Alessandro Barbera La Stampa 21/7/2012, 21 luglio 2012
Una legge per chiarire la natura giuridica dei partiti. Riduzione di un terzo dei fondi destinati alla politica
Una legge per chiarire la natura giuridica dei partiti. Riduzione di un terzo dei fondi destinati alla politica. Riforma dei meccanismo di finanziamento, uso della tesoreria dello Stato come ente unico erogatore. Modifica alla norma che obbliga lo Stato a pagare i distacchi sindacali. Il dossier firmato da Giuliano Amato è sul tavolo di Monti a Palazzo Chigi da almeno un mese. Come per il rapporto Giavazzi, è uno studio chiesto dallo stesso premier e che avrebbe lasciato volentieri nel cassetto fino a settembre. Ma il mondo ci guarda, i mercati anche, e per ricostruire la credibilità dell’Italia occorre continuare a fare i compiti a casa. «Contiamo in tempi brevi di prendere decisioni sui due studi», dice Monti. Il riferimento è al decreto di tagli alla spesa che il governo approverà in agosto. «Non un’altra manovra» - così dice il premier - ma un provvedimento per rendere effettivi i sei miliardi di risparmi già previsti dalla spending review e scongiurare del tutto aumenti dell’Iva nel 2013. La politica in Italia costa mediamente più che nel resto d’Europa: basti dire che secondo uno studio recente della Uil in Italia vivono di politica un milione e trecentomila persone, più o meno gli addetti della scuola pubblica. Parlamentari, ministri e amministratori locali sono un esercito di 145mila teste. Il progetto preparato dall’ex premier ed ex ministro è diviso in tre parti: attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, riforma del finanziamento pubblico, sindacati. Il primo capitolo spiega che in Italia - e solo in Italia - i partiti sono semplici associazioni non riconosciute che - come tali sono sottratte a stringenti controlli su uso e distribuzione dei fondi pubblici. Fatto questo, c’è da riformare l’intero meccanismo di finanziamento dei partiti. Fino a poco tempo fa in Italia - e solo in Italia - poteva accadere che un tesoriere avesse a disposizione fondi per milioni di euro senza doverne rendere conto a chicchessia. Occorre - dice lo studio - porre un limite all’entità dei finanziamenti: stabilito un plafond minimo, il resto dei fondi erogati deve essere commisurato alle risorse reperite fra i sostenitori privati. Inoltre - e questo è considerato perfino più decisivo - occorre introdurre criteri di maggiore trasparenza sui fondi destinati ai gruppi parlamentari: come insegna il caso Lusi, in Italia e solo in Italia si può perdere traccia dei fondi erogati dai partiti ai rispettivi gruppi. Terza anomalia, in Italia non si fa alcuna distinzione fra fondazioni del partito e di partito. Negli ultimi anni sono spuntate come funghi su un campo d’autunno: ce ne sono di area, corrente o addirittura personali. La norma è così paradossale che - se crede - una fondazione legata al centro-sinistra può legittimamente finanziare con fondi pubblici la campagna elettorale di un candidato del centro-destra. Una delle strade individuate da Amato per superare in un sol colpo tutte queste anomalie è quella di porre fine alle tranche di rimborsi elettorali versati ai partiti: l’idea è quella di decidere l’entità del finanziamento, ma poi di affidare alla tesoreria unica dello Stato i fondi. In questo modo ogni richiesta di erogazione, passaggio di denaro o rimborso verrebbe automaticamente rendicontato come avviene in una qualunque banca. Infine i sindacati, oggetto della terza parte dello studio. Amato propone - fra le tante - di ridurre l’entità dei finanziamenti pubblici ai centri di assistenza fiscale e di porre fine all’obbligo giuridico dello Stato di farsi carico del pagamento dei distacchi nel pubblico impiego. Sarebbe un bel risparmio: stando ai numeri della Corte dei Conti nel solo 2010 sono costati 151 milioni di euro, equivalenti all’assenza dal lavoro (per l’intero anno) di 4.569 persone, una ogni 550 dipendenti.