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 2012  luglio 22 Domenica calendario

PIANETI FUORI DAL SISTEMA SOLARE

E se la scienza superasse la fantascienza? Il gruppo di ricerca Exolife dell’Università di Vienna suona la carica annunciando che sono più di 760 i pianeti finora scoperti “fuori” dal Sistema Solare (e perciò definiti “esopianeti”) e che quattro sono stati giudicati teoricamente “abitabili” in quanto presentano in superficie l’acqua in forma liquida.
Per questa ragione sono stati segnalati e inventariati nell’emozionante Habitable Exoplanets Catalog (HEC). Ma si stima che parecchie decine di miliardi di pianeti della nostra galassia potrebbero far valere questo requisito. «Allora, seguire la pista dell’acqua potrebbe non bastare più», avverte Johannes Leitner, che con la sua équipe viennese ha usato un criterio più ampio, basato su diverse «zone suscettibili di permettere la vita».
Questa potrebbe svilupparsi in zone ricche di sostanze liquide (metano, etano, soluzione di ammoniaca, acido solforico). «È istintivo che, quando si va in cerca della vita nell’Universo e si punta il telescopio su un nuovo corpo celeste, se ne vogliano scoprire, prima di tutto, le somiglianze con la Terra. E, se l’astrofisica, che dedica buona parte della propria attività alla ricerca della vita nell’universo, adottasse un nuovo approccio, se cioè non si limitasse a cercarla in corpi celesti simili alla Terra e adottasse invece un «criterio più ampio»?, si domanda Leiter.
Bisogna infatti conoscere le tante forme che la vita può assumere; se si vuol calcolare un Earth Similarity Index (o Indice di Somiglianza con la Terra), entrano in gioco parametri come massa, radioattività, temperatura, superficie solida (di roccia o di ghiaccio), magnetosfera di protezione, atmosfera, energia disponibile (luce, calore, forza delle maree), presenza di liquidi (e non necessariamente di acqua), e infine molecole chimiche complesse, a partire dal carbone o dal silicio. Non sorprende che il primo posto per indice di abitabilità venga assegnato alla Terra, seguita da Marte e da Titano, satellite di Saturno.
Titano, con i suoi laghi di etano e metano e un mix di acqua e ammoniaca ghiacciata, costituirebbe lo scenario ideale per lo sbocciare della vita ExoLife. Ma il terribile freddo (-180 gradi) spegnerebbe l’entusiasmo dei più temerari pionieri e coloni del cosmo. Qualcosa che guasta il cocktail delle condizioni favorevoli c’è anche quando la vita si manifesta per mezzo di organismi il cui sangue è ricavato da metano liquido. In questo caso, avverte William Bains, il cattivo odore farebbe fuggire gli imprudenti cosmonauti e, solo a saperlo, la Royal Astronomical Society (di cui Bains fa parte) storcerebbe il naso.
Ma come si riconosce la vita nelle sue manifestazioni primordiali? «La scoperta di molecole organiche complesse, nelle nubi interstellari e in molte comete, ha avvalorato l’ipotesi che la vita - ovunque compaia nel cosmo - sia un processo universale basato sulle stesse molecole e sulle stesse leggi chimico-fisiche»: a parlare è il professor Cristiano Batalli Cosmovici, dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario (ISAF), intervenuto alla conferenza del Centro Nazionale Astro-ricercatori Indipendenti; a suo parere le comete sembrano responsabili dell’inseminazione dei vari sistemi planetari della galassia. Diffondono infatti quelle informazioni chimiche che sono alla base dell’evoluzione prebiotica. «La chimica cosmica - spiega ancora Cosmovici – si fonda su quattro atomi: idrogeno, carbonio, ossigeno e azoto. Dobbiamo ritenere che la vita - dovunque si sia formata – abbia le stesse funzioni vitali, imperniate su questi quattro atomi. Possiamo dire che dove il materiale fornito dalle comete ha trovato le condizioni adatte in fatto di energia, temperatura e pressione, si è innescato il misterioso processo che permette il passaggio dalla materia inerte a quella vivente. Perciò, se un giorno incontrassimo eventuali extraterrestri, dovremmo aspettarci di trovarli morfologicamente diversi da noi ma con le nostre stesse fondamentali funzioni vitali che poggiano sulla nostra biochimica di base».
Nel dibattito alla conferenza sull’Exolife di Vienna non sono mancate le ipotesi più sorprendenti. Le ha affacciate Dirk Schulze Makuch, dell’Università dello Stato di Washington. Il bio-astronomo immagina che la vita possa spuntare perfino in pianeti isolati, senza sole; potrebbe nascondere uno strato di ghiaccio sotto un oceano. Del resto, la vita è nata negli oceani di Venere, e chi può escludere che abbia trovato il modo di resistere in qualche nicchia dell’atmosfera venusiana? Poi, a Vienna, la fantascienza riappare dalla finestra. L’Universo? Una nuvola nera, fatta di gas interstellare, che funziona come un enorme cervello il cui metabolismo è animato da reazioni nucleari scoccate fra stelle a neutroni. Un’idea che ricorda da vicino The black cloud del grande astronomo Fred Hoyle, che era anche uno scrittore.