zero Fiom, eppure il premier (conservatore) offre aiuti per ottenere investimenti. E se il debito pubblico esplode? Pazienza, la Bank of England stamperà nuove sterline e i mass media domestici insisteranno a raccontare il debito del proprio Paese senza includervi i salvataggi delle banche, e così lo potranno indicare al 65% anziché al 144% del Pil.
E l’Italia? L’Italia è meno pratica. Non è la patria di Smith, ma vuol correggere i propri (molti) difetti copiando un po’ il modello anglosassone. E, di fronte alle rimostranze (alcune corporative, altre giustificate), sembra quasi cedere al «tanto peggio tanto meglio». Il concetto non è nuovo tra i radicali. Lo usavano nella Russia zarista il socialista Nikolay Cernysevsky e il comunista Lenin: quanto più orrenda fosse stata la miseria, tanto più alta sarebbe divampata tra le masse la fiamma della rivoluzione. Spero di sbagliarmi, ma temo che nella cultura del governo aleggi la stessa tentazione, sia pure di segno politico diverso. Finché il disastro incombe, si pensa, quest’Italia sbagliata è disponibile a pagare il prezzo della correzione; se il pericolo è scampato, non accetterà più niente.
Con lo spread a quota 500, è passata la riduzione delle pensioni. Con lo spread meno tremendo, il mercato del lavoro non è stato americanizzato. È stato male? È stato bene? Certo, nel frattempo, la crisi dell’auto, settore simbolo, sembra non interessare al governo. Né, più in generale, si ha notizia di Monti o di Passera impegnati a fare quello che fanno Cameron e Hollande per l’industria nazionale. Sul debito pubblico si continua a tentennare. Grilli dice qualcosa, ma non si azzardano vere manovre taglia debito. Forse perché smentirebbero l’assunto liberista secondo il quale l’incidenza del debito sul Prodotto interno lordo (Pil) può calare solo attraverso la crescita del Pil indotta dalle riforme (se viste da destra) o dalle controriforme (se viste da sinistra). Si teme forse che, salvando una fabbrica Fiat e allentando il vincolo del debito pubblico, verrebbe meno la spinta del cambiamento come da sacri testi. Ora con lo spread di nuovo a 500, di cui solo 200 sarebbero colpa nostra, anche il liberista che non vuol declassarsi a liborista dovrebbe chiedersi se i compiti a casa debbano restare gli stessi che ci chiedono i mercati finanziari, fatti da chi trucca il Libor e scommette con i derivati sulla pelle delle persone. O se non si debbano cambiare i maestri.
Massimo Mucchetti