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 2012  luglio 21 Sabato calendario

Sul megaschermo del Century 16 Theatre il maggiordomo ha appena finito di dire “ho fatto un sogno su di te” a Batman quando i circa 200 spettatori in sala sobbalzano per un rumore forte, improvviso

Sul megaschermo del Century 16 Theatre il maggiordomo ha appena finito di dire “ho fatto un sogno su di te” a Batman quando i circa 200 spettatori in sala sobbalzano per un rumore forte, improvviso. E’ il calcio con cui James Eagan Holmes, 24 anni, spalanca le porte in fondo al cinema. In testa ha un elmetto di metallo, i capelli colorati di rosso come Joker, una maschera antigas, un giubbotto antiproiettile, guanti tattici, un paragola militare e gambe protette da un’armatura. È vestito di nero e lancia verso il centro della platea due ordigni assordanti. Almeno uno contiene spray irritante, l’altro gas. Si scatena il panico, la gente corre in ogni direzione. Il teatro è pieno di bambini giunti ad assistere al debutto di «The Dark Knight Rises», l’ultimo film della serie su Batman. È il momento che il killer ha pianificato per colpire. È al centro delle file, imbraccia con una mano un fucile automatico AR-15 e con l’altra una pistola Glock calibro 40. Spara centinaia di colpi ad alzo zero. Finisce i caricatori in meno di due minuti. Si ferma, posa il fucile e con una seconda pistola Remington continua a sparare, colpendo alcune delle vittime già in terra. La strage si è quasi consumata quando alle 00,39 il numero delle emergenze della polizia riceve la richiesta di aiuto. In servizio al «Century 16», un multisala molto frequentato nel sobborgo multietnico di Aurora a mezz’ora di auto da Denver, ci sono 5 agenti. Novanta secondi dopo trovano Holmes, immobile, accanto alla sua auto ferma nel parcheggio dell’hotel, con dentro un’altra Glock carica. La casa è un campo minato Holmes ammette subito la responsabilità della strage, si consegna agli agenti ma li sfida: «Andate a casa mia se ci riuscite». Abita al 1690 di Paris Street, appartamento 10, in un casermone senza identità. Quando due dozzine di agenti vi arrivano scoprono che Holmes lo ha minato per trasformarlo in una bomba capace di distruggere l’intero caseggiato, nel quale risiedono centinaia di famiglie. Ha posizionato bombe incendiare e ordigni chimici, collegando gli uni agli altri con un reticolo di fili che impedisce agli agenti perfino di toccare la maniglia della porta di entrata. Alle due di notte l’Fbi affianca la polizia nelle indagini. Sono i federali a decidere che l’appartamento è off limits: «Tutti fuori». Le vittime sono i bambini Migliaia di residenti escono in strada a notte fonda, trasportati negli hotel della città, mentre dentro il cinema teatro della strage si contano le vittime. A terra restano 71 persone. I morti sono 12, due dei quali sono deceduti in ospedale a causa delle gravi ferite riportate. I 59 rimanenti feriti sono assistiti d’urgenza, la polizia non rilascia le identità per limitare lo choc maggiore: molti di loro sono bambini, anche di 3 e 4 anni. Per questo i ricoveri avvengono soprattutto al «Children’s Hospital». Il riserbo sulle vittime è assoluto perché si tratta di tutela di minori. Il governatore John Hickenloopir ammette che «abbiamo subito un duro colpo» promettendo: «Ci risolleveremo». Ma il killer mascherato che spara a zero sui bambini a Den- 1 ver evoca la strage di Columbine, poco distante da qui, dove il 28 aprile del 1999 due killer adolescenti fecero 15 vittime fra gli alunni del liceo. «Le pallottole volavano ovunque» «Questa è la nostra Columbine» dice Christopher Ramos, 20 anni, che era 4 andato a vedere Batman con le sorelle e alcuni amici. «Stavamo guardando la scena il cui il maggiordomo parla del sogno a Batman quando si è scatenato il finimondo - racconta, con la voce spezzata - sembrava di essere dentro un videogame ma i proiettili che volavano erano veri». Jacob King, 21 anni, dice di «non aver visto il killer perché era tutto buio ma i proiettili traccianti erano ovunque», parla del «giorno più brutto della mia vita» ma assicura che «tornerò al cinema appena possibile perché questi criminali non devono riuscire a modificare le nostre vite». È Jordan Carfter, 19 anni, che evoca la strage di Columbine: «Mi sono subito venuti in mente i racconti su quanto avvenne in quel liceo quando mi sono sentito inerme di fronte ad un uomo con un elmetto in testa che sparava senza interruzione». Le più devastate sono le madri. Emes