Aldo Baquis La Stampa 21/7/2012, 21 luglio 2012
Mentre nelle strade di Damasco si combatte, Israele segue gli sviluppi della crisi siriana col cuore in gola
Mentre nelle strade di Damasco si combatte, Israele segue gli sviluppi della crisi siriana col cuore in gola. Nelle alture del Golan l’esercito ha rafforzato la propria presenza e durante il week end, in quella regione, le licenze ai militari sono state congelate. A Tel Aviv, nella sede del ministero della difesa, le consultazioni si susseguono al ritmo di due-tre al giorno. La situazione nel Paese vicino è fluida e caotica e i dirigenti di Israele temono in ogni momento di vedersi obbligati a decidere un intervento armato. Ne va, spiegano, della sicurezza nazionale di Israele: nel suo senso più profondo. La Siria, ha confermato di recente il vicecapo di Stato maggiore israeliano Yair Naveh, è il Paese che dispone delle maggiori quantità al mondo di armi chimiche, fra cui Sarin e gas mostarda. Buona parte dei suoi 60-70 mila razzi e missili possono raggiungere Israele, e montare testate non convenzionali. La sorte di questi arsenali è fonte di allarme non solo in Israele ma anche in Giordania (re Abdallah ha detto nei giorni scorsi che se cadessero nelle mani di miliziani filo-Al Qaeda «sarebbe un incubo»), e anche negli Stati Uniti. Proprio recenti movimenti di armi non convenzionali in Siria sono stati all’origine di una missione segreta e repentina a Gerusalemme del segretario Usa per la sicurezza nazionale, Tom Donilon. Era stato incaricato di comprendere se Israele progetti effettivamente un attacco preventivo, qualora le armi di distruzione di massa siriane fossero in procinto di cadere nelle mani dei rivoltosi della corrente islamica, oppure fossero trasportate in Libano dagli Hezbollah. Oltre a questa «linea rossa» ce n’è una seconda, specifica per Israele: la possibilità che gli Hezbollah cerchino di trasferire dalla Siria (se il regime di Assad fosse prossimo al tracollo) missili crociera russi di tipo Yakonth che – con una gittata di 300 chilometri – rappresenterebbero una minaccia mortale per il traffico marino diretto dal Mediterraneo verso Israele nonché per la trivellazione Tamar di gas naturale, in alto mare, fra Haifa e Cipro. Per il momento, secondo la televisione di Stato israeliano, l’esercito siriano dà l’impressione di tenere ancora sotto controllo i propri depositi di armi non convenzionali. «Noi seguiamo la situazione, ci consultiamo con gli Stati Uniti, e non vogliamo proprio che quelle armi passino in Libano», ha detto ieri alla televisione il ministro della difesa Ehud Barak. Questi ha peraltro confermato che «è stato istruito dagli Hezbollah» l’attentatore che a Burgas (Bulgaria) ha condotto un attentato suicida contro una comitiva israeliana. «La sua identità ancora non ci è nota. Nulla però fa pensare per ora che sia collegato a Guantanamo», ossia a una ipotetica «pista di Al Qaeda». Anche se l’attenzione è in questo momento polarizzata dalla Siria, Israele non perde di vista l’Iran (e i suoi progetti atomici) e gli Hezbollah, che pure puntano verso Israele decine di migliaia di razzi e missili. «La caduta di Assad sarebbe per entrambi un duro colpo», ha rilevato Barak. Ma non necessariamente una vittoria per Israele, che si troverebbe di fronte una Siria convulsa, e potenzialmente minacciosa. Nel Libano del Sud gli Hezbollah mantengono - sia pure in borghese una presenza capillare. Secondo Israele in molti villaggi di frontiera quantità di razzi sono state stivate in case civili e in edifici pubblici. All’inizio del mese un comandante israeliano ha sentito la necessità urgente di lanciare un monito preciso agli uomini di Hassan Nasrallah: se, come nel 2006, colpissero le città israeliane, «Israele ricorrerebbe alla forza bruta. Sarebbe una guerra davvero sporca». Israele darebbe un preavviso alla popolazione civile libanese di lasciare le zone presidiate dagli Hezbollah. Poi scatenerebbe l’inferno. «Interi villaggi sarebbero distrutti».