Danilo Taino, Corriere della Sera 21/7/2012, 21 luglio 2012
È che quello europeo è un mercato «in via di immersione». Parola d’ordine, starci lontani. Non lo sostiene una mammola avversa al rischio
È che quello europeo è un mercato «in via di immersione». Parola d’ordine, starci lontani. Non lo sostiene una mammola avversa al rischio. Lo definisce così Robert Koenigsberger, fondatore e capo degli investimenti dell’hedge fund americano Gramercy, che gestisce più di tre miliardi di dollari e si è fatto il nome per le scommesse che ha piazzato nelle situazioni più delicate del Terzo Mondo. Ma gli emergenti sono una cosa — è la sua teoria — quelli che vanno a fondo in una situazione politica incertissima sono un’altra: può succedere di tutto e prendersi un bagno mortale è una possibilità seria. Anche scommettere al ribasso, in Europa è pericoloso: se all’improvviso — corre il ragionamento — i governi, come misura disperata, decidessero di emettere qualche forma di Eurobond o se la Banca centrale europea iniziasse a comprare titoli di Stato, le perdite sarebbero enormi. È che molti, negli Stati Uniti, scommettono sulla fine dell’euro: ritengono che non ci siano alternative. Ma faticano a vedere tempi e modi dell’esplosione. Quindi escono dagli investimenti europei e per ora stanno a guardare. «Non c’è niente che può salvare l’Eurozona — è per esempio l’opinione di Kyle Bass, il fondatore dell’hedge fund Hayman Capital —. Se fai un passo indietro e osservi l’idiozia di quel che sta succedendo, vedi che non c’è risposta». Ciò nonostante, a suo parere la confusione politica unita all’implosione economica rendono impossibile fare previsioni e quindi investire. È un abbandono silenzioso. L’impossibilità di leggere la situazione ha reso la crisi intrattabile. Ieri, per dire, mentre le Borse andavano a fondo e i rendimenti dei titoli pubblici spagnoli e italiani spingevano verso l’alto, il membro del comitato esecutivo della Bce Benoît Cœuré lanciava un messaggio da Città del Messico: «Inviterei alla cautela coloro che hanno dubbi sull’euro, sottovalutano gli impegni politici presi, a loro rischio». Gli investitori, dall’altra parte dell’Atlantico, non capiscono le cortine fumogene europee e preferiscono stare lontani. Non che tutti siano scappati. I grandi fondi pensione negli ultimi due anni lo hanno fatto, si sono alleggeriti di titoli in euro, molti sono usciti del tutto dai Paesi periferici per rifugiarsi in quelli ritenuti sicuri, Germania, Olanda, Finlandia, Austria, Svizzera, Danimarca, i titoli di Stato a breve dei quali, infatti, sono così richiesti da dare rendimenti negativi. Ma chi ha avuto il fegato di fare previsioni sull’euro e di seguirle con investimenti spesso non ne è uscito bene: John Paulson, uno degli investitori più di successo a Wall Street, ha ammesso che una parte delle perdite che ha registrato di recente sono state causate da suoi errori di lettura della situazione europea. In tensione per l’euro non sono solo gli americani. Un’analisi della banca Ubs sottolinea che «passare dai (titoli) sovrani disastrati a quelli al cuore dell’Eurozona è stata una strategia popolare tra gli investitori giapponesi negli scorsi due anni». Ma ora che molti di questi titoli forti danno rendimenti negativi, «alcuni possono scegliere di abbandonare del tutto l’euro». Anche perché rendimenti negativi in Germania e negli altri Paesi forti — in sostanza pagare un governo affinché conservi i tuoi denari — sono un segno netto delle paure che i mercati hanno di una rottura dell’Eurozona, che se avvenisse finirebbe probabilmente in un centro con la moneta rafforzata e una periferia con monete deprezzate. Il fatto è che il tempo non passa senza lasciare segni. Via via che la crisi del debito va avanti, i dubbi sulla possibilità di risolverla in positivo crescono. Anche nel Paese al cuore dell’Europa, la Germania, nonostante Angela Merkel sia stata la regista — qualche volta riluttante ma mai in fuga — dei salvataggi. Duecento economisti, in testa Hans-Werner Sinn, hanno firmato una lettera aperta alla cancelliera contro i salvataggi delle banche spagnole decisi dalla Ue il mese scorso. E Hans-Olaf Henkel, che fu il presidente degli industriali tedeschi ai tempi della nascita dell’euro, sta ora guidando una campagna contro la moneta unica: quattro giorni fa, ha scritto un articolo per il Financial Times nel quale dice di aspettarsi una svolta a U di Frau Merkel anche sull’euro, simile a quella che fece nel 2011 contro l’energia nucleare. Non è (ancora) un fronte unito, ma le forze globali anti-euro sono in movimento. @danilotaino