Egarreta ha in braccio il figlio di un anno che aveva con sè dentro il cinema. Vi era andata con il marito e altri due figli più grandi, ora entrambi feriti. Il suo pianto è inarrestabile: «Potevamo morire tutti, era pieno di bambini che ridevano, perché mai sparare sugli innocenti?» grida davanti alle telecamere dei network all’entrata di una «zona del delitto» grande 2 km quadrati perché include il multisala, i grandi magazzini adiacenti e tutti i parcheggi. Un gesto senza movente «Stiamo esaminando ogni frammento di prova e non abbiamo spostato le salme dal cinema - spiega il capo della polizia di Denver, Frank Fania - perché vogliamo avere tutti gli indizi possibili per ricostruire cosa è avvenuto». Holmes rifiuta di collaborare con gli agenti e il movente - come la sua stessa vita - è un mistero. L’unico precedente a suo carico è una multa subita dalla stradale nel 2010, e non si è mai fatto notare per nulla anche se forse qualche avvisaglia del disegno di morte c’era stata perché appena la madre, in vacanza a San Diego in California, viene a sapere della strage chiama la polizia e dice: «Sto arrivando, vi devo parlare, temo per mio figlio». Gli interrogativi a cui Fbi e polizia devono rispondere sono tre: quale è il movente? Come è stato possibile per il killer entrare senza difficoltà nella sala sebbene coperto di armi e armature? Perché un simile individuo non aveva mai sollevato allarme nella comunità dove vive? Il capo della polizia ammette di non avere risposte, conferma che le quattro armi sono state acquistate negli ultimi due mesi e tentenna quando una reporter chiede a bruciapelo: «Portare armi da guerra è legale in Colorado?». «Devo studiarmi la legge» risponde il comandante, con una smorfia che tradisce il nervosismo per un interrogativo che ripropone la necessità di maggiori controlli sui portatori di armi da fuoco. «Parlate ai vostri bambini, ditegli che questa città è sicura e il mondo è popolato da esseri buoni anche se alcuni sono malefici», dice il sindaco Michael Hancock . E’ questo il clima nel quale Barack Obama si rivolge alla nazione definendo la strage un «atto atroce, senza senso», decidendo di interrompere per 24 ore la campagna elettorale: «Questo non è un giorno per fare politica». "È una tragedia. Non riusciremo mai a capire queste tragedie senza senso. Oggi è un giorno di preghiera e riflessione per la politica ci saranno altri giorni" *** LA SOPRAVVISSUTA DI TORONTO Questa volta Jessica non ha sentito quel senso di nauseante vuoto in mezzo al petto che le ha salvato la vita meno di due mesi fa. Questa volta in Jessica dominava l’emozione - descritta nei suoi ultimi tweet - di poter finalmente assistere all’ultimo episodio della trilogia di Christopher Nolan. Jessica Redfield, è tra le 12 vittime di Aurora, ma è anche una delle persone scampate alla sparatoria del 2 giugno, in un centro commerciale di Toronto. Il vero cognome di Jessica è Ghawi, 24 anni, blogger e giornalista sportiva con una passione per la Nhl, la lega professionista di hockey sul ghiaccio, e un debole per il cinema. Quella prima non se la sarebbe persa per nessun motivo: «Certo che stiamo vedendo “The Dark Knight”». È il primo di cinque tweet che invia dalla sala. L’ultimo recita: «Il film inizia tra 20 minuti». Poi più nulla. Si spengono le luci, vanno scena maschere ed effetti speciali, poi la follia omicida. Istanti fatali come quelli che un mese e 17 giorni prima avevano permesso a Jessica di sottrarsi dalla pioggia di fuoco di uno dei killer della porta accanto. Il 2 giugno, in quel mall muoiono due persone, altre cinque rimangono ferite, Jessica si salva. «Non posso mandare via questa strana sensazione dal mio petto. Questo senso di vuoto, quasi nauseante, non vuole andare via. - scriveva di quell’episodio - Ho provato questa sensazione all’Eaton Center di Toronto pochi secondi prima che qualcuno aprisse il fuoco». Jessica si trovava in Canada per lavoro, era andata al centro commerciale per fare acquisti e mangiare qualcosa, ma anziché optare per il sushi, vira su un più ricco hamburger. Un fuori programma che vale una vita. Alle 6,20 paga: «Subito dopo ho sentito una sensazione strana che mi ha portato fuori di lì e al sicuro». Alle 6,23 esplode il primo colpo di pistola. «È difficile - prosegue - pensare che una strana sensazione mi abbia salvato da una sparatoria mortale». Quella stessa sensazione che Jessica forse tentava di scacciare dal suo petto cercando un po’ di serenità in quella sala di Denver